(Attenzione: l’articolo contiene spoiler sull’episodio 1071 dell’anime One Piece)
Dopo essersi riempiti di mazzate, Luffy “cappello di paglia” e Kaido “delle cento bestie”, che si contendono il titolo di re dei pirati, si lanciano l’uno contro l’altro per la battaglia definitiva. Un secondo nemico distrae fatalmente Luffy, e a Kaido non rimane che assestargli un colpo di mazza chiodata in testa. Ma l’assoluta necessità di vincere, e di salvare gli amici, riporta Luffy nel regno dei vivi, con un nuovo potere: il Gear 5, o semplicemente il risveglio. Luffy diventa quello che in realtà è sempre stato: un fumetto.
Ecco che con il suo ultimo episodio, distribuito domenica scorsa sulla piattaforma Crunchyroll, il mondo dell’anime One Piece, che possedeva le stesse leggi della fisica di Dragon Ball, ha finito per assumere quelle dei Looney Tunes. Luffy afferra Kaido – trasformato in un drago della mitologia giapponese – e lo sbatte da una parte all’altra, come Obelix con i romani. Quando Kaido gli sputa fuoco addosso, per la paura a Luffy casca la mascella, gli escono gli occhi dalle orbite, la lingua penzola dalla bocca. Raccoglie il terreno roccioso come se fosse un tappeto elastico, respingendo il fuoco al mittente. Il rimbalzo, ovviamente, fa “boing”. E nel frattempo Luffy ride, come se fosse seduto insieme agli spettatori a guardarsi in tv.
One Piece, l’anime dei record
L’ultimo episodio di One Piece è assurdo quanto il suo ordinale: il millesettantunesimo. Un viaggio impegnativo anche per i salpatori del binge-watching. L’anime di Eiichirō Oda va avanti dal 1999, tre anni più giovane di Un posto al sole, più del doppio degli episodi di Grey’s Anatomy. Ogni anno è tra le serie più viste al mondo; potrebbe essere il fumetto più letto di sempre, sicuramente è quello più venduto. La legge non scritta della serialità vorrebbe che la qualità della serie fosse inversamente proporzionale alla sua durata, una regola che One Piece viola con agio. Più che essere un brodo allungato, One Piece è un “brodo perpetuo”, una di quelle zuppe che non finiscono mai. Cotte per anni e continuamente ri-riempite, con il sapore di decine di ingredienti diversi.
Di ingredienti questa serie ne ha a migliaia, tra personaggi, poteri, istituzioni, isole – il catalogo delle navi è più lungo di quello di Omero – tutti dosati sapientemente. Uno dei più apprezzati personaggi dell’ultimo arco narrativo è stato nominato per la prima volta nel 2016. È Kozuki Oden – per rimanere in tema, l’oden è il brodo giapponese – il leggendario samurai-pirata di cui scopriamo la vita poco a poco, incontrando i personaggi che lo hanno conosciuto. Due anni fa, sedici memorabili episodi consecutivi ci hanno mostrato tutta la sua vita, in flashback, dopo un’attesa durata cinque anni. È un fuoco di storie, Eiichirō Oda, autore unico del manga.
La firma inconfondibile di Toei
Nonostante la fedeltà dell’adattamento e i ritmi di lavoro da manicomio, anche il team di animazione della Toei – che cura la serie da 24 anni – è riuscito a costruirsi un suo segno originale. Prendiamo una sequenza, quella in cui Luffy annuncia la sua trasformazione. Un paio di frame zoomano sul suo volto stilizzato, sullo sfondo compare la scritta “ah ah” (la risata), mentre il suo sorriso si trasforma nel frutto Gom Gom, quello che gli ha dato i superpoteri della gomma, rendendolo elastico. Tutto ciò accade in nove frame: il cervello umano non fa neanche in tempo a registrarlo (i frame al secondo sono ventiquattro). È un esempio dei cosiddetti impact frames dell’animatore francese Vincent Chansard, ideati per enfatizzare l’impatto di un colpo. Quando Luffy afferra Kaido e lo spinge a terra, compaiono alcuni frame in bianco e nero: prima la scritta “slam”, poi le stelline intorno alla testa di Kaido. Impossibile accorgersi di questi dettagli, se non si preme pausa al momento giusto.
Nella battaglia tra Zoro e King, gli aiutanti di Luffy e Kaido, Vincent Chansard ha portato questa tecnica a nuove vette. Immagini quasi astratte, macchie di colore a significare la rabbia di King che si accende. L’atto fondativo di questo laboratorio d’animazione internazionale è stato l’episodio 1066, quello diretto dall’americano Henry Thurlow: la prima volta per un non-giapponese. Per l’occasione erano stati coinvolti diversi nomi dell’animazione europea e americana, tra cui Ian Jones-Quartey e Ole Christian Løken, che hanno incontrato i più celebrati animatori giapponesi, Akihiro Ota e il “samurai dell’animazione” Naotoshi Shida. In periodi di crisi dell’autore, gli anime giapponesi offrono pane per i denti di chi ne ha bisogno.
One Piece, il live action di Netflix
A un mese dall’attesa uscita della serie live action firmata Netflix, l’anime di One Piece raggiunge il suo apice. Nonostante la posta in gioco sia altissima, e il tempo a disposizione troppo poco, il livello è stato sempre alto. Senza dimenticare un particolare: mentre le altre eccellenze dell’industria distribuiscono gli episodi stagionalmente – come lo studio Ufotable, dietro allo sfarzoso Demon Slayer – gli episodi di One Piece escono ogni settimana. E continueranno a farlo chissà per quanti altri anni.
Come scritto alla fine di ogni episodio: “To be continued”.
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