Il Caimano e i suoi fratelli: Berlusconi e il cinema italiano, una storia paradossale

L'imprescindibile Moretti, ovvio. Ma anche Loro di Sorrentino, e persino "Belluscone" di Maresco. Ma alla fine dei giochi è Ginger e Fred di Fellini il "vero" film su Silvio. E non va dimenticata la vicenda contraddittoria della Medusa, la sua società di produzione

In La pazza gioia di Paolo Virzì (2016), a un certo punto, la ricchissima signora Beatrice Morandini Valdirana (interpretata da Valeria Bruni Tedeschi) si lancia in un elogio di Silvio Berlusconi. Dice che è un suo amico, che è sposata con il suo avvocato e che le brutte cose che si dicono su di lui sono tutte calunnie. Più avanti, nel film, scopriamo che la donna è davvero sposata (nella finzione, ovvio) con l’avvocato di Berlusconi; ma scopriamo anche che è una mitomane compulsiva, ricoverata in un istituto per la cura delle malattie mentali. L’«elogio» di Berlusconi, da parte di Paolo Virzì, è quindi messo in bocca a una pazza.

In Il Caimano di Nanni Moretti (2006), la giovane regista Teresa (Jasmine Trinca) è in macchina con il produttore Bruno Bonomo (Silvio Orlando) e gli racconta il film che vuole girare. Il protagonista del film, soprannominato appunto “il Caimano”, è un imprenditore che ha costruito un impero grazie alla corruzione e alla creazione di holding all’estero, sulle quali la magistratura sta indagando. A un certo punto la regista, tranquillissima, dice: «E dopo questa scena sarà chiaro a tutti che il Caimano è ispirato a Silvio Berlusconi». A sentire questo nome, Bruno inchioda e tampona la macchina davanti a lui: «Ma sei pazza? Stiamo andando alla Rai a proporre un film su Berlusconi? E io l’ho pure votato, Berlusconi!».

Una strada a doppia corsia

Berlusconi e il cinema. Una strada a doppia corsia. Esiste un cinema «di» Berlusconi e un cinema «su» Berlusconi. Già magnate delle tv, Berlusconi è entrato nel cinema nel 1989, quando al Mifed (il mercato cine-televisivo che si svolgeva nelle strutture della Fiera Campionaria) annunciò, affiancato da Mario e Vittorio Cecchi Gori, la nascita della Penta: di fatto un trust che avrebbe controllato non solo la produzione e la distribuzione di film ma anche i loro passaggi tv. Il vecchio Mario, padre di Vittorio, sarebbe morto pochi anni dopo (nel 1993) e la Penta sarebbe stata assorbita da Medusa.

Prima di morire, Mario Cecchi Gori avrebbe coronato un suo sogno: avrebbe finalmente prodotto un film di Federico Fellini, il suo ultimo, La voce della luna (1990). In una scena di quel film, ambientata in una trattoria molto felliniana, campeggiava un ritratto di Berlusconi sulla porta basculante che dalla cucina portava in sala. A chi, sul set, gli chiedeva il perché di quella scelta Fellini ribatteva, sogghignando: «Ogni volta che i camerieri devono aprire quella porta e hanno le mani impegnate con i piatti, devono dargli un calcio nel sedere». Ben prima di Il Caimano e di Loro (Paolo Sorrentino, 2018), il vero film «su» Berlusconi è Ginger e Fred (Federico Fellini, 1986: lo stesso anno in cui il magnate acquista il Milan), nel quale il mondo delle tv commerciali viene descritto in tutta la sua sfarzosa volgarità.

Il caso Medusa

Non è stato tenero, il cinema italiano, con Berlusconi. Pur facendoci tranquillamente affari. Varrà la pena di ricordare che alla Mostra di Venezia del 2009 ci furono diverse polemiche perché due film in concorso, ritenuti genericamente «di sinistra», erano prodotti da Medusa: si trattava di Il grande sogno, film di Michele Placido sul ’68, e di Baarìa, diretto da Giuseppe Tornatore, che nel 1979 era stato consigliere comunale a Bagheria per il PCI e non ha mai nascosto le sue opinioni politiche. La verità è che Medusa è una società di produzione assolutamente “laica” che non si è mai fatta problemi a lavorare con registi di idee diverse. Tutt’altro discorso per Il Caimano e per Loro, che ovviamente non sarebbero mai stati prodotti da Berlusconi o da società a lui affiliate.

Nel primo il racconto sulle origini della ricchezza berlusconiana è chiarissimo, e la doppia interpretazione del personaggio (prima Elio De Capitani, che un po’ gli somiglia anche grazie al trucco, poi Nanni Moretti, che non gli somiglia per niente) non lascia dubbi sulla natura dell’apologo, che è fortemente politico, quasi brechtiano (tutte le tremende frasi che Moretti pronuncia negli ultimi dieci minuti di film sono tratte da dichiarazioni che Berlusconi ha effettivamente pronunciato).

Nel secondo il mondo berlusconiano diventa una gigantesca metafora grottesca del potere e della società italiana in senso lato.

Maresco ed il guasto tecnico

Ma per certi versi il film più duro sul «berlusconismo» è Belluscone di Franco Maresco (2014). È un vero e proprio saggio antropologico sulle radici siciliane del fenomeno, che avrebbe dovuto avere il suo pezzo forte in un’intervista che Marcello Dell’Utri aveva inopinatamente concesso a Maresco, forse memore della «sicilianità» e della folgorante bellezza dei suoi lavori per Cinico Tv. Ma l’intervista, già programmata, saltò per un guasto tecnico, mentre Dell’Utri era già in posa per rispondere alle domande – presumibilmente feroci – di Maresco. Sarà andata davvero così? È uno dei grandi “boh” della nostra storia del cinema, con la faccia di Dell’Utri, rivolta alla macchina da presa che non riesce a registrare le sue parole, che vale più di mille discorsi.