Paul B. Preciado: “Oggi nel mondo siamo tanti a essere Orlando. Siamo tante possibilità della vita”

Scrittore, filosofo, studioso di generi, al debutto come regista, con Orlando, my political biography racconta il percorso della transizione. “Non ho seguito alcuna procedura medica, non sono un malato ma il dissidente di un sistema in cui sono accettati solo il maschio e la femmina. Un’invenzione binaria che ci è imposta dalla nascita e che combatto”. L'intervista di THR Roma

Questa intervista a Paul B. Preciado è stata pubblicata per la prima volta nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Corpo Libero. Una conversazione che parte dal suo esordio alla regia con Orlando, my political biography per riflettere su genere e corpo.

Abitare lo spazio con il corpo è un atto politico. Perché il corpo parla, è insieme manifesto di pensiero e libertà di farsi chiamare col proprio nome. Paul B. Preciado, scrittore, filosofo, attivista e curatore d’arte spagnolo, uno dei principali studiosi di genere e di politica del corpo, i corpi li ha sempre detti “parlanti”, dal famoso Manifesto Controsessuale (2019), a oggi, al suo debutto come regista con Orlando, my political biography, in sala dal 28 marzo 2024 con Fandango (che pubblica anche i suoi scritti, da Testo tossico a Dysphoria Mundi).

Il filosofo e regista Paul B. Preciado

Il filosofo e regista Paul B. Preciado

Una rilettura dell’Orlando di Virginia Woolf, in cui nella notte il poeta in sogno cambia sesso. “Oggi nel mondo siamo tanti a essere Orlando”, dice Preciado che del nome Beatriz conserva ora solo l’iniziale. Il nome nuovo è “il riconoscimento del mio diritto di esistere al di fuori della norma”. La transizione di genere nella realtà non è un’esperienza onirica come in Orlando ma così corporea da aver bisogno di una diagnosi clinica. “Un protocollo medico, con un inizio concesso dopo un test”, spiega Preciado con garbo ma con energia. Quella di chi ha iniziato a prendere testosterone senza seguire alcuna procedura medica, “perché non sono un malato ma un dissidente di un sistema in cui esistono solo il maschio e la femmina”.

Preciado al cinema ci arriva così, con una “strategia di resistenza al dominio etero sociale” perché così come il sesso, anche gli organi sessuali, l’omosessualità, l’eterosessualità sono invenzioni umane, binarie. Con la sua “utopia politica”, oltre il genere. Non un genere, non un altro, ma le infinite possibilità della vita: i corpi parlanti.

Che cosa sente quando pensa all’Orlando di Virginia Woolf?

Ho letto Orlando di Virginia Woolf per caso, quando ero adolescente. Non sapevo né chi fosse lei, né di che cosa parlasse il libro. Ma quando l’ho letto, è iniziato per me un mondo nuovo. Sapevo che il libro era di fantasia ma era pur sempre una biografia. Quindi, l’ho presa sul serio. Quel sogno poteva accadere anche nella mia vita. E Orlando ha definito senza dubbio lo studioso, l’insegnante, il filosofo che sono diventato.

Com’è stata la sua adolescenza?

Sono nato negli anni Settanta in Spagna, in un ambiente cattolico e conservatore. Era il momento in cui il Paese passava alla democrazia, per meglio dire al neoliberismo. E io sentivo, e sapevo, che nulla intorno a me poteva spiegarmi quale vita avrei vissuto. Niente mi permetteva di pensare che avrei potuto sopravvivere e vivere al di là di un binomio. Uomo o donna. Poi ho trovato Orlando.

Orlando My political biography

Orlando My political biography – Fandango Film

Il libro le ha anche donato il nome di regista e l’esperienza cinematografica.

Questo libro è diventato più importante della Bibbia, più importante di tante altre cose. È stato un talismano, lo portavo con me in viaggio, lo rileggevo, lo consultavo, spesso lo citavo nelle mie lezioni. Ma non avevo mai pensato di adattarlo per il cinema. Anche perché non avevo mai concepito di fare un film, né ne ho mai avuto alcun desiderio. Al contrario, ho sempre pensato che i film fossero pretenziosi e stupidi.

Lo pensa ancora?

Penso che si possano fare film in modo diverso, se si ha la possibilità di lavorare con un bel gruppo di persone. Di certo devi lottare come un leone per rimanere fedele a ciò che vuoi. Significa che sono diventato molto più cattivo di quanto non fossi prima. Prima ero una persona abbastanza gentile. Ma non si può essere sempre accondiscendenti quando tutti vogliono imporre la loro idea su di te. Il cinema è un’industria, lo vedo anche nella promozione del mio film. Tutto quello che possiamo dire, e pensare, è già programmato. Potrebbe esserci anche un’intelligenza artificiale al mio posto, chi deve promuovere il film sarebbe molto contento.

Orlando My political biography

Orlando My political biography

Quindi da dove ha iniziato per fare il film?

Dal fatto che non ne avevo idea. Accettare questa posizione di non sapere come possibilità di pensare ha reso il film un’esperienza positiva. Ma, naturalmente, tutti volevano dire la loro. Quello che voglio fare è il mio Orlando e vorrei che i miei Orlando parlassero come Virginia Woolf, così dicevo io. E gli altri: “No, questo è impossibile, sarebbe ridicolo”. Allora ho convocato un casting e tutti gli Orlando sono venuti e mi hanno detto, semplicemente, “Io sono Orlando”. L’indicazione che ho dato è stata “tu sai come fare”. E di nuovo altri mille no. A un certo punto, dato che avevo un budget molto limitato, ho detto: “Lasciatemi in pace, fatemi fare il film che voglio”.

Ci è riuscito?

Tre anni per sviluppare il progetto e realizzarlo. Anche per il tempo, l’imposizione delle idee vale allo stesso modo. La casa di produzione quindici giorni dopo la firma del contratto voleva già avere una sceneggiatura. Ma io stavo leggendo Virginia Woolf. Saranno circa 5mila le pagine che ho letto, quasi l’intera opera, per avere la sensazione di come sarebbe stato l’Orlando giusto. Ho risposto che avevo bisogno di pensare. Questo è molto importante: bisogna essere in grado di pensare da soli, senza che ci venga detto.

Questa imposizione è anche sui nostri corpi?

Certo. Inizia nel momento in cui nasciamo, o anche prima. Tutti fanno sempre questa domanda: è un maschio o una femmina? Come se la realtà si potesse definire così, come a dire “compri una macchina o un motorino?”. Ma non è la vita. Nascerà un essere vivente e poi la vita si esprimerà.

La nascita è un momento di prima definizione imposta?

Sì, la nascita è una diagnosi clinica. C’è un comitato scientifico, i medici che sono lì intorno dopo un parto. Loro dichiarano che qualcuno è femmina o maschio. Eppure, una volta su mille non lo sanno. Allora si modifica qui e là, si aggiusta quello che non si conosce attraverso i canoni di quello che è dogma e si ritorna al maschio o alla femmina. Avanti un altro. Questo modo di pensare, di agire, che appare nel quindicesimo secolo con l’espansione del capitalismo, ora è oltraggioso. E nessuno dice niente. Ma noi invece dobbiamo parlare. Dobbiamo fermarci. E dire basta a un assioma dato per buono.

Crede che la società arriverà a fondarsi su un regime non binario, anche dal punto vista sessuale?

La mia tesi è che tra venti o trent’anni smetteremo di assegnare il genere alla nascita. Un giorno la vedremo come una pratica tanto brutale quanto ingiustificata. Accadrà perché è evidente che i criteri che usiamo per definire e quindi poi assegnare un genere non funzionano. Forse non hanno mai funzionato ma di certo non servono più. È chiaro che poi ci sono sempre i fallimenti.

Sono un mostro che vi parla – Fandango Libri

In che senso?

Bisogna allenarsi e anche attenersi alle sconfitte. Per esempio, con il mio film, tutti avevano dato per scontato che sarebbe stato un flop, perché io non sono un regista. Anzi, sono grato perché parto sempre con l’idea del fallimento. Altrimenti avrei fatto un film come gli altri. Niente di nuovo. Il fallimento significa che qualcosa non ha riprodotto la norma. È come dire: “Non sono la donna perfetta”. Ma la categoria della perfezione non esclude un’infinità di altre. Si può essere degli esseri umani interessanti, per esempio. Anche senza un matrimonio, senza un figlio, senza tutte quelle imposizioni che un sistema binario ci pone come uniche alternative. Peggio: una sola è la possibilità positiva, quella nella norma.

Che cosa l’ha sorpresa di più da quando è uscito il film?

La collettività. È stato sorprendente mostrare un film a un pubblico trasversale. La prima volta è stata alla Berlinale [2023 – ndr]. Le persone alla fine stavano piangendo, si sono abbracciate, è stato incredibile. Questo mi ha fatto pensare che c’è un elemento politico nel cinema. Ho condiviso con loro la mia utopia politica. Non volevo un film compassionevole sulle persone trans. La transizione è la cosa migliore che mi sia capitata nella vita. Quando il film finisce, vedo un senso di condivisione negli spettatori. Spero di aver trasmesso che questo è un progetto comune a tutti, non solo alle persone trans o non binarie.