Sono le 8 del mattino del 25 aprile 1945 quando ai microfoni di Radio Milano Liberata risuona la voce di Sandro Pertini, partigiano e futuro presidente della Repubblica italiana.
“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”, queste le parole che pronuncia in poco più di 15 secondi, facendo del 25 aprile l’ultimo giorno della guerra di liberazione in corso dal settembre 1943. E il primo di una nuova Italia.
Con buone probabilità – raccontava qualche anno fa L’Avvenire – quelle parole furono pensate e scritte in via Copernico, al civico 9: l’istituto Salesiano S. Ambrogio dove si riuniva Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. E dove oggi una targa ricorda e celebra l’atto finale della Resistenza.
25 aprile e i luoghi della memoria
Targhe simili, spesso invisibili durante il resto dell’anno, diventano gli spazi di memoria collettiva in cui ogni 25 aprile il popolo italiano commemora oltre diecimila civili, quarantamila militari volontari, partigiani e partigiane e ventimila soldati dell’Esercito cobelligerante italiano. Tutti caduti contro l’occupazione nazifascista, insieme a più di 300 mila soldati alleati.
Pezzi di pietra che si confondono e si perdono nella confusione cittadina, racchiudono invece una storia che sanguina ancora. Sono i nodi di una rete invisibile, da riscoprire uno alla volta, anche solo passeggiando per la propria città. Riappropriandosi della memoria che tramandano.
Sono questi i luoghi fisici in cui celebrare il 25 aprile, nonostante comunque il ministero della cultura abbia colto l’occasione festiva per aprire gratuitamente al pubblico tutti i musei e i parchi archeologici statali sul territorio nazionale.
Il primo da visitare, che sia nella lista ministeriale o meno, dovrebbe essere il Museo storico della Liberazione a Roma, in via Tasso numero 145. Il palazzo stesso, ex carcere nazifascista infatti, conserva ancora i segni e il passaggio dei prigionieri della Resistenza, le loro preghiere e le loro ultime parole incise nelle pareti, al di là degli oggetti in esposizione.
E non si tratta nemmeno della più sorprendente testimonianza della Resistenza romana, in giro per la capitale.
Gli 80 anni di Roma liberata
Roma più di ogni altra città, in questo 2024, festeggia. Celebra gli ottant’anni della sua Liberazione un anno prima del resto d’Italia. Vide infatti entrare i nazifascisti da Porta San Paolo l’8 settembre 1943 e li costrinse alla ritirata il 4 giugno 1944, verso nord lungo la via Cassia, dove all’altezza di via Antonio Labranca ci fu l’ultimo eccidio nazista.
Idealmente i due punti spaccano a metà la capitale, in diagonale. La guerra, però, in quei nove mesi si è diffusa ovunque e ha coinvolto tutto: il centro e la periferia, la borghesia e il proletariato, donne e uomini, civili e militari.
Da Porta San Paolo, ogni anno, non a caso la mattina del 25 aprile parte il grande corteo dell’Anpi. Il traffico di Roma sud e del piazzale Ostiense si ferma per alcune ore ma quelle stesse strade si riempiono di gente, di bandiere e fazzoletti rossi al collo. Chi sa se qualcuno, alzando lo sguardo, questo 25 aprile noterà per la prima volta i pezzi di pietra che non ha mai visto.
Sulle Mura Aureliane, proprio accanto alla grande Piramide Cestia, quattro targhe, e una quinta poco distante, infatti ricordano le vittime della guerra di liberazione, compresi i soldati statunitensi e canadesi.
Il segreti del Tevere
Muovendosi di poche decine di metri, ecco che si intravede il Tevere. Costeggiando il fiume, in direzione nord, si attraversa Testaccio e la città cambia volto. Tra i vicoli oggi super turistici di Trastevere, tra una carbonara e un selfie, si nascondono ancora in piena luce i più interessanti segreti della città. Uno è in via della Pelliccia numero 8, poco dopo l’isola Tiberina. È li che il fabbro Enrico Ferola aveva la sua bottega e costruiva i celebri chiodi a quattro punte, usati dai partigiani per tranciare le ruote degli autocarri tedeschi.
Il fabbro della Resistenza, così veniva chiamato, morì nel marzo 1944, trucidato nelle Fosse Ardeatine. Trasteverini come lui furono molti altri eroi della Liberazione, parte attiva anche dei numerosi attacchi contro il carcere di Regina Coeli, dove spesso venivano rinchiusi gli antifascisti. Tra questi, i due futuri presidenti Giuseppe Saragat e lo stesso Pertini, condannati a morte ed evasi nel gennaio 1944 grazie un medico del penitenziario. Lo racconta anche Liliana Cavani nel documentario La donna della Resistenza (1965).
Il massacro del 1944 e via Rasella
La passeggiata prosegue. Attraversando il Tevere, verso il centro e i monumenti principali, si attraversa Campo de’ Fiori, poi il Pantheon e la Fontana di Trevi. Sulla mappa è una linea retta, ma i colli di Roma si sentono in ogni salita e nei polmoni. Nascosta alle spalle di piazza Barberini, si trova via Rasella, che è ancora una memoria parlante. E impone un istintivo silenzio.
All’altezza del civico 141 – ad angolo con via del Boccaccio – un vecchio palazzo è leggermente rientrato rispetto a quelli, più nuovi, che lo circondano. Lo sguardo si alza lento, un piano dopo l’altro e fino al quinto. Quel che resta di una raffica di colpi di mitra è ancora incisa su quella facciata ingiallita, che il tempo non ha scalfito.
La storia è nota. È il 23 marzo 1944 e 156 uomini delle forze di occupazione naziste attraversano via Rasella, rimanendo intrappolati in un agguato dei Gruppi di azione patriottica dei partigiani comunisti. L’esplosione di un ordigno uccide sul colpo 32 soldati. Gli altri rispondono aprendo il fuoco delle mitragliatrici in ogni direzione. Le conseguenze sono devastanti. Per ogni soldato nazista caduto nell’attentato vengono prelevati dal Regina Coeli dieci prigionieri antifascisti o della Resistenza. Uccisi poi con un colpo alla testa nelle cave sull’Ardeatina, dove oggi sorge un Mausoleo per le 335 vittime. Un’altra tappa imprescindibile in questo viaggio della memoria.
Un nido di vespe a Roma
Si arriva così, con un salto, da tutt’altra parte della città, Roma est, quadrante orientale della città che è anche il nucleo impenetrabile della Resistenza capitolina. È qui che si trova infatti il Quadraro, zona del Tuscolano rinominata “Nido di vespe”, perché non fu mai espugnata dai nazisti. E poi tutti i quartieri in cui il 25 si festeggia in piazza a Roma: Alessandrino, Casilino e Centocelle, ma anche il Prenestino-Labicano di via Raimondo Montecuccoli, l’esatto punto in cui Roberto Rossellini gira la scena della fucilazione di Anna Magnani in Roma città aperta.
Tutto intorno è cambiato, eppure quella strada, quel portone, quelle grate ad altezza uomo restano identiche. E indelebili nell’immaginario. Mentre l’urlo strozzato in gola di Magnani, quel “Francesco, Francesco” prima di accasciarsi a terra, lo si potrebbe recitare a memoria in ogni dettaglio, in pochi infatti ricordano che la “vera” Pina – ma non fu solo una – venne fucilata in viale delle Milizie numero 72. Roma nord, tra la borghesia. Si chiamava Rosa Guarnieri Calò Carducci e morì opponendosi all’arresto del figlio.
Nessuna traccia di lei è rimasta oggi davanti a quel numero civico, ma la città le ha intitolato una via, in un altro dei quartieri orgogliosamente antifascisti della capitale, Garbatella. Ed è qui, sulla realtà che si intreccia con il neorealismo, che questo viaggio sceglie di fermarsi.
“Finirà, Pina, finirà. E tornerà pure la primavera. E sarà più bella delle altre, perché saremo liberi”.
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