Gloria, la protagonista della serie Netflix La vita che volevi, prodotta da Banijy Studios Italy, dal 29 maggio 2024 sulla piattaforma, è una donna di successo, in carriera, tutta d’un pezzo. Non sembra avere crepe la corazza che si porta in giro, quella sua bellezza statuaria, quella sua professionalità indiscussa. Guarda sempre avanti, anche perché nel suo passato ha lasciato tutto ciò che non voleva. O pensava di non volere. Ed è felice così.
La vita che volevi, la trama
Di quegli anni precedenti a quelli che scorgiamo in queste sei puntate, le è rimasta un’amica, Marina, di quando frequentava l’università a Napoli. Poi se n’è andata a Lecce, ha aperto un’agenzia turistica, ha trovato l’amore in Ernesto, sembra molto realizzata. Gloria in fondo è lo specchio di ciò che vediamo: una donna determinata che ha programmato, con ordine e determinazione, la sua felicità. E a quanto pare l’ha ottenuta.
Gloria è una donna AMAB (Assigned Male at Birth, ovvero maschio assegnato alla nascita) che ha completato la sua transizione – Ivan Cotroneo, regista e cosceneggiatore della serie prodotta da Banijay Studios Italy ci tiene a ricordare che “il termine completa vale per chi vive il processo, non per chi ne è al di fuori” – e che in Marina ritrova un affetto importante (e non sarà l’unico, perché arriverà anche un figlio di cui non sapeva nulla) ma anche il dover fare i conti con ciò che è stata.
La vita che volevi, le parole di regista e protagonista
“La serie nasce – continua il cineasta e scrittore – dal desiderio di raccontare una donna AMAB, oltre i luoghi comuni sulle persone transgender, dopo tante serie con protagoniste donne cisgender e poche altre opere che ne drammatizzano ed enfatizzano la condizione di emarginati, avevo il desiderio di mostrare qualcosa di inaspettato per il nostro immaginario. E la genitorialità di Gloria, per di più di un ragazzo adolescente, mi sembrava un ottimo punto di partenza”.
A dare corpo e anima alla protagonista è Vittoria Schisano, attrice e donna T – ha raccontato il suo percorso esistenziale e artistico nel bel libro scritto con Alessio Piccirillo Siamo stelle che brillano.
“Ha vinto il provino – sottolinea Cotroneo – per il suo talento e la verità che ha portato al personaggio, non abbiamo voluto usare la sua autobiografia in alcun modo, io non l’ho neanche letto il suo libro per non farmi condizionare. Abbiamo cercato sì di far aderire lei al personaggio e viceversa, ma rimanendo lontani dalla sua biografia. Per il ruolo abbiamo provinato solo attrici transgender”.
E viene naturale chiedersi se la scelta sia politica o artistica. “Esclusivamente artistica, credo che in questo caso la verità di quella condizione potesse essere restituita esclusivamente dall’averla vissuta. Ma non ho alcun approccio ideologico a questo, infatti ne La compagnia del cigno – serie tv Rai sulla danza – una giovane trans interpreta una donna cisgender. Ho ragionato come per ogni ruolo, in alcuni casi le proprie esperienze e vissuto possono aiutare a costruire il personaggio, in altre non sono necessarie”.
Vittoria Schisano, un’attrice finalmente felice
“È un personaggio vero che mi ha messo di fronte a lati di me che non mi aspettavo, che non conoscevo. Così tanto che alla fine ho comprato casa in Salento anche per sentirmi addosso ancora un po’ i panni di Gloria, così decisa e coriacea in confronto a me, così emotiva e a volte fragile. Non ha mai pensato all’essere genitore questa imprenditrice di successo, chissà forse pensava di non meritarlo”
“Non a caso, nella serie, rifiuta questo figlio inizialmente, perché torna da un passato che vuole dimenticare. Ma poi se ne innamora ed è allora che riflette sulla vita che voleva davvero, si scopre altra ancora rispetto a quanto immaginasse. Si innamora di tutto ciò che le riguarda: anche delle sue stesse fragilità di donna e madre, delle paure e delle imperfezioni, perché la bellezza vera delle persone sta lì dentro, nella parte più nascosta e delicata di noi e rendono la nostra vita meravigliosamente unica”.
Ci tiene, la protagonista, a sottolineare una cosa in particolare. “Il regalo più grande che mi hanno fatto Ivan e Monica (Rametta, cosceneggiatrice) è che nessuno racconta una donna AMAB come quello che è e si sente, qui e ora: una donna. C’è sempre la retorica, il patetismo, la sofferenza, ma siamo e possiamo essere anche questo, persone realizzate, proiettate al futuro. Non essere la nostra condizione di genere, ma esseri umani, cittadine. Invece troppo spesso la nostra identità di genere invade tutte le nostre identità: emotive, professionali, relazionali”.
Una svolta come attrice, prima ancora che come persona. “Gloria è Gloria e come tutti ha un passato con cui fare i conti. Da anni cercavo un ruolo così e spesso trovavo solo personaggi patetici, stereotipati, che non mi rendevano felice. Dovevo pagare il mutuo, li facevo, ma non ero felice. Qui sì, perché io sono un’attrice. Ho studiato per esserlo, mi sono sacrificata per anni per fare questo lavoro e devo poter fare come tutte la suora e la puttana, la madre e la serial killer, e vale anche per le mie colleghe cisgender. Possono fare delle donne T, serenamente. Credo solo che non essendoci mai stata una storia così, abbia cercato la verità fuori e dentro il ruolo”.
Si commuove.
“È vero, io porto addosso la mia verità, ma devo poter essere altro”.
La vita che volevi, il cast
“Volevamo un personaggio vero, né santino né patetico – chiosa Monica Rametta -. Un personaggio di cui alla fine, scrivendolo, mi sono innamorata. Certo, alcuni aspetti del suo carattere arrivano anche da persone conosciute, da sceneggiatori siamo un p0′ ladri di vite private, ma ammetto che in questo caso Gloria nasce molto dal racconto stesso, una creazione vera che va oltre ciò che sapevamo. Volevamo un personaggio vero, sfaccettato, lontano anche dagli archetipi legati alle intenzioni più nobili”.
“Vittoria ci ha restituito una verità tale che tutti noi – ammette Giuseppe Zeno – abbiamo dovuto farci i conti. E così non è stato facile, per me, rappresentare uno sguardo maschile che non era consapevole di ciò che Gloria era, ma che al contempo sa chi è Gloria. E questo lavoro, a contatto con lei e parlandone con Ivan, è stato importante, come attore e come uomo”.
“È stato un set pieno di grazia, un set felice in cui siamo diventati un gruppo – interviene ancora Schisano -, in cui ci siamo stati vicini laddove spesso la politica crea distanze. In cui siamo stati una comunità, perché vivendo certe cose e vedendole in questa serie, spero, sarà più evidente un’ovvietà per cui ci battiamo da sempre: i diritti sono di tutti, altrimenti sono privilegi. Gloria è una donna T che supera il pregiudizio altrui, è una donna che viene giudicata per ciò che dice, per ciò che fa.
Penso a Karla Sofia Gaston, premiata a Cannes 77 per Emilia Perez: quel riconoscimento le permette di vivere la sua storia essendo riconosciuta nell’agone in cui giocano tutti, non è stata ideata una menzione speciale o una categoria a parte per lei. È un’attrice, è una donna, il suo processo privato di transizione non conta se non per lei. La giuria del festival va applaudita”.
“C’è una cosa semplice nella narrazione che mi ha conquistato – dice un altro componente del cast, Alessio Lapice – il fatto che il carisma, il fascino, la forza del personaggio di Gloria la renda il centro di gravità permanente della comunità che racconta, a un certo punto ha l’attenzione di tutti e questo annulla immediatamente, naturalmente le distanze di cui lei parlava. Sono molto felice del lavoro fatto sul personaggio per evitarne i possibili cliché e da essere umano ho capito quanto possa essere dannosa, per chi la prova e per chi ne è oggetto, un’ossessione. Qualcosa che sappiamo, ma di cui non ci rendiamo davvero conto a fondo”.
“C’è qualcosa di junghiano in questa serie, che parte dall’ossessione del controllo, dall’autodeterminismo che ci ha insegnato la modernità, per trovare la vita in ciò che invece ci sfugge – interviene Pina Turco, il cui talento ha illuminato sia il cinema (Il vizio della speranza, Fortuna) che la tv (le opere di Eduardo dirette da Edoardo De Angelis, La vita bugiarda degli adulti) -. E quello che sfugge qui è proprio Marina, maldestra e frettolosa, mi fa impazzire di gioia questa donna che rappresenta la scheggia impazzita di un quadro che si voleva perfetto. Sentirsi inadeguati come Marina, per la sua bulimia affettiva che la rende vittima di se stessa, me l’ha fatta amare e agguantare nella maniera più onesta possibile. In un’opera del genere è lei la chiave perché ciò che sembra aperto e esplicito diventa intimo e fragile”.
Quel prete che sa sorprenderti
Tra le svolte imprevedibili e sorprendenti di queste sei puntate c’è infine, di sicuro, un prete, un rappresentante del clero anticonformista che diventa un elemento di sostegno e di amicizia per Gloria. Perché la serie racconta soprattutto questo: legami, relazioni, amicizia. In modo mai banale. “Non è poi così strano – sottolinea Cotroneo -, l’idea nasce da una notizia che lessi durante il lockdown, su una lettera che delle sex worker transgender spedirono al Papa, in cui gli esposero la difficoltà di sopravvivere in quel mondo privo di contatti fisici. Senza giudizio, per empatia e compassione umana, lui mandò loro l’elemosiniere e a emergenza Covid finita le ricevette in Vaticano”. A dimostrazione che il bigottismo conservatore a volte è in chi frequenta le chiese e non a chi le guida.
“A me piaceva molto essere la perpetua di questo prete, come attrice. E ci ho messo, qui sì – ammette Vittoria – parte della mia esperienza personale. Ho pensato a un sacerdote che, mentre mia madre rischiava di essere piegata dai pregiudizi della società, soprattutto della provincia in cui sono nata – è di Pomigliano -, le disse “hai forse dimenticato di chi è figlia?”. Ovvio che non tutti sono così illuminati, ma esistono. E poi io sono credente, ho smesso di prendere i sacramenti come la comunione solo perché non mi siedo a un tavolo a cui non sono invitata. Ma sono convinta di esserne degna come tutti”.
Personaggi e azioni che non devono essere censurati. A dirlo, per primo, è Ivan Cotroneo.
“Il pubblico è molto più avanti della politica culturale, televisiva, amministrativa. Sono sicuro che si innamoreranno di Gloria, come è successo a tutti sul set, anche ai ragazzi più piccoli a cui ho raccontato tutto di Vittoria. E loro riconoscevano questa storia, hanno vicini di casa o parenti o amici che hanno vissuto quest’esperienza. Ma magari nelle serie generaliste poi troviamo una serie in cui in 250 puntate non trovi neanche un componente della comunità LGBTQIA+. E allora in quel caso operi una censura rispetto a quello che esiste nel nostro quotidiano. Siamo orgogliosi di essere i primi a raccontare una protagonista transgender in una serialità televisiva, ma trovo incredibile non fosse ancora successo”.
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