Colpo d’accetta in commissione cultura: meno fondi alle produzioni indipendenti italiane di cinema e tv

Le modifiche al Tusma (Testo unico servizi media audiovisivi e radiofonici) adesso all’esame del Parlamento. La percentuale per le emittenti private, come Mediaset, passerebbe dal 12,5% al 10% e per i big dal 20% al 16%. I produttori: "Esprimiamo forte preoccupazione". Il voto contrario delle opposizioni

Il governo Meloni è alle prese con le lamentele di Mediaset dall’inizio dell’anno e ora sembra pronto ad accontentarle. La rete televisiva ha chiesto di abbassare la soglia dei ricavi che per legge deve destinare alle produzioni italiane indipendenti, regolate dal cosiddetto Tusma. Uno sconto, per non rimanere imbrigliati in “lacci editoriali” che incidono sui contenuti del palinsesto. Con il sostegno dei big dello streaming, pure molto interessati a chiedere al governo simili sgravi, e con buona pace dei produttori indipendenti italiani, che sono invece molto preoccupati.

Il Testo unico servizi media audiovisivi e radiofonici (Tusma) in Italia regola gli investimenti che lo Stato assegna alle emittenti televisive e alle piattaforme. Le commissioni cultura della Camera, relatore il presidente Roberto Marti (Lega), e affari produttivi del Senato hanno approvato a maggioranza un parere su un decreto del governo del dicembre 2023, adesso all’esame del parlamento, che prevede dei cambiamenti proprio sugli obblighi di investimento.

L’intervento è stato subito criticato dall’opposizione e dagli addetti ai lavori. “Il governo tradisce il cinema indipendente italiano, ad eccezione di Fratelli d’Italia, che si inchina alle major che si sono rivelate i Fratelli di Hollywood”, ha ironizzato la deputata M5S Anna Laura Orrico. E Alleanza Verdi Sinistra ha denunciato anche la riproposizione dell’annosa questione del conflitto di interessi, “con l’accoglimento da parte della maggioranza di numerose richieste avanzate da Mediaset”.

Tusma nel mirino

Dall’inizio dell’anno il Testo Unico è stato chiamato in causa più volte per essere modificato. Dapprima i big dello streaming, obbligati dalla legge europea a investire parte dei loro ricavi in in produzioni europee indipendenti (per l’Italia la percentuale corrisponde al 20% e 12,5% nel caso di Broadcaster), hanno chiesto al governo Meloni meno obblighi di investimento, ingolositi percentuali più basse in altri paesi (in Spagna per l’obbligo è del 5%). Poi le stesse emittenti italiane hanno richiesto dei cambiamenti. Mediaset in testa, che vorrebbe calcolare in modo diverso quel 12,5% riservato alla “produzione indipendente”, per allentare i suddetti “lacci editoriali”.

Nei primi tre mesi del 2024 si sono susseguiti diversi appelli per far sì che il Testo Unico non fosse modificato, per evitare di mettere a rischio le produzioni indipendenti italiane. Gli autori (100autori, Anac e Wgi) hanno denunciato a inizio febbraio che nessuno li aveva ascoltati né interpellati sulla riforma del Tusma. Un comunicato di due giorni fa è quello di Cartoon Italia e di Iginio Straffi, fondatore e presidente di Rainbow e presidente della Colorado Film.

Il parere approvato chiede maggiore flessibilità su investimenti e programmazione che riguardano film e serie italiane e di nuova uscita, le “quote europee di programmazione e investimento” e anche di “valutare una razionalizzazione e rimodulazione in termini di maggiore flessibilità e certezza degli adempimenti posti in capo agli operatori”.

Si abbassano le percentuali

Il centrodestra delle due Commissioni parlamentari ha chiesto di ridurre la percentuale del 12,5%, prevista dalla norma attuale, al 10%. Questo abbassamento delle quote di investimento obbligatorio per serie, film e fiction europee e italiane indipendenti è stato accolto. L’obbligo si limita alle sole emittenti televisive private, alleggerendo i loro bilanci, ed esclude invece le piattaforme online e la tv pubblica. Nella percentuale del 10% sale invece da “almeno” il 50% al 70% la quota da destinare ad opere italiane. Per le opere cinematografiche di produzione italiana si passa dal 3,5% all’1,75% mentre è stata accolta la sotto-quota obbligatoria da destinare ai cartoni animati.

Per quanto riguarda invece le piattaforme, scende al 16%, dal 20%, la quota di introiti da destinare agli investimenti in opere prodotte dagli indipendenti e sale anche qui dal 50% al 70% la quota riservata alle opere di espressione originale italiana. “Allineati con il sottosegretario Borgonzoni e il ministro Sangiuliano, abbiamo rafforzato il sostegno alla produzione italiana” rivendica il presidente della commissione Cultura della Camera e responsabile cultura di FdI Federico Mollicone. In particolare, “l’esplicita richiesta delle sotto quote dell’animazione è volta a sostenere l’animazione italiana rispetto all’invasione del prodotto estero”.

La maggioranza invece non ha accolto le richieste di Mediaset sull’abbassamento delle sanzioni per chi non rispetta gli obblighi sugli investimenti e quella sull’esclusione del ministero della Famiglia su regole e possibili sanzioni sulla fascia protetta.

Pareri contrari

Sia al Senato sia alla Camera i partiti di opposizione, Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra, hanno votato contro i due pareri.

“Purtroppo, il Parlamento sta chiedendo una modifica radicale dei fondamentali di un mercato che non è stato nemmeno ascoltato. Questo avrà conseguenze sull’occupazione, sull’economia e sulla capacità dell’audiovisivo italiano di avere spazio”, ha commentato il deputato democratico Andrea Casu. E dal Senato, Francesco Verducci (Pd) ha aggiunto: “I produttori italiani ed europei stanno già affrontando enormi difficoltà nel confronto con i giganti mondiali dell’intrattenimento. Ora la maggioranza e il governo vogliono aggravarle”.

100 Autori, Anac, AIR3 e Wgi hanno diffuso una nota per esprimere “profonda contrarietà” per i pareri espressi dalle Commissioni. “È inaccettabile e addirittura paradossale che si voglia modificare un sistema di sostegno alla produzione e alla diffusione del cinema e della serialità nazionale teso non solo a far aumentare la quantità di opere italiane prodotte e trasmesse dagli streamer, ma anche a far crescere quell’identità culturale e quell’immaginario del nostro paese di cui parla il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano”.

L’Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali) ha avvertito che se i pareri delle due commissioni saranno recepiti dal governo, ci saranno conseguenze anche sul piano culturale. Si ridurrebbe “il peso delle narrazioni italiane per favorire quelle internazionali”.

Da Cna Cinema e Audiovisivo viene espressa una “forte preoccupazione” sul futuro dell’industria cinematografica e audiovisiva indipendente italiana. La riforma comporterebbe, scrivono, “il rischio concreto di lasciare i produttori italiani senza alcuna tutela contrattuale. Questo a discapito della biodiversità dell’industria culturale italiana”.

L’intervento dei produttori europei

Per Angelo Zaccone Teodosi, presidente dell’Istituto italiano per l’industria culturale (IsICult), lo scontro è tra “liberisti” e “statalisti”. “Si è riproposta la eterna querelle tra coloro che ritengono che lo Stato debba assecondare le logiche del mercato e coloro che ritengono invece che lo Stato debba intervenire per correggere le storture del mercato. Tra l’ottica per la quale vince il più forte e quella che invece sostiene i più deboli”.

Anche i produttori europei hanno espresso preoccupazione per la situazione “critica” che si sta verificando in Italia a causa della revisione del Tusma. L’European Producers Club (EPC), un’associazione di 190 produttori indipendenti provenienti da 32 paesi europei e dal Canada, ha sottolineato che la situazione italiana influisce sul mercato europeo.