Cortinametraggio 2024, il direttore artistico Niccolò Gentili: “Ciò di cui vado più fiero è l’umanità di questo festival”

Storie audaci e coraggiose, quelle che ha portato all'interno della diciannovesima edizione. "Sono felice soprattutto per il gruppo di registi che si è creato, dopo cinque anni tante soddisfazioni, unico rammarico: in questa edizione è calata la partecipazione femminile"

Attore, sceneggiatore e regista, Niccolò Gentili è legato al Cortinametraggio da diversi anni e dall’edizione 2023 ne è anche il direttore artistico. Giovane, trentatré anni da compiere, ed entusiasta, trasmette la sua stessa energia al festival che dal 12 a 17 marzo vede la sua 19ª edizione a Cortina d’Ampezzo, nella cornice ancora innevata delle Dolomiti.

Nell’intervista con THR Roma traccia un bilancio della manifestazione, in cui quest’anno ha raggiunto l’obiettivo maggiore: creare un gruppo coeso di registi che per una settimana ha condiviso esperienze, cinema, sogni e consigli.

Cosa deve avere un corto per catturare la sua attenzione?

Ammetto di essere una persona che ama l’originalità e il coraggio, perché anche come creatore amo raccontare storie coraggiose. Quando le vedo fatte da altri, così originali e intelligenti, io mi entusiasmo, tanto, e tendo ovviamente a dar loro degli spazi. I cortometraggi, anche per una questione economica, danno più possibilità di sperimentare e io amo l’audacia, infatti nella selezione ci sono opere davvero audaci e c’è davvero del talento dal punto di vista autoriale. Mi piace riconoscere già lo stile e la visione di alcuni che ho selezionato più volte negli anni. Cortinametraggio per fortuna mi dà la libertà di essere aperto su ogni genere e ogni tipo di narrazione. Non è un festival tematico, quindi arrivano horror, arrivano film drammatici, comici, corti di ogni tipo. Io li guardo sempre tutti. Avendo poi una formazione da attore, sto particolarmente attento alla recitazione, alla resa dei dialoghi e della messa in scena.

Ha notato delle tendenze nei corti arrivati quest’anno? O soprattutto temi che si sarebbe aspettato e non ha trovato?

Commedie. Sono un amante della commedia e purtroppo quest’anno ne sono arrivati pochi. Mi dispiace, ma forse questo è un riflesso del periodo storico molto complesso in cui stiamo vivendo. Siamo divisi fra guerre e crisi economiche che magari creano una maggiore introspezione. O forse è perché si ha paura di affrontare la commedia come genere.  Si ha paura di non riuscire a essere in grado di far ridere e coinvolgere il pubblico o trattare alcuni temi senza risultare politicamente scorretti. Non saprei, io scrivo commedia, la amo e come regista voglio continuare a farla, quindi sì, è una cosa che ho notato particolarmente. Un’altra cosa che mi è dispiaciuto è che ho visto che rispetto agli anni scorsi sono arrivati meno corti diretti da donne. Mi è dispiaciuto perché ci tengo ad avere più sguardi possibili e sempre diversi.

È interessante come la sua risposta sia in parte diversa da quella della fondatrice Maddalena Mayneri. Come si coniugano le vostre diverse visioni? 

Con Maddalena ovviamente abbiamo delle visioni differenti ma questo è normale perché comunque siamo due generazioni diverse, siamo cresciuti in ambienti sociali diversi, in regioni diverse. È giusto e fondamentale che ci sia uno “scontro” di idee. Lo scontro genera sempre creatività e buone scelte. Ci sono state volte in cui aveva ragione lei e volte in cui avevo ragione io, però penso siano dinamiche normali all’interno di ogni festival.

Tornando al cinema femminile, le chiedo dei dati. Di quanto è diminuita la presenza?

Il numero esatto sul totale non saprei dirlo, ma era un rapporto di circa 7 a 1. Un divario molto grande che mi ha sorpreso, soprattutto perché nelle scorse edizioni c’erano 7 o 8 corti diretti da donne. Quest’anno tre ed è un numero che a me fa dispiacere, sinceramente, ma purtroppo, se questo è il divario numerico, uno su sette, è normale che un corto diretto da un uomo ha più possibilità di essere scelto.

Qual è stata invece la presenza di cinema di “seconda generazione” nella preselezione?

Nella selezione ufficiale di quest’anno, è vero, non sono rientrati, però così a memoria non ricordo molto bene perché poi quando guardo i corti cerco di non guardare prima chi lo ha realizzato o i festival a cui ha partecipato, per non farmi condizionare, a parte alcune eccezioni. A Cannes, per esempio, avevo già visto il film di Francesco Sossai perché era l’unico italiano in Quinzaine (Il compleanno di Enrico, ndr). Non saprei dare un dato sui corti inviati da registi o registe di seconda generazione, ma già il fatto che non me ne sovvengano vuol dire che sono stati pochi.

Perché secondo lei? 

Forse perché il lavoro di regista è visto in un certo senso ancora come un lavoro difficile, che dà poche sicurezze rispetto ad altri mestieri del cinema. A volte per farlo si ha bisogno di aiuto, di sostentamento da parte della famiglia per esempio. O almeno può capitare.

Fare il regista è una questione di privilegio, oltre che di accessibilità? 

Può essere più facile, ovviamente, ma ci sono tanti registi, passati anche da qui al festival, venuti fuori dal nulla ma che adesso sono fra i più grand registi in Italia. Non c’è un regola, forse, c’è la fortuna e poi  c’è il talento, come direbbe Woody Allen. Io a quasi trentatré anni, e dopo essere entrato nel mondo dei festival, sto ancora lottando per realizzare la mia opera prima e chi sa cosa succederà dopo, se potrò permettermi di fare solo il regista. Non che i festival siano un ripiego, ma sono una una strada che mi si è aperta davanti durante il mio cammino e di cui sono felice,  perché mi ha permesso di entrare in contatto con diversi autori interessanti, che mi hanno arricchito tanto.

A questo proposito, a che punto è il film? E tra i prossimi progetti, c’è la ventesima edizione di Cortinametraggio?

Per quanto riguarda l’opera prima stiamo aspettato una risposta importantissima in questi giorni, questione di poco. Per la prossima edizione, invece, dobbiamo ancora pararne, Maddalena Mayneri e io, e decidere un po’ di cose. Credo comunque che il bilancio di questa edizione sia positivo. I corti sono piaciuti e hanno creato anche molta discussione in giuria.

Qual è la cosa di cui va più fiero?

Sono passati cinque anni dal mio arrivo a Cortina e penso di aver dato un forte contributo. Siamo arrivati a ospitare i registi per una settimana intera e non era mai successo. Si è creato un gruppo fantastico e molto unito di cui sono felicissimo e ne faccio anche parte, perché stiamo molto insieme, chiacchieriamo, parliamo di cinema, mangiamo. Loro si emozionano mentre vedono i film degli altri piangono, ridono. Sono veramente fiero di questo e anche della qualità delle proiezioni, tutte in formato Dcp. Sono cambiate tante cose, ma quella che mi dà più soddisfazione è il fattore umano, vedere questo gruppo unito, che ha anche la possibilità di incontrare diversi esperti del settore, da registi come Paolo Genovese alle varie Film Commission (Campania, Veneto, Marche). Per me è la risposta più bella a tutto il lavoro che ho fatto.