Star Wars Visions Volume 2: esplosioni di colore per un multiverso multiculturale (animato)

Ogni episodio è animato e prodotto da uno studio diverso. E dopo una prima stagione quasi interamente giapponese, la seconda è divisa tra Europa, Africa e Asia. L'Italia? Non c'è (ma questa è un'altra storia)

Star Wars: Visions non è semplicemente una serie antologica dedicata all’universo di Guerre Stellari. Rappresenta anche un’alternativa. Prima di tutto: ogni episodio è animato e prodotto da uno studio diverso. E se la prima stagione era quasi interamente giapponese, con alcuni dei registi e degli animatori più famosi di quel mercato, la seconda, già disponibile su Disney+, è divisa tra Europa, Africa e Asia. Non c’è l’Italia, ma questo è un altro discorso. C’è Cartoon Saloon, che è una delle realtà più importanti, a livello mondiale, per l’animazione 2D. Torniamo però a Visions, a che cos’è.

È un contenitore. Non di idee – perché le idee, quando si parla di Star Wars, tendono a ripetersi – ma di intuizioni. È uno spazio sicuro in cui poter sperimentare e usare l’animazione – che non è un genere, ma un linguaggio – per raccontare qualcosa. Qualsiasi, precisiamo, cosa. A volte, ci si concentra sui protagonisti. Altre volte, ed è un aspetto che i giapponesi hanno evidenziato con particolare interesse, ci si concentra sui temi e sulla filosofia di Star Wars. La forza, il lato oscuro; l’importanza di accettarsi per quello che si è, e non per quello che si potrebbe essere.

Nel secondo volume di Visions, si parte da qui, con due corti strepitosi come Sith e La grotta dell’urlante, e si passa velocemente alla ribellione, all’essere fuorilegge, e quindi diversi rispetto a una regola imposta dall’alto, schiavi, giusti e rivoluzionari. C’è spazio anche per la conoscenza, intesa come insieme di concetti e di verità, e per la responsabilità che, spesso, ne è una diretta conseguenza.

Il personaggio di Lola in una scena di Star Wars: Visions Volume 2, su Disney +

Il personaggio di Lola in una scena di Star Wars: Visions Volume 2, su Disney +

Non c’è un modo più o meno giusto per navigare – non usiamo questo termine a caso, promesso – tra i cortometraggi animati di Visions 2. In teoria, una buona idea potrebbe essere quella di vederli in ordine cronologico, così come sono presentati. Ma anche scegliere a caso, lasciandosi guidare dall’istinto e dalle immagini messe in evidenza, potrebbe essere una soluzione. La cosa più sorprendente, però, è un’altra. Non ci sono semplicemente studi diversi, come dicevamo all’inizio; pure le tecniche utilizzate – 2D, tecniche miste, CGI, stop motion – variano. E dunque: da una parte abbiamo l’uso che i vari artisti hanno fatto di un linguaggio, e dall’altra le strade che hanno deciso, di volta in volta, di percorrere. Questa seconda stagione, rispetto alla prima, si muove da una posizione diversa. Meno spirituale. Più concreta.

Sorprese, matrioske e vendette: tutti gli episodi di Visions 2

Sith, il primo episodio, è un’esplosione di colori e di piani narrativi, costruito volutamente come una serie di matrioske, con una sorpresa dietro l’altra e una protagonista che si trova a metà, in bilico: incapace di ritrovare sé stessa ed attirata, come suggerisce il titolo, dal lato oscuro. La tecnica utilizzata, chiaramente mista, è molto simile a quella già vista in Arcane (Netflix). C’è una riflessione profonda, e per questo interessante, sulla dualità della natura umana. Non c’è bene senza male, e non c’è male senza bene. Proprio come in un quadro non ci sono solo colori chiari o colori scuri: in minima parte, prima o poi, verranno fuori la luce e le ombre. Anche se in un angolo, in punto o in una sezione invisibile della tavola.

La grotta dell’urlante, sviluppato e prodotto da Cartoon Saloon, sceglie un approccio differente. 2D, disegno a mano e la bellezza delle ambientazioni. La geometria degli spazi. Contorni spessi, neri, visibili. Questa non è una storia di riscatto, ma una storia di vendetta. L’occasione che tutti aspettano e che sono pronti a cogliere – nonostante le conseguenze. C’è un inizio delicato, con un gruppo di amici che decide di partire insieme per un’avventura. I dettagli, qui, sono straordinari. Si concentrano proprio su ciò che merita attenzione. Per esempio: visto che i personaggi lavorano in una miniera, hanno gli occhi cerchiati dagli occhiali protettivi, i volti segnati, arrossati sulle guance e più chiari sul naso e attorno allo sguardo. Probabilmente, dei tanti corti, questo è il migliore – e diciamo probabilmente perché, davvero, ce ne sono molti che meritano.

Tra le stelle, il terzo episodio, è in stop motion. E racconta la storia di due sorelle sole contro l’Impero. C’è la poesia delle intenzioni, e c’è un gioco fenomenale delle figure. Tema principale? Né la forza né il lato oscuro. Ma il lutto e l’accettazione del lutto. Se ne La grotta dell’urlante i bambini, per la loro semplicità, vengono piegati dal desiderio di cambiare, in questo caso mantengono la loro innocenza: ed è esattamente quella che fa la differenza.

In Io sono tua madre la storia è decisamente più semplice: come suggerisce il titolo, il fulcro della trama è costituito dal rapporto tra una figlia e sua madre, e tutto il cortometraggio è costruito attorno a questo. Bene o male è un altro discorso. Sicuramente non c’è la profondità dei primi corti, e non c’è nemmeno una grande voglia di innovare tecnicamente.

Viaggio verso la testa oscura è, invece, un cortometraggio anime, sviluppato da uno studio coreano. Il suo punto di forza è il dinamismo delle animazioni e la caratterizzazione, non da poco, dei singoli personaggi. Anche se spesso si finisce nei cliché e nei luoghi comuni – il cavaliere Jedi tormentato, la voglia di rivoluzione che arriva dai più giovani – funziona. La sequenza dello scontro, in particolare, è meravigliosa.

La forma ha il sopravvento

Ne La ballerina spia la forma ha nuovamente il sopravvento; i tratti e i disegni sono misurati, composti, a volte appena accennati. E il lavoro che viene fatto sui movimenti è eccezionale. La protagonista, come recita il titolo, è una ballerina. E quindi tutto, anche i combattimenti, ha al proprio centro la danza. Tocchi, vesti che s’allargano, sagome che si disegnano e che si restringono, che implodono ed esplodono. Il bianco sul nero, le luci. È bellissimo e struggente – un ruolo fondamentale ce l’ha la musica. Attenzione, però: oltre la tecnica e la forma, c’è pure la storia. Che non è così banale come sembra, e che anzi, contrariamente alle altre, lascia una conclusione ancora più aperta. C’è come una promessa, ed è una promessa che si perde tra i ricordi di un bambino, ora uomo, e il desiderio di una madre.

I banditi di Golak e La gola lavorano quasi insieme, spalla a spalla. Se nel primo cortometraggio ci sono, appunto, dei banditi, nel secondo ci sono schiavi costretti dall’Impero a scavare in una miniera per trovare i minerali con cui costruire una città. Se lavorano insieme, comunque, non è per i loro temi. Ma per quello che sembrano dire. Il primo è in CGI, e il secondo, invece, in un misto di 2D. Entrambi, nella loro ricostruzione, ribadiscono l’importanza – e l’invincibilità – della speranza.

La bellezza dei paesaggi

Infine, ultimo ma non ultimo, è Il canto di Aau, episodio numero nove. Ancora una volta, il ruolo centrale è di una bambina e ancora una volta sono la sua natura e la sua unicità a ribaltare le sorti della storia. Torna l’attenzione per i dettagli, e torna pure la voglia di sfruttare al massimo, con la loro bellezza e immensità, i paesaggi. Come ne La grotta dell’urlante, il racconto finisce con un addio. A vincere, però, non è la promessa di una vita diversa, migliore, ma di un posto nel mondo, dove poter esprimere finalmente e totalmente sé stessi. E non solo per sentirsi liberi, ma pure, e forse soprattutto, per liberare gli altri.

Visions, come dicevamo all’inizio, funziona come un enorme contenitore. Star Wars è un’idea. Uno spunto. La scintilla da cui, poi, parte l’incendio. Il resto, che c’è ed è ugualmente fondamentale, è fatto dal disegno, dall’animazione, dalle scelte prese dai singoli studi e dalle intuizioni brillanti dei singoli artisti e registi. Raccontare può essere un esercizio, e può essere un’occasione. In Visions è entrambe le cose.