Martín Shanly: “Con About Thirty ho cercato di divertire il pubblico, ma dopo l’elezione di Javier Milei temo per il cinema argentino”

"Credo che una volta che traduci qualcosa di te stesso in sceneggiatura o in un film, quella parte smette di appartenerti e inizia ad essere di qualcun altro", ha aggiunto il regista, sceneggiatore e interprete del film in anteprima nazionale al Torino Film Festival 2023, vincitore del premio per il miglior attore. L'intervista a THR Roma

Martín Shanly è ansioso, pigro e smemorato. Ma ha anche un gran senso dell’umorismo. Almeno è così che si descrive, sia dentro che fuori About Thirty – in originale Arturo a los 30 -, presentato in anteprima mondiale alla 73esima edizione del festival di Berlino e approdato in Italia per la première nazionale al Torino Film Festival 2023. E per cui ha vinto il premio per il migliore attore.

Ironica, sgangherata e frammentata, come può essere la personalità di qualsiasi individuo prossimo ai trent’anni, nella pellicola il protagonista Arturo del regista e sceneggiatore (nonché interprete) argentino deve confrontarsi con un momento di crescita e lo fa nella maniera peggiore possibile: guardando al passato e riadattandolo a proprio piacimento. Un giovane alle prese col suo ex (Voldemort, solo di soprannome, non di fatto), che non riesce a entrare nelle grazie della sorella minore e deve accettare la perdita di un fratello. Il tutto nel giorno di un rocambolesco matrimonio. Forse l’evento più temuto da qualsiasi trentenne.

Tra il suo esordio cinematografico, Juana a los 12, e About Thirty sono passati circa dieci anni. Cosa è cambiato?

Dopo il primo film ho modificato schema di produzione. Abbiamo fatto richiesta per fondi, sovvenzioni e molto altro, al contrario invece del debutto, in cui lavoravano tutti gratis, anche perché, insomma, molti interpreti erano dei bambini. Stavolta si è trattato di un film più adulto, il che ha richiesto più tempo e più attese, ed è stato molto frustrante. Mettiamoci anche che sono una persona ansiosa e il gioco è fatto.

Ha raccontato che nel film il diario che il protagonista legge agli spettatori è nato come ponte per collegare le varie scene. Lei ne ha mai avuto uno? Ha mai messo nero su bianco i suoi pensieri?

Ho avuto un diario di tanto in tanto. Lo usavo per fissare le cose, essendo molto smemorato. L’ho fatto perché mi piaceva l’idea di sapere dove mi trovavo in quel preciso momento. Però sono anche pigro e questo mi impediva di aggiornarlo. Nel film, invece, è stato un espediente che mi ha attratto molto, nonostante fossi riluttante al pensiero di un diario e una voce fuori campo per spiegare allo spettatore cosa stava accadendo. Ma quando ci siamo resi conto che serviva un collante per mettere in comunicazione tutte le sequenze, l’ho trovato molto efficace.

Ha messo lì dentro i suoi segreti?

È stato complicato perché non sono uno scrittore. Non nel senso tradizionale del termine. So di avere una mia voce creativa, ma è diverso quando si tratta di qualcosa vicino alla prosa. Posso sentirmici affine, ma non avevo i muscoli abbastanza allenati per farlo in scioltezza. Quindi mi sono focalizzato sul tono da voler dare al film. Anche sul come Arturo parlava a e di se stesso, il che ha significato intraprendere diversi tentativi e incappare in un sacco di errori.

La caratteristica del diario è che è pieno di disegni fatti da lei. È stata una degli sceneggiatori, Ana Godoy (alla scrittura insieme a Federico Lastra e Victoria Marotta), a convincerla ad utilizzarli. Perché tenerli nascosti?

Perché non mi considero nemmeno un artista. Ho cominciato a disegnare mentre facevo altre cose, per distrazione, come quando sei al telefono e cominci a scarabocchiare. Non ho mai esposto nulla, non ho mai reso i disegni pubblici, posso averli fatti vedere a qualche partner, ma è qualcosa che faccio per me. Un giorno, però, li ho mostrati ad Ana ed ha insistito sull’includerli nel film. Li trovava divertenti ed ho finito per fidarmi del suo istinto.

Ha detto che è una persona ansiosa, smemorata e pigra. Si ritiene anche una persona ironica, visto l’umorismo di About Thirty?

Sì, credo di sì. Il film dà un chiaro esempio del tipo di humor che mi piace. Anche gli sceneggiatori con cui ho scritto sono estremamente divertenti e c’è stata da subito la volontà di far ridere il pubblico.

Cos’è che trova divertente?

Gli esseri umani, soprattutto quando cercando di scappare nella maniera meno imbarazzante possibile da certe situazioni.

C’è molto di lei in Arturo?

Molto. Sì, molto. Ma credo anche che, una volta che traduci qualcosa di te stesso in sceneggiatura o in un film, quella parte smette di appartenerti e inizia ad essere di qualcun altro. Il che, lo ammetto, lo trovo terapeutico. È come se ti esercitassi a non metterti troppo al centro, a far scivolare lati di te nevrotici o che non ti piacciono. È come quando dai un nome al mostro. Allora, così, il mostro scompare.

Perciò quando ha girato About Thirty ha cercato di sconfiggere il “mostro” della crescita?

So che il cambiamento fa paura. Le responsabilità fanno paura. Capisco la riluttanza nel voler crescere. Arturo ne ha di sicuro, per questo non sa come affrontare la perdita di suo fratello, il muro principale che deve riuscire a scavalcare per riuscire finalmente ad andare avanti.

Arturo trasforma spesso i suoi ricordi per renderli meno dolorosi. Tendiamo spesso a modificare il passato per essere più indulgenti con noi stessi?

Penso che molti di noi non vogliano affrontare la verità. E, quando ci si prova, i risultati sono sempre molto divertenti, perché si cercherà sempre di scappare dalla propria ombra. Cambiamo perciò i ricordi per rendere la vita più gestibile. E forse questo implica che, ogni tanto, devi dire qualche bugia a te stesso.

Sarà anche per questo che Arturo è così ancorato al passato, non riesce a confrontarsi con il bagaglio che si porta dietro. Lei è una persona che rimane attaccato ai ricordi o preferisce guardare in avanti?

Vorrei dire che sono una persona che punta al futuro. O me lo auguro, almeno. È la vera sfida. Il passato a volte ha il potere di insinuarsi riempiendoti di vergogna e tormenti, come capita spesso di notte, quando si è da soli e tornano alla mente certi pensieri. Ma sto cercando di imparare e di superare anche quei momenti.

Ha dichiarato di sentirsi preoccupato per la cultura e il cinema argentino dopo l’elezione nel paese di Javier Milei come presidente. C’è da stare attenti?

Miles è stato alquanto categorico sull’Istituto Nazionale del Cinema e delle Arti Audiovisive (INCAA, impegnato nella promozione e nel finanziamento cinematografico dell’Argentina, ndr.). Ovvero la sua chiusura. Il motivo sembrerebbe che il rientro economico non vale la candela. E per una persona che pensa solo ai soldi non credo sia importante un’industria che si concentra sulla diffusione della cultura. Che dire, non mi piacciono gli uomini d’affari e trovo che non siano belle persone. E il futuro, purtroppo, non riesco a immaginarmelo se non un po’ più tetro.