Dall’intimacy coordinator al green manager: le nuove professioni dell’audiovisivo (non ancora riconosciute)

Sound e game designer, post produzione, effetti visivi e set attenti alla sostenibilità. La Roma Lazio Film Commission ha organizzato un convegno con gli addetti ai lavori di cinema e tv per fotografare il panorama lavorativo di un settore in evoluzione da cui emerge il bisogno di formazione e la regolamentazione delle figure professionali

Nello sbirciare dalle finestre del primo piano di Palazzo Poli, sede dell’Istituto centrale per la grafica, si ha una prospettiva del tutto inedita su uno dei monumenti più famosi di Roma, la fontana di Trevi. In quella stessa stanza la Roma Lazio Film Commission ha organizzato e promosso un convegno, Nuove professioni per nuovi scenari, con gli addetti ai lavori del settore cinematografico e audiovisivo.

Un titolo capace di evocare tutte quelle figure che rappresentano il presente e il futuro del cinema e della serialità e che fotografano l’attuale panorama lavorativo di un settore in evoluzione e da cui è emerso un dato univoco, il bisogno di formazione in ogni ambito perché, come sottolineato dal sound designer Mirko Perri “viviamo un periodo di iper-produzione dove si assiste ad una carenza di professionisti rispetto alle richieste, come se l’industria fosse piccola rispetto alla domanda”.

Un momento del convegno Nuove professioni per nuovi scenariaudiovisivo

Un momento del convegno Nuove professioni per nuovi scenari. Foto di Alessandro Bachiorri

Protagonisti dell’incontro anche Carla Bernardin, green manager Freemantle, Federico Basso, regista e direttore creativo produzioni video di ETT, Raoul Carbone, presidente fondazione video game museum of Rome (“L’opera interattiva non è più video e gioco, ha superato il valore semantico è diventato più profondo. Sono opere culturali di fatto e di diritto”), Fabio Cerrito, Head of VFX frame by frame (“Un lavoro di diplomazia, camaleontico il cui la vera creatività è nel come si realizza l’obiettivo”), Laura Corbetta, presidente OBE Osservatorio Branded Entertainment, Luisa Lazzaro, intimacy coordinator, Francesco Mastrofini, co-founder & ceo Rainbow CGI, Giuseppe Musci, diversity & inclusion Sky, Monica Verzolini, responsabile post produzione e Fabio Viola, game designer e curatore area gaming museo nazionale cinema Torino, che “da marzo avrà una sezione legata ai videogiochi come linguaggio”.

Produzioni sempre più green

“Bisogna fare una premessa: ogni green manager deve credere fermamente che la crisi ambientale e climatica che stiamo vivendo è causata in parte dalle attività umane e che tutti possiamo fare qualcosa”. Esordisce così nel prendere la parola Carla Bernardin, green manager Freemantle. “Il nostro è un ruolo non ancora contrattualmente definito ma ormai riconosciuto dalle produzioni sempre più indirizzate a scelte e comportamenti sostenibili”.

“I film sono come microcosmi dove si realizzano attività che svolgiamo quotidianamente, dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti”, continua Bernardin. “Esistono svariati protocolli green nazionali e internazionali, ma ci si augura che se ne adotti presto uno unico. Ho iniziato a occuparmi di green su Siccità di Paolo Virzì, il primo film italiano ad avere la certificazione Albert (protocollo di produzione sostenibile, ndr). Cerco di utilizzare e far rispettare una serie di accorgimenti: dall’uso di allacci temporanei per l’energia del set e dei campi base al posto dell’utilizzo dei gruppi elettrogeni alle batterie ricaricabili, dal prediligere auto elettriche e viaggi in treno all’abolizione della plastica usa e getta passando per la reperibilità di materiali certificati e l’inserimento di una giornata vegetariana sul set che porta all’abbattimento di 14 tonnellate di emissioni CO2”.

Un momento dell'intervento di Carla Bernardin, green manager Fremantle. Foto di Alessandro Bachiorri

Un momento dell’intervento di Carla Bernardin, green manager Fremantle. Foto di Alessandro Bachiorri

Ma come si ottiene una certificazione ambientale? “Oltre all’adozione di buone pratiche è necessario misurare le emissioni di CO2 con il calcolatore messo a disposizione sulla piattaforma Albert”, sottolinea la green manager. “È fondamentale per rendersi conto dei settori da monitorare con attenzione per ridurre il footprint della produzione adottando determinate scelte rispetto ad altre”. Inoltre “una procedura prevista dalla policy Fremantle per la sostenibilità delle sue produzioni”, racconta Bernardin, “è l’acquisto di crediti di carbonio di progetti certificati a livello internazionale pari alle emissioni non evitabili prodotte in modo da lasciare un piccolo effetto positivo dal punto di vista ambientale e sociale”.

Il ruolo dell’intimacy coordinator

Mentre negli Stati Uniti da poco meno di dieci anni – grazie anche all’onda lunga del Me Too – l’intimacy coordinator è diventato  fondamentale nelle produzioni cinematografiche e televisive, da Normal People a Il trono di spade, in Italia questa figura professionale ha iniziato a farsi strada negli ultimi due anni. Nome di spicco Luisa Lazzaro che da SuperSex, serie Netflix con Alessandro Borghi nei panni di Rocco Siffredi, a Queer di Luca Guadagnino passando per il nuovo film di Paolo Sorrentino è sempre più richiesta.

“Il mio è un ruolo che al momento si rifà a protocolli esistenti all’estero e che non è riconosciuto a livello nazionale o contrattuale”, sottolinea Lazzaro. “Un lavoro che ha origini nell’ambito teatrale, grazie ad alcuni accademici che negli Stati Uniti nel 2006 hanno applicato stage and stunt coordination all’intimità. Da quando ho iniziato le richieste sono state veramente tante, c’è consapevolezza della necessità anche se mi ritrovo spesso a spiegare quale sia il mio ruolo, quello cioè di facilitare elaborazione delle scene che hanno un contenuto di intimità”.

L'intimacy coordinator Luisa lazzaro. Foto di Alessandro Bachiorriaudiovisivo

L’intimacy coordinator Luisa Lazzaro, uno dei nuovi professionisti dell’audiovisivo. Foto di Alessandro Bachiorri

“Si parte dalla valutazione della sceneggiatura”, continua l’intimacy coordinator. “Ci sono varie riunioni, da quelle con i reparti di produzione e regia per definire le scene e la visione artistica a quelle con gli attori per il consenso. Si passa poi alle prove dove marco la coreografia per poter assistere il cast durante le riprese fino al confronto post set anche a distanza di qualche giorno. In base al feedback realizzo un report. C’è infatti una parte del lavoro molto amministrativa, fin dall’inizio della produzione con la valutazione dei rischi”.

A rafforzare l’importanza di questa figura anche la nascita lo scorso settembre del primo corso di formazione sulla figura dell’Intimacy Coordinator realizzato da Anica Academy ETS, in collaborazione con Safe Sets, uno dei principali fornitori internazionali di formazione in intimacy coordination, Sky Italia e Netflix.

L’importanza della post produzione

“Anche quella del responsabile post produzione è una figura non riconosciuta, ma fondamentale”, afferma Monica Verzolini. “È l’equivalente dell’organizzatore sul set. Mi occupo del budget di tutti i reparti a fine riprese, da quello video al sound designer fino a doppiaggio e sottotitoli. Devo dettare i tempi sia per rispettare il budget ma anche la consegna per andare in sala o in onda. Bisogna avere un ottimo rapporto con la regia ma saper bilanciare l’aspetto economico. La nostra figura non è presa molto in considerazione nella fase iniziale ma se non subentriamo noi il film esce muto e senza color correction”.

Oltre a sottolineare l’importanza della formazione, Verzolini lancia un appello alla Roma Lazio Film Commission. “La Regione dovrebbe obbligare le produzione a prendere dei giovani. Si tende sempre a prendere figure con esperienza ma dovrebbe esserci un finanziamento che permette ai ragazzi di formarsi. Questo inoltre aiuterebbe anche ad avere più persone a lavoro su un progetto”.