Un po’ storia vera, un po’ thriller filosofico: ecco le avventure del killer per finta di Linklater

Fuori concorso arriva alla Mostra uno dei copioni più perfetti, più ritmati e più micidiali che Hollywood abbia sfornato da anni, una miscela geniale in cui convivono il noir, la screwball comedy e il film d'amore. Firmato da uno dei registi più atipici d'America

Il film (finora) più bello della Mostra non vincerà il Leone d’oro perché è fuori concorso. Noi, per quello che conta, gli assegniamo fin d’ora d’ufficio un bel po’ di Oscar, a cominciare da quello per la miglior sceneggiatura. Parliamo di Hit Man, diretto da Richard Linklater. Che per certi versi è il “doppio” di The Killer, il film di David Fincher (in concorso): potrebbe esserne la parodia, solo che in questo caso la parodia è incredibilmente più seria e più profonda dell’originale. (A margine: curiosa, questa Mostra, piena di film che si parlano a distanza. L’ordine del tempo di Cavani e La teoria del tutto di Kroger sono entrambi imperniati sulla fisica quantistica. Green Border di Holland è il percorso simmetrico e speculare di Io, capitano di Garrone – migranti dall’Asia alla Polonia nel primo caso, dal Senegal a Lampedusa nel secondo. Avessero fatto apposta?)

Profili psicologici

Hit Man e The Killer parlano entrambi di killer professionisti. Solo che il Gary Johnson (personaggio reale) protagonista di Hit Man è un killer per finta. L’uomo insegna filosofia nell’università di New Orleans e nel tempo libero collabora con la polizia della città della Louisiana. (Di nuovo, a margine: anche in The Killer il percorso dell’assassino in caccia tocca New Orleans, il che dà vita all’unica battuta spiritosa del copione: “New Orleans, bella città: mille ristoranti e un solo menu”, che è abbastanza vero: crocchette di alligatore e gamberi al “gumbo”, la salsa creola locale)

Gary Johnson, dicevamo. Lavora ai profili psicologici dei delinquenti, ma un giorno – per via di una punizione – “salta” il poliziotto che avrebbe dovuto dedicarsi a una missione delicata: fingersi un killer a pagamento per incastrare il potenziale cliente che vorrebbe commissionare un omicidio. E in centrale gli dicono: vai tu, sei un filosofo, sei bravo a chiacchierare, andrai benissimo. Johnson indossa tutti i microfoni del caso e va al colloquio con un tizio che vuole far ammazzare un collega. Si rivela bravissimo: l’uomo viene arrestato e da lì in poi Johnson diventa un “incastratore” provetto.

Richard Linklater al photocall di Hit Man a Venezia 80

Richard Linklater al photocall di Hit Man a Venezia 80

Finché un giorno la potenziale cliente si rivela essere la bella “latina” Madison, per gli amici Maddy: una donna che vorrebbe far uccidere il marito e che ha davvero ottimi motivi per farlo! Gary decide di salvarla: rifiuta i soldi, le consiglia di lasciare la città, di mollare il marito violento e tossico. Fin qui, è solo un arresto mancato. Ma le cose si complicano quando Maddy e Gary si rivedono, e lei crede sempre che lui sia “Ron”, lo spietato killer che le ha salvato la vita. E qui, le cose cominciano a complicarsi in modo esponenziale…

Hit Man è (anche) una storia vera

Linklater e Glen Powell, attore nel ruolo di Gary e co-sceneggiatore, si sono ispirati alla vera storia di Gary Johnson, veterano del Vietnam e insegnante in un college che ha davvero fatto arrestare decine di potenziali assassini (in Texas, non in Louisiana). La storia di Johnson era stata raccontata in un articolo dal giornalista Skip Hollandsworth, e Linklater l’aveva letta nel 2001: “Mi era subito sembrata strepitosa, ma non era un film. Di fatto Johnson ripeteva sempre lo stesso tipo di azione. È stato Powell a ricordarmela, ma di nuovo ci siamo incartati: il film non andava da nessuna parte, finché Glen ha avuto l’idea: e se lui e Maddy si riincontrassero, e si innamorassero?”.

Un po’ noir, un po’ screwball

Da quel punto in poi la storia è completamente inventata, ed è lì che le identità si moltiplicano: Gary e “Ron” – il prof secchione e il sicario spietato – entrano in schizofrenico conflitto, e Maddy si rivela assai meno indifesa di quanto sembrasse. Come giustamente dice Linklater, il film diventa un mix tra un noir molto serio (“Ma se fosse solo un noir – dice il regista – Gary dovrebbe fare una brutta fine”) e una “screwball comedy”, una commedia svitata come le giravano Howard Hawks e Preston Sturges negli anni Quaranta.

È uno dei copioni più perfetti, più ritmati e più micidiali che Hollywood abbia sfornato da anni. Powell è strepitoso nel ruolo di Gary/Ron, ma chi si porta via il film è la splendida Adria Arjona, portoricana con passaporto guatemalteco, nei panni di Maddy. Noi ve lo diciamo: è un film ad alto rischio di innamoramento, ma poi per conquistarla dovrete fingere di essere dei killer.