Il regista Alan Ughetto: “Manodopera è la storia della mia famiglia, simile al viaggio di tanti altri migranti”

Dal Piemonte del Novecento alle cronache quotidiane. L'opera animata è la fotografia di una generazione e quelle che sono venute dopo, mostrando la difficoltà di trovare una nuova casa. Il film è in sala dal 31 agosto

“Né cani, né italiani”. È il titolo originale di Manodopera, dal francese Interdit aux chiens et aux Italiens. Nonché la frase che spesso la famiglia di Alain Ughetto ha visto più volte scritta fuori dai negozi e dalle case quando si traferì in Francia.

Erano gli anni delle due grandi guerre mondiali, che coinvolsero a più riprese la sua famiglia, protagonista della pellicola animata in stop-motion, presentata in anteprima al festival internazionale del film d’animazione di Annecy lo scorso anno, e in uscita in Italia il 31 agosto.

“Era un cartello che potevi trovare in Svizzera, Belgio, Francia. Ci tenevo a realizzare una scena attorno a quelle parole, in cui cercavo di mettermi nei panni dei miei nonni”, racconta Ughetto, alla sceneggiatura con Alexis Galmot e Anne Paschetta, in cui ricostruisce un dialogo immaginario con la propria nonna.

“La storia, poi, si ripete. È come accade ai migranti che lasciano il loro paese e non vengono accolti. Invece di analizzare il problema e chiedersi ‘Perché queste persone lasciano la loro casa?’, la prima reazione è mettersi sulla difensiva, senza ascoltare”.

Una storia di famiglia che, dal particolare, riesce a portare su un piano universale il tema che è al centro della pellicola. Una fotografia privata che parte dal Piemonte del Novecento e diventa specchio di tante comunità che si ritrovano a dover cercare un posto sicuro in cui poter vivere, per loro e le generazioni successive.

“Da nipote, sono sempre stato un osservatore esterno degli avvenimenti che hanno riguardato il viaggio da un paese all’altro della mia famiglia, e con questo film ho cercato di portare rispetto ai miei parenti e di ringraziare chi ha voluto assicurare un futuro migliore alle generazioni che sarebbero venute dopo”.

Manodopera, da Ettore Scola a Nicola Piovani

Manodopera è un insieme di testimonianze, tra memorie familiari e racconti di un’intera collettività. “Ho parlato con chi aveva ricordi di quel periodo, chi aveva vissuto un’epopea simile a quella dei miei nonni. Ho raccolto aneddoti e allargato il più possibile il mio bacino di conoscenze”, afferma Ughetto, per un’opera tragica in cui ha ricercato le atmosfere del grande cinema italiano (Lo scopone scientifico, La strada e Brutti, sporchi e cattivi, questi i film preferiti dell’autore francese).

“I miei studi sono sempre stati rivolti verso la cultura italiana. Ho una passione per Ettore Scola. È così che ho voluto realizzare Manodopera, inquadrando degli avvenimenti terribili, con umorismo e eleganza”.

Di italiana, oltre le sue origini, anche un’importante collaborazione: la colonna sonora firmata da Nicola Piovani. “È stato un sogno”, spiega Ughetto.

“Gli scrissi: vorrei che con la tua musica accompagnassi la mia animazione. E lui lo ha fatto. Volevo che si percepisse quell’italianità che mi ha sempre trasmesso mia nonna. Quando si trasferirono in Francia, decise di non parlare più italiano per integrarsi al meglio. Ma quella natura era dentro di lei e lo capivi dal vestirsi di nero, dallo chignon basso, dalla polenta che cucinava”.

Un’affinità, tra Ughetto e Piovani, come quella delle persone che riuscirono a sostenersi a vicenda in simili momenti di transizione: “Con Manodopera esalto il valore della solidarietà. È ciò che ha sostenuto i tanti italiani in cerca di una vita migliore, e che sono riusciti a raggiungerla aiutandosi l’un l’altro”.