Samuel: “Il nuovo album dei Subsonica? È un manifesto politico, un viaggio tra utopia e realtà accelerata”

Torino e i suoi anni di furore, l'intenso rapporto con il cinema, l'ambizione di raccontare il presente: il frontman della band - ora in tour sulla scia del nuovo album - si racconta a tutto tondo. "Oggi si fugge dalla follia per rifugiarsi nella sicura legge dei numeri, che però tanto sicura non è. Ed è grazie ad Adagio di Stefano Sollima che abbiamo potuto tornare a dirci: ok, siamo i fottuti Subsonica". L'intervista con THR Roma

La realtà è aumentata quando l’utopia si è arresa, cantano i Subsonica in Africa su Marte. “Questo è il punto chiave”, dice a The Hollywood Reporter Roma Samuel Umberto Romano, frontman del gruppo torinese, ora in tour con il nuovo disco, Realtà Aumentata.

Un album che è un manifesto politico, “come tutti gli album dei Subsonica”. “Abbiamo sempre avuto l’ambizione e il desiderio di raccontare il periodo storico, il tempo presente,” aggiunge Samuel, spiegando che questa nuova uscita e la “follia artistica” che caratterizza il gruppo non sarebbero stati possibili senza l’esperienza cinematografica di Adagio, di Stefano Sollima.

Per la colonna sonora del film, la band è candidata ai David di Donatello nella categoria miglior compositore e miglior canzone originale. Nomination che consacrano il percorso nel cinema dei Subsonica, e che ha preso forma anche nel gruppo Motel Connection, con Samuel, Dj Pisti e Pierfunk, ex-bassista della band. Questa formazione ha dato il ritmo a film cult come Santa Maradona (2001), di Marco Ponti, con Stefano Accorsi e Libero De Rienzo.

“Quando abbiamo realizzato quel film eravamo accesi dall’idea di stare assieme e di fare musica, poi è diventato un film generazionale”, spiega il cantante. “Ma per noi non lo era, perché noi eravamo quella generazione. Stavamo raccontato noi stessi senza saperlo. Siamo in quei dialoghi esasperati alla Tarantino, nelle camicie hawaiane di Picchio e nei problemi d’amore di Andrea”.

Il futuro dei Subsonica

Prima di partecipare alla colonna sonora dell’ultimo film di Sollima, la band era molto indecisa sul suo futuro. “L’unica cosa che ci tiene ancora in ballo è che noi siamo stati rapiti e catechizzati dalla techno, saremo sempre la musica dei nipoti, non dei nonni”.

Poi la decisione, a lavori in corso. E nasce Realtà Aumentata, un racconto sul concetto di utopia, sul ritrovare un’idea. “Noi siamo cresciuti in un periodo in cui l’utopia e la realtà andavano d’accordo, a braccetto. Purtroppo in questo momento storico la vita è diventata un racconto drammatico, perché si è perso il concetto virtuoso di utopia.”

Una “realtà aumentata” anche nella tecnologia, tra visori e intelligenza artificiale. “Non conta lo strumento, ma chi lo utilizza,” afferma il cantante. “Se non avessimo avuto i primi campionatori non avremmo avuto un sacco di musica di merda, vero, ma non ci sarebbero stati neanche i Subsonica”.

In questa intervista con THR Roma, Samuel racconta gli inizi dei Subsonica, i movimenti culturali torinesi ai Murazzi del Po, i temi dietro al nuovo album e le sue estensioni, che si esprimono anche nel design del palco per il loro nuovo tour.

Torino come ha influenzato la musica dei Subsonica? 

Io sono cresciuto in Barriera di Milano, ma già a 18 anni ho dismesso quei luoghi. Perché tutto il movimento artistico e culturale si è sviluppato nel centro, ai Murazzi. Ho avuto la fortuna di assistere alla nascita dei Murazzi e – purtroppo – anche alla loro fine. Per me è un’era geologica che ha condizionato notevolmente le città e la mia vita. Se non ci fossero stati i Murazzi del Po probabilmente non saremmo qui a parlare. Le città cambiano la vita delle persone; chi le gestisce, chi le muove e le fa vivere ha una grossa responsabilità nei confronti dei cittadini.

Subsonica

Subsonica

Torino in quegli anni lì era una città che viveva ancora di quella sorta di narcolessia industriale dettata dagli anni Settanta e Ottanta. Era un dormitorio per le fabbriche. Ma in quel periodo c’è stata un’esplosione sotterranea. La reazione della città è stata quella di reinventarsi: c’erano locali in cui si faceva musica e sperimentazione, piccoli club in cui potevi far l’alba ascoltando musica. E regolamentazione zero, perché non c’erano le regole devastantanti che ci sono adesso. Un dettaglio che, da un lato, è sicuramente giusto, dall’altro però è molto schiacciante per chi decide di aprire un club, o un’attività culturale ed artistica.

Quindi c’era un atmosfera ideale? 

Si, c’era quel microclima perfetto per far nascere tante cose, tante vie espressive. E io sono stato fortunato, perché sono capitato in un periodo storico in cui tutto è fiorito. La città da dormitorio ha generato grossi moti artistici sotterranei che in quel momento sono esplosi. Il centro di Torino si trasforma nei Navigli degli anni Novanta. Da tutta Italia venivano a far serata e a vivere Torino. Io ogni tanto mi trovavo artisti come Morgan in casa e in studio, perché volevano vivere e sentire la potenza e l’energia della città.

I Subsonica hanno fatto parte di questa esplosione. Questo luogo che ha radunato tutte le persone creative era uno spazio multietnico e multiculturale. Capitava di fare serata con uno degli Agnelli e di parlare a tre con un immigrato nordafricano che aveva appena trovato lavoro in una pizzeria. Queste cose capitavano tutti i giorni, tutte le sere. Sempre. Una condizione di confronto culturale e sociale. In questi contesti nascono le cose vere, le potenze artistiche.

In Realtà Aumentata si parla di tanti temi di grande attualità. È un manifesto politico? 

Tutti i nostri dischi lo sono. Abbiamo sempre avuto l’ambizione e il desiderio di raccontare il tempo storico in cui questi album venivano fatti, con un occhio molto centrato sulla realtà e la vita. Soprattutto sui temi che fanno parlare e riflettere. La storia d’amore è una cosa molto bella, che capita a tutti e di cui il mondo ha bisogno. Ma un disco dei Subsonica ha un luogo che merita, un luogo anche personale in cui in qualche momento del racconto drammatico della vita viene fuori anche la necessità di una storia d’amore.

Però c’è il racconto drammatico della vita, è quello che i Subsonica vogliono raccontare. Purtroppo in questo momento storico la vita è diventata un racconto drammatico, perché si è perso il concetto di utopia. Noi siamo cresciuti in un momento storico in cui l’utopia e la realtà andavano d’accordo, a braccetto. Siamo stati cresciuti con imprenditori che ci dicevano che dovevamo essere folli per fare soldi.

Adesso gli artisti smettono di essere folli per diventare primi sui social per numero di follower. Si è girato tutto al contrario. I veri imprenditori adesso sono degli artisti, e forse gli imprenditori più illuminati sono degli ex-artisti, e la realtà è completamente “aumentata”, in questo senso. Si è perso il concetto virtuoso dell’utopia. E si fugge dalla follia per rifugiarsi nella sicura legge dei numeri, che però tanto sicura non è.

Se vediamo la storia recente dei Subsonica, quando abbiamo provato a fare dei dischi per seguire l’istinto di chi diceva che dovevamo andare a Sanremo o essere primi in classifica, abbiamo avuto più complicazioni nel lavoro artistico che stavamo facendo. Per questo album abbiamo deciso di seguire la nostra follia e proporre una musica che non esiste e che è solo nostra, stiamo riscoprendo un pubblico che ci sta dando tanta forza.

Subsonica (Foto di Ivan Cazzola)

Subsonica (Foto di Ivan Cazzola)

Mattino di luce parla dell’identità trans e di diritti?

Questo argomento fa parte del mondo che noi viviamo, e in questo momento storico c’è una sensibilizzazione molto importante, quindi forse salta più all’occhio. Il non sentirsi rappresentati dal proprio corpo, dal luogo fisico in cui si sta, è un sentimento che esiste da sempre, che fa parte degli esseri umani e che è giusto raccontare, perché è nostro.

Anche io spesse volte non mi sono sentito rappresentato dal luogo artistico in cui ero, per me è più o meno la stessa cosa. Ora è un tema molto discusso, anche se il dibattito è folle. Sentir dire ancora da alcune persone che secondo loro essere trans è una cosa sbagliata, io la trovo un’affermazione abbastanza allucinante, con tutta la crescita che il mondo ha fatto in questi anni.

Mi rendo conto però che è una questione ideologica di paura nel cambiamento, paura nel confronto col mondo, anche di paura di dire a se stessi certe cose. Credo ci sarà per sempre a questo punto.

È un argomento che avete toccato anche in altre vostre canzoni, come Aurora Sogna ed Eva Eva. 

Aurora sogna però era diverso, perché non si faceva un esplicita dichiarazione sessuale, poteva essere molto fraintesa. Mentre Eva Eva è molto più schietta e sincera, parla di un rapporto saffico, in cui due persone si incontrano e scoprono qualcosa di loro. Aurora Sogna è più l’immaginare un essere che non si trova rappresentato né dagli uomini né dalle donne, né dai grandi né dai piccoli, da niente. Ed è un po’ il racconto di tutti gli adolescenti, quel lasso di tempo in cui siamo in battaglia contro qualsiasi cosa. Ecco forse Aurora sogna racconta più di questo.

Mattino di luce è Eva Eva 2.0, in cui quelle persone sono andate tanto dentro la loro scoperta che decidono di cambiare le cose.

Il corpo quindi può essere una prigione? 

Il corpo è una prigione nel momento in cui non c’è equilibrio tra la testa e il tuo corpo. Alla base della vita ci va un equilibrio. Prima parlavamo dell’equilibrio tra utopia e realtà. Gli anni Novanta e parte dei Duemila hanno vissuto questo momento idilliaco in cui questi due mondi, così incontrastati, sembravano in qualche modo andare a braccetto.

La stessa cosa avviene dentro di noi: l’essere umano è fatto di corpo e tanta testa, però se questi due non dialogano succedono le cose. Ora non voglio fare il guru di medicina orientale, ma la maggior parte delle malattie che noi prendiamo sono imposte dalla nostra testa, lo dico perché mi è capitato.

Ho avuto una malattia che non sapevo cosa fosse e nel momento in cui ho fatto un profondo viaggio dentro me stesso ho capito che me la stavo un po’ auto infliggendo. E in quel momento lì sono guarito. La testa e il corpo devono dialogare insieme, se questo non avviene, il corpo è una prigione.

In Pugno di Sabbia cantate: “Non sono i cani di razza che urlano in piazza”. È un discorso antirazzista ma anche sul privilegio borghese? 

Sulla follia borghese, certo. Oggi parlare di razzismo è una cosa fuori dal mondo, non esiste più. Quello che è esiste è la follia conservatrice di menti che vogliono mantenere il loro potere politico con la paura. E questa follia è arrivata al punto tale che tantissime persone nate in Italia, che parlano italiano, con la cultura Italia, non possono avere un passaporto italiano perché hanno un colore della pelle diverso.

Questa è una cosa allucinante che ci rende schiavi per tutta la vita, quando la nostra cultura è multietnica.

Una delle foto di scena più iconiche di Adagio

Una delle foto di scena più iconiche di Adagio

C’è un forte legame tra i Subsonica e il cinema.

Torino è stato il primo polo cinematografico italiano di sempre. Facevano i kolossal quando si cominciava a farli in America e in Francia. La città ha una grossa esperienza sia dal punto di vista del cinema che della radio, perché la prima trasmissione radiofonica l’hanno fatta qui davanti a casa mia, abito davanti alla Mole. E vivo nella casa che fu di Fred Buscaglione.

I Subsonica nascono in uno studio moviola a piazza Vittorio. Il nostro campionatore poggiava sulle pizze da moviola di chissà che film e su dischi di colonne sonore. Il nostro primo album è pieno di riferimenti cinematografici, canzoni come Giungla nord hanno anche un senso dell’immagine molto potente. Perché noi arrivavamo da lì: avevamo intorno pellicole, moviole e cineprese. Siamo nati e cresciuti con l’idea che il cinema sia parte integrante della nostra forma espressiva.

Quando ci è stato proposto di realizzare una colonna sonora non abbiamo fatto fatica a metterci in quelle vesti. Inizialmente eravamo talmente presi che non avevamo tempo per seguire il percorso di costruzione di un film, che ha un processo molto più lungo. A volte inizi a scrivere su uno storyboard, su una scritta, e poi arrivavano le prime cassette.

All’epoca avevamo centinaia di concerti da fare. I Motel Connection nascono per quello. Era il secondo momento della mia vita in cui potevo esprimermi, e in estate – al posto di andare in vacanza come gli altri – facevo film. Santa Maradona e altri lavori di Marco Ponti, Andata e ritorno, e ora Adagio.

Cosa significa Adagio, di Stefano Sollima, per i Subsonica? 

Il film di Sollima è arrivato in un momento molto particolare: stavamo ancora decidendo se essere i Subsonica, se continuare a fare musica insieme. E il merito di questo nuovo disco è dovuto a lui e ad Adagio, perché ci ha dato la possibilità di liberarci della forma canzone. Abbiamo ricominciato a scrivere in maniera folle, ritornando istintivamente in quei luoghi in cui siamo nati, in quell’utopia. Non dovevamo scrivere delle canzoni, dovevamo poggiare della musica, eravamo più liberi.

Così abbiamo anche capito che eravamo schiavi, da tempo, di un mercato discografico che ci imponeva la canzone. Noi volevamo semplicemente essere liberi di fare musica. Ecco, il film lo abbiamo accettato nel momento in cui non avevamo ancora accettato di essere ancora i Subsonica. E durante la lavorazione di Adagio ci siamo detti: “Ok siamo i fottuti Subsonica, adesso facciamo il disco”.

Credo che la libertà stilistica che abbiamo raggiunto in Realtà Aumentata sia dovuta proprio a questo lavoro.

In questo tour di Realtà Aumentata avete un palco molto particolare…

Il palco andrà a esaltare le nostre differenze. Siamo sempre stati alfieri delle differenze come arma, come forza. Perché nella differenza capisci te stesso e migliori, evolvi.

Negli ultimi tour abbiamo deciso di non avere un palco in cui stavamo insieme, vicini l’uno all’altro a fare air guitar o far volteggiare i capelli, cosa che fortunatamente io non posso fare più (ride, ndr). Ma cinque luoghi, cinque palchi, a sé stanti, che ci impediranno di unirci, e noi dovremo combattere per stare vicini, è un po’ la metafora di quello che è successo negli ultimi anni ai Subsonica.

Questi palchi si muoveranno, qualcuno sarà più in alto, qualcuno più in basso. Poi ci supereremo fino ad allinearci. Ovviamente l’aspetto visuale sarà fondamentale.

Un palco che parla dei Subsonica, ma anche dell’individualismo nella società? 

Potrebbe essere, è una chiave di lettura. Questo è uno dei problemi che affligge il mondo di oggi. Tutte le grosse problematiche del mondo sono state sempre superate insieme. Gli esseri umani non possono prescindere dall’idea di stare insieme.

Secondo me questo è un momento in cui il genere umano sta capendo e imparando dai propri errori: è giusto che esista la singolarità, che sia raccontata, però il fatto di stare in questo pianeta, lanciato in un’elica vorticosa in giro per l’universo, ci rende parte di una cosa sola. Credo, da grande positivista, che un momento così basso di comunione di intenti possa portare a un qualcosa di nuovo e di più unito nel prossimo futuro.