Una delle note positive degli X-Men è che hanno sempre parlato di attualità. Mutanti e umani, oppressi e oppressori, la paura del diverso e la tolleranza, le loro avventure si sviluppano lungo un filo rosso sempre presente, un’emozione in cui riconoscersi al di là della generazione e una diversità da rivendicare con forza.
La nuova serie X-Men ‘97, approdata il 20 marzo su Disney+, riaccende come un fuoco quella passione per i mutanti, quel desiderio di puntare il dito allo schermo urlando “ti capisco”, quella sensazione, folle, di sentirsi estranei a un mondo standardizzato, di provare a cambiare le cose, di non essere ascoltati e di reagire.
Charles Xavier è morto. Ed era lui il moderato, era lui che desiderava ardentemente un mondo in cui i mutanti e gli esseri umani potessero vivere insieme, nel rispetto reciproco. E nei primi minuti la situazione è la stessa quando nel 1984 è mancato Enrico Berlinguer: morto lui è morto il sogno? Si cerca quindi di raccogliere un’eredità culturale, politica e ideologica pesante, mentre nelle città l’odio per i mutanti cresce, movimenti estremisti si strutturano e colpiscono: rapimenti, torture e linguaggio d’odio.
Lo scisma degli X-Men
I mutanti non sono più al sicuro. E in tutto questo le Nazioni Unite cercano di mediare, catturare Magneto, terrorista mutante per eccellenza, mentre all’interno della scuola di Xavier, Ciclope – con la sua sindrome da leader mancato – vorrebbe essere il nuovo “professore” e allo stesso tempo cercare di vivere una vita normale con la moglie Jean Grey – la fenice con poteri immensi – e il loro figlio nascituro.
Loro che sono stati i primi X-Men ora potrebbero avere la necessità di abbandonare la scuola. Ma se il figlio nasce mutante? Allora là fuori non è un posto ideale. E quella struttura è l’unica magione che ospita ogni X-Men, che gli dà riparo e che conta su una comunità che si protegge.
I mutanti continuano a essere oggetto di odio e persecuzione, proprio per questo Magneto era diventato estremista: sopravvivenza. Ma si sa, lo dice anche lui, gli oppressi rischiano di diventare oppressori, ed è così, con questa frase pronunciata di fronte ai giudici delle Nazioni Unite che X-Men ‘97 corona il suo obiettivo di raccontare il presente, di giocare sul bipolarismo politico contemporaneo e di accendere la luce al fondo del tunnel.
Un tuffo negli anni Novanta
E sembra un sogno, perché l’animazione è colorata e giocosa, un tuffo negli anni Novanta: espressiva e di forte impatto. Il design, i font, la colonna sonora, i costumi: X-Men ‘97 è un ricordo, sembra di averla già vista, di stare recuperando qualcosa di “vecchio” con un paio di occhi “nuovi”. Quella cassetta che si guardava a ripetizione fino a consumarla, saltando sul divano e sentendo nel profondo del proprio cuore di essere un X-Men.
Ma sarebbe ingiusto pensare che questa serie, prodotta da Marvel Animation e firmata da Beau DeMayo, sia pensata solo ed esclusivamente per un pubblico adulto e nostalgico. Certamente il target è anche quello, ma l’obiettivo è più alto, è trattare un argomento profondo senza banalizzarlo, con un linguaggio semplice e con personaggi carismatici, avventure appassionanti e azione al cardiopalma. Una storia che affonda le proprie radici sulla lotta politica degli X-Men dopo la chiusura del programma Sentinelle, i robot costruiti per dare la caccia e uccidere i mutanti, e anche lo scisma interno agli stessi eroi sulla linea da perseguire.
Dopo due episodi, le aspettative sono alte, e la previsione è che X-Men’97 non tradirà l’anima di questi supereroi che ha con così grande affetto raccolto e sviluppato in un prodotto televisivo ingegnoso e attuale. Non è solo un revival della serie Insuperabili X-Men del 1992, è qualcosa di diverso, unico e, per questo, prezioso. Insomma, gli X-Men devono nuovamente lottare per i loro diritti, ma con una nuova speranza: i mutanti andranno in paradiso.
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