![Una scena di Briganti](https://www.hollywoodreporter.it/wp-content/uploads/2024/04/briganti-recensione-serie-netflix-brigantaggio-trama-cast-uscita-storia-vera.jpeg)
È sempre la stessa storia. O meglio, la storia di volta in volta è sempre diversa ma è trattata nello stesso modo. Con quella libertà narrativa che intreccia il romanzato con la leggenda passando, addirittura, per il revisionismo. Ultimo esempio Briganti, la serie Netflix firmata dai GRAMS*, il collettivo già dietro Baby composto da Antonio Le Fosse – anche regista insieme a Steve Saint Leger (Vikings, Vikings: Valhalla, Barbarians) e Nicola Sorcinelli (Moby Dick) – Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol.
Un crime western composto da 6 episodi, prodotto da Fabula Pictures in associazione con Los Hermanos, ambientato nel Sud Italia, due anni dopo l’Unità d’Italia.
Briganti, la trama
È la voce fuori campo di Giuseppe Schiavone (Marlon Joubert) a darci le coordinate spazio temporali per inquadrare il racconto. Dopo aver combattuto fianco a fianco con le camice rosse dei garibaldini resta in lui la delusione e lo scontento di una promessa mancata. Il sud Italia, terra ricchissima, diventa vittima di saccheggi selvaggi e gli uomini di Garibaldi lasciano dietro di loro solo fame e miseria.
![Marlon Joubert in una scena di Briganti](https://www.hollywoodreporter.it/wp-content/uploads/2024/04/BRIGANTI_101_Unit_01019RC.jpg)
Marlon Joubert in una scena di Briganti
Schiavone parte così alla ricerca del cosiddetto oro del Sud. Sul suo cammino incontrerà una donna, Filomena (Michela De Rossi), che per sfuggire a un facoltoso marito violento si unisce a un gruppo di briganti dei quali diventerà parte integrante.
Briganti, tra leggenda e licenze storiche
“Per essa avrei dato fuoco al mondo” c’è scritto sulla mappa custodita da Schiavone che nasconde il segreto sull’oro a cui tutti aspirano. Ma di fuoco, inteso come calore e intensità, ce n’è ben poco in Briganti. A dare ritmo a un racconto che di suo non si discosta molto da prodotti in costume simili, la colonna sonora firmata da Michele Braga intervallata da brani moderni. Elemento dissonante rispetto all’ambientazione e scelta già ampiamente battuta da altri titoli. Così come l’uso di elementi storicamente incorretti, tra tatuaggi, trucco e armi.
Formalmente curata – al netto delle licenze storiche – nei costumi, nelle scenografie, nella fotografia e nella gestione di sequenze di combattimento, Briganti ha dalla sua la possibilità di attrarre un pubblico internazionale. E questo proprio in virtù di uno stile in linea con altre produzioni Netflix e quindi “riconoscibile”, nonostante racconti una storia molto locale. Ma non necessariamente questa sua riconoscibilità è uno strumento a suo favore. Il rischio è quello di non trovare una propria unicità ma omologarsi ad altri titoli che affollano le già nutrite fila della piattaforma.
![Matilda Lutz in una scena di Briganti](https://www.hollywoodreporter.it/wp-content/uploads/2024/04/BRIGANTI_105_Unit_00084RC.jpg)
Matilda Lutz in una scena di Briganti
Una storia romanticizzata
Disinteressata ad approfondire la questione meridionale, la serie strizza l’occhio allo spaghetti western di Sergio Leone, tra campi larghi, sigari e cappelli a falda larga. E si concentra, inoltre, nel delineare il ritratto dei briganti come i buoni della storia contrapposti allo Stato e ai “piemontesi” con una forte attenzione alla componente femminile ricollegata alla leggenda che apre la serie secondo cui “una donna libererà il sud”.
Così facendo il fenomeno del brigantaggio viene romanticizzato e i suoi protagonisti assurgono a figure dai tratti eroici, dimenticando tanto altro. Una scelta narrativa, indubbiamente. Ma quando si tratta di maneggiare materiale del genere, sebbene ispirato a figure realmente esistite, si dovrebbe evitare così tanta confusione (storica).
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