Riforma del Tusma, i produttori indipendenti: “Senza tutele siamo spacciati contro i grandi Broadcaster”

Gli addetti ai lavori di Anica si sono detti contro il taglio alle quote d'investimento per i big, in discussione in parlamento, che devono allocare il 20% in film indipendenti italiani: "Tali regole devono essere mantenute"

Di THR ROMA

La riforma del Tusma, in discussione in parlamento, preoccupa i produttori indipendenti dell’Anica, che hanno esposto in un documento le proprie perplessità e le proprie richieste alle istituzioni.

Oggi – ricordano gli indipendenti a proposito del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici in via di modifica – le piattaforme devono investire il 20% in opere di produttori indipendenti: “sono investimenti che le piattaforme, che raccolgono ricavi nel nostro Paese, sono assolutamente in grado di sostenere. Come avviene in altri Paesi europei, tra cui Francia e Germania”.

La riforma in corso, continua il comunicato, “include la revisione delle quote di investimento in film, serie, documentari italiani ed elimina la norma contenente le tutele verso grandi broadcaster e player globali, con il rischio concreto di lasciare i produttori senza alcuna difesa, a discapito della nostra industria”.

La preoccupazione dei produttori indie

Perché? A favore di chi? chiedono i produttori indipendenti secondo i quali “l’ovvia conseguenza è ridurre il peso dei racconti italiani e favorire le produzioni internazionali”. Per i produttori indipendenti italiani la “conferma delle attuali regole e la tutela di condizioni negoziali e contrattuali eque è fondamentale, non solo per una crescita dell’industria audiovisiva italiana, ma anche per mantenere il valore dei diritti e la proprietà intellettuale nel nostro paese”. E continua: “Tali regole devono essere mantenute nel Tusma e strettamente coordinate con la regolamentazione relativa al tax credit”.

I produttori chiedono “il mantenimento delle esistenti quote di investimento obbligatorio, il rafforzamento delle sotto-quote Italia e cinema e l’introduzione della sotto-quota animazione”. Chiedono che “gli obblighi di investimento siano assolti esclusivamente attraverso forme contrattuali che non li rendano meri produttori esecutivi e che non siano calcolate a questo scopo le spese di distribuzione e promozione”.

Questo “al fine di mantenere e rafforzare i livelli occupazionali raggiunti negli ultimi anni, garantire l’accesso al settore di giovani imprenditori e nuovi talenti, di sostenere la biodiversità dell’industria audiovisiva italiana, composta per lo più da piccole e medie imprese, e di mantenere la titolarità delle idee sulle nostre storie, sviluppate e realizzate in Italia”.

Il lobbying degli Streamer

“Il paese deve essere più aperto ad attrarre il flusso di investimenti dagli Stati Uniti rispetto a paesi concorrenti come la Spagna”, afferma Amedeo Teti, capo dipartimento politiche per le imprese al Mimit. Il riferimento è alla prossima riforma del Tusma, su cui il governo sembra piuttosto diviso.

Come precedentemente riportato da The Hollywood Reporter Roma, gli Streamer (Netflix, Prime Video, Paramount, Disney+ e Warner Bros. Discovery) sono indaffarati nel lobbying, e hanno chiesto – nel corso di una commissione cultura e trasporti di Montecitorio – meno obblighi di investimento (al momento al 20% del fatturato da investire in prodotti italiani) e meno regolamentazione.

L’esempio della Spagna, con il 5% di obblighi di investimento, alletta le big dello streaming più del modello francese, molto simile al nostro. E mentre Fratelli d’Italia sembra contrario a un eventuale abbassamento (anzi rincarando la dose al 25% nel 2025) per ragioni di tutela della “cultura nazionale”, la Lega invece tende la mano.

“I grandi vogliono addirittura abbassare le obbligazioni, per noi ovviamente andrebbero alzate, al fine di mantenere il ruolo di cultura e creatività delle piccole- medie e microimprese”, ha spiegato a THR Roma Simonetta Amenta, produttrice e presidente di Agici, associazione generale industrie cine-audiovisive indipendenti, in riferimento alla prossima riforma del Tusma. “Inoltre sarebbe importante che un’impresa mantenesse i diritti della quota che mette in un progetto, adesso questa quota non viene mantenuta”.

“È importante che nelle riforme venga inserito che ci sia almeno una corrispondenza tra quanto viene investito e quanto viene riconosciuto in diritti”, aggiunte Amenta. E “fondamentale” è anche la ridefinizione di produttore indipendente, “ormai molto datata”.

(Ansa)