Il consiglio dei ministri ha approvato il nuovo Tusma. Parzialmente accolte le modifiche della Camera

Durante il consiglio dei ministri, il governo di Giorgia Meloni ha dato l'ok alla riforma del Testo unico dei servizi di media audiovisivi. La mossa è stata molto contestata sia dall'opposizione che dagli addetti ai lavori

Di THR ROMA

E riforma sia. Il consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che modifica il Tusma, il Testo unico dei servizi di media audiovisivi. Secondo quanto riportato dall’Ansa, sono state recepite parzialmente le osservazioni delle commissioni cultura e trasporti e telecomunicazioni della Camera. Il Tusma in Italia regola gli investimenti che lo Stato assegna alle emittenti televisive e alle piattaforme.

Mentre non sono ancora noti ulteriori dettagli, nei mesi scorsi Mediaset aveva chiesto di abbassare la soglia dei ricavi che per legge deve destinare alle produzioni italiane indipendenti. Una strada, quella del lobbying, inseguita anche dai big dello streaming, obbligati dalla legge europea a investire parte dei loro ricavi in produzioni europee indipendenti (per l’Italia la percentuale corrisponde al 20% e 12,5% nel caso di Broadcaster). Anche loro, in una commissione del 23 gennaio, hanno chiesto al governo Meloni meno obblighi di investimento e una revisione del quadro sanzionatorio.

Questa proposta di riforma, molto contestata dall’opposizione, ha visto anche le critiche dei produttori indipendenti italiani, che in diversi appelli hanno denunciato forte contrarietà alle modifiche inserite.

“È inaccettabile e addirittura paradossale che si voglia modificare un sistema di sostegno alla produzione e alla diffusione del cinema e della serialità nazionale teso non solo a far aumentare la quantità di opere italiane prodotte e trasmesse dagli streamer, ma anche a far crescere quell’identità culturale e quell’immaginario del nostro paese di cui parla il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano”, scrivono in una nota 100Autori, Wgi, Anac e AIR3.

Sulla piattaforme, la percentuale di ricavi da investire, attualmente al 20%, scenderebbe al 16%. La maggioranza su questo punto era spaccata, con la Lega che era disposta a tendere una mano ai big dello streaming mentre Fratelli d’Italia voleva addirittura alzare le quote di investimento al 25% nel 2025 per “tutelare la cultura nazionale”, secondo quanto riportato a gennaio dal Fatto Quotidiano.

Prima del consiglio dei ministri, che si è concluso alle 17.10, le associazioni di addetti ai lavori, in una nota congiunta, hanno chiesto al governo di “tutelare il cinema, l’animazione e il documentario indipendente italiano, specialmente in un trend di maggiori ricavi degli streamers e delle televisioni”.

Sull’argomento è arrivato anche il commento del sindacato Slc Cgil, che nella figura delle segretaria Sabina Di Marco ha dichiarato: “Ci appelliamo al governo perché sia tutelata la produzione indipendente e si attui al più presto la ripresa dell’erogazione dei sostegni per la ripartenza del cine-audiovisivo perché molti lavoratori del settore versano in gravi difficoltà”.