“Il seme di questa storia viene da qualcosa di super personale e poi nel processo di scrittura ha cominciato a prendere la sua strada”. Lila Avilés è uno dei nomi più importanti del cinema messicano contemporaneo. Per il suo secondo lungometraggio, Totem – Il mio sole, al cinema dal 7 marzo con Officine UBU, ha scelto di partire da un aspetto intimo per raccontare qualcosa di universale. Presentato in concorso a Berlino 73, dove ha vinto il premio della giuria ecumenica, e selezionato dal Messico come per correre all’Oscar come miglior film internazionale – come era già accaduto con il suo esordio, The Chambermaid – il film celebra la vita grazie al racconto di una famiglia che si sta preparando ad affrontare un lutto.
Lo fa attraverso lo sguardo di Sol (Naíma Sentíes), sette anni, accompagnata dalla mamma nella casa del nonno dove le sue zie e cugini stanno organizzando la festa di compleanno a sorpresa per il suo papà, un giovane pittore malato terminale. Una giornata fatta di attese e desideri, amore e regali per fare in modo che quell’addio inevitabile che riguarda ognuno dei personaggi si trasformi in un ricordo fatto di gioia e gratitudine.
Il Messico ha un legame molto stretto con la morte. Nel suo film, però, celebra la vita, malgrado tutto. È riuscita a catturare qualcosa di reale. La bellezza, il calore, l’amore anche in un momento doloroso. La vita è davvero più forte della morte?
Sì, in Messico abbiamo un forte rapporto con questo argomento. Ma per quanto riguarda Totem, non ogni famiglia fa quello che fanno i protagonisti del film. Non è così normale, ecco perché ho voluto dare un tocco di giocosità e dignità nel dire addio. Mi piace quel paradosso della vita, a volte nei momenti peggiori puoi trovare gioia. Tutti in questa vita se lo meritano.
Il film è ambientato all’interno di una casa. Nella scrittura e nel montaggio, come ha lavorato per assicurarsi che ci fosse il giusto ritmo nella narrazione?
È difficile per un film mantenere lo spirito e il ritmo in una sola location. Era questione di trovare la sua fluidità e lo sforzo di andare avanti e indietro, ma senza spingere. Mi piacciono i microcosmi, quindi è stato bello parlare di tanti argomenti in un solo ambiente. Con questo film volevo entrare nel vivo dei personaggi. Ho voluto andarci molto vicino, perché in questa diversità ognuno può avere il suo modo di esprimersi.
C’è un’atmosfera quasi teatrale nel film. Come ha lavorato nella regia degli attori? E com’è stato avere a che fare con le piccole protagoniste del film?
Amo le persone, mi piace lavorare con loro. Mi piace realizzare un approccio naturalistico per quanto riguarda la recitazione. Adoro quando le parole suonano come nella vita reale e quando gli attori si sentono a proprio agio. Per quanto riguarda i bambini, sapevo che sarebbe stata dura, ma ho provato gioia nel lavorare con loro. Erano selvagge e hanno portato conoscenza e gioia sul set.
Nel film ci sono molti animali e piante. Perché questi elementi sono stati importanti per lei?
Perché Totem è un microcosmo, quindi avevo bisogno anche di questi elementi. Come esseri umani a volte siamo così impegnati nel lavoro, nella tecnologia o in cose che riteniamo importanti ma che non lo sono, che trascorriamo gran parte della nostra vita facendo cose superficiali. Immagino che sia questo il bello della cultura, che ci ricorda l’importanza della vita in quei semplici momenti e connessioni. Quella parte animista e i legami che rendono l’esistenza meravigliosa.
Il film contiene molte storie al suo interno. Cosa la interessava di più nell’incontro di questi racconti diversi?
Mi piace che ognuno sia diverso, la meravigliosa diversità che c’è anche nelle famiglie. Ognuno ha il suo proprio modo di agire o di reagire. E volevo parlare di un giorno speciale per la famiglia protagonista. A volte siamo passionali anche in quei momenti fragili, ma è questione di lasciare che gli altri semplicemente siano.
Il film è ambientato in Messico e racconta molto della società messicana. Eppure ciò che il film mette in scena è profondamente universale. Dalla presentazione a Berlino ad oggi, com’è stato condividerlo con il pubblico?
Mi sento molto grata. Quello che mi piace di più è che questo film sia per il pubblico, ha un forte legame con le loro storie. Ho viaggiato molto l’anno scorso per presentarlo e ho scoperto che, in qualche modo, si collega nella stessa maniera in Cina, Australia o Perù. È un’esperienza che porterò con me per tutta la vita. In questa diversità che adoro tanto, ho scoperto che siamo anche super simili. E talvolta è solo questione di essere umani.
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