James Hawes: “Da Black Mirror allo Schindler britannico, ecco le mie avventure parallele nelle grandi serie e al cinema”

Parla il regista di One Life, con Anthony Hopkins, presentato ad Alice nelle città: la storia vera di Sir Nicholas Winton che salvò quasi settecento bambini ebrei dai nazisti. Un debutto al lungometraggio dopo la regia di alcune delle serie tv più importanti degli ultimi vent'anni. Compresa Doctor Who, amata dalla regina Elisabetta: "Mi dette il permesso di girare sotto la Torre di Londra, fu lì che capii la svolta degli show". L'intervista con THR Roma

“Dovremmo continuare o aspettare un momento?”. James Hawes decide di fermarsi. Prima tre, poi quattro, cinque, sei volanti della polizia con le sirene accese sfrecciano dietro Casa Alice mentre il regista parla di One Life, film presentato ad Alice nella Città – e prossimamente al cinema con Eagle Pictures – con protagonista Anthony Hopkins nei panni di Sir Nicholas Winton, lo “Schindler britannico” che, prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, salvò circa settecento bambini ebrei. “Credo vadano solo a pranzo”, afferma con un tipico e distaccato humor inglese.

La pellicola segna il suo debutto alla regia dopo aver diretto alcune delle serie tv più importanti degli ultimi vent’anni, da Doctor Who – “La Regina Elisabetta lo amava” – a Black Mirror passando per Slow Horses che ha dovuto lasciare proprio per dedicarsi al suo esordio. “È un po’ strano”, confida a THR Roma. “Mi sento come se stessi lasciando andare il mio bambino”. Lo scorso giugno Hawes ha iniziato le riprese del suo secondo lungometraggio, il thriller di spionaggio The Amateur. Ma un mese dopo è arrivato lo sciopero degli attori a fermare la produzione. “Ci siamo sentiti come se fossimo caduti da un edificio”.

Anthony Hopkins è Sir Nichilas Winton in One Life

Anthony Hopkins è Sir Nichilas Winton in One Life

Su YouTube è possibile vedere il vero filmato del programma della Bbc That’s Life in cui Sir Winton scopre di essere circondato dai bambini, ormai cresciuti, che aveva salvato anni prima. Come ha lavorato su quella scena nel ricreare qualcosa di reale ma donandole un suo punto di vista?

Uno dei vantaggi è che il film aveva già un finale. Sapevo che sarebbe stato potente. Ma da drammaturgo, se c’è qualcosa che già esiste in un filmato reale, devi sempre chiederti: “Cosa sto aggiungendo? Cosa ci sarà di più del filmato di YouTube che ogni anno diventa virale?”. Abbiamo discusso sul rendere l’esperienza dal punto di vista di Nicholas. Perché il video su YouTube mostra quello della tv che lo osserva come pubblico, non stando seduto accanto a lui come uomo. Così, quando si entra nello studio televisivo arriviamo lì con Nicky, siamo con lui con la stessa perplessità e confusione su ciò che sta scoprendo.

Avete lavorato sul altri dettagli per rendere quella sequenza ancor più emotiva?

Uno dei produttori ha avuto l’idea di invitare i figli dei bambini salvati durante la guerra. Il pubblico è interpretato da veri sopravvissuti. Quando la conduttrice chiede: “Qualcuno deve la sua vita a Nicholas Winton, per favore si alzi in piedi?”, è tutto vero. Quel giorno non sarebbero stati in studio se anni prima Nicky non avesse salvato i loro genitori. Durante le riprese tutta la troupe, dagli elettricisti agli operatori di ripresa, non faceva altro che singhiozzare.

Lei ha lavorato a lungo in televisione. One Life è il suo primo film. Perché questa storia per il suo debutto cinematografico. E perché ora?

Sono cresciuto con il desiderio di lavorare nel cinema. Vorrei poter dire che la mia carriera è stata indirizzata da questo e che ho fatto sempre grandi film. Ma i percorsi nel cinema e nella televisione vanno in modo diverso. Sono stato incredibilmente fortunato. Soprattutto con l’arrivo della tv di alto livello grazie alle piattaforme, dove l’ambizione di raccontare storie sullo schermo è grande e spesso le risorse sono maggiori di quelle che può offrire il cinema. Forse ho intrapreso un’avventura parallela. Ho realizzato Slow Horses, una serie dal respiro cinematografico, con una società chiamata See-Saw Films. Aveva una storia, One Life, con Anthony Hopkins come protagonista. Me l’hanno portata e mi hanno chiesto: “Ti piacerebbe farlo?”.

Sir Winton è riuscito a salvare tutti quei bambini anche grazie all’aiuto del governo inglese che li ha accolti. Oggi invece, sia in Europa che negli Stati Uniti, i rifugiati vengono respinti e vengono costruiti muri ai confini.

Penso che i vari governi debbano guardare a ciò che Sir Nicholas Winton ha fatto anni fa. Dobbiamo ridefinire il significato di rifugiato. Abbiamo questa immagine, di solito spinta dalla stampa e dai politici di destra, di persone povere, pericolose, che vogliono solo derubarci. Ma questa non è la verità. L’America e la Gran Bretagna sono composti da rifugiati. Veniamo da tutto il mondo. La famiglia di Nicky non era britannica. Erano loro stessi rifugiati. Ora raccontiamo questa storia con orgoglio.

Ne parliamo come un film e un esempio di generosità britannica che ha messo le sue radici in Europa grazie ad altri rifugiati. È estremamente importante pensare in modo diverso, cambiare i nostri sistemi. I muri saranno sempre attraversati e infranti. Basta pensare al muro di Berlino o a quello al confine tra Stati Uniti e Messico. Su YouTube ci sono video che ritraggono decine di persone che lo scalano o ci passano sotto. Dobbiamo cambiare il modo in cui la politica si occupa di ricchi e poveri di questo mondo.

Helena Bonham Carter

Helena Bonham Carter in una scena di One Life

Come ha lavorato con Anthony Hopkins e Jonny Flynn? Interpretano lo stesso personaggio ma in età diverse. Ha chiesto loro di passare del tempo insieme per condividere dei dettagli, anche fisici, del protagonista?

Jonny Flynn è un attore brillante, ma anche un attore umile. Non è un interprete che cerca di imporre la sua performance. Era incredibilmente onorato di recitare al fianco di Anthony Hopkins, che è ovviamente una leggenda. È venuto sul set quando Tony stava recitando alcune delle prime scene che lo hanno impegnato per i primi 15 giorni di riprese. Hanno parlato e studiato i gesti, il modo in cui muovevano gli occhiali o in cui si tenevano quando erano nervosi, la piccola esitazione nella voce.

Tutte cose che hanno condiviso. Hanno entrambi questa tecnica di leggere semplicemente il copione e guardare i filmati reali ancora e ancora. Si trattava di far incontrare due persone, sapendo che erano entrambi attori affascinanti e generosi, e poi lasciare che facessero il loro lavoro rispettando Nicky e rispettandosi a vicenda.

Ha lavorato in alcuni dei più grandi show televisivi degli ultimi vent’anni. Si è reso conto che quel medium stava cambiando? Ricorda un momento in particolare?

Credo che ci siano stati due o tre momenti memorabili. Ho diretto il primo speciale natalizio di Doctor Who. Una serie molto britannica. In quel periodo si diceva che la tv per famiglie era morta. Che i giorni in cui ci si sedeva per condividere lo stesso programma insieme erano terminati perché la gente ormai guardava tutto sugli iPad. E all’improvviso abbiamo avuto uno show in cui tutta la famiglia era di nuovo seduta insieme. Per lo speciale di Natale, abbiamo dovuto scegliere dove nascondere il quartier generale al centro della storia. Ricordo che dissi: “Voglio nasconderlo sotto la Torre di Londra”. Così abbiamo chiesto il permesso alla Regina. E lei ha detto di sì, perché amava Doctor Who! A quel punto sapevamo che da piccoli bambini di sette anni fino a Sua Maestà la Regina avevamo uno show che riuniva la Nazione per 45 minuti ogni settimana. È stata una sensazione enorme.

Altri momenti memorabili?

Quando le star del cinema sono tornate alla tv per la prima volta dopo decenni. Si sono resi conto che c’era fame di nuove storie e della possibilità che la tv aveva di mettere in scena racconti importanti ma che non sarebbero necessariamente arrivati al cinema. E poi è successa la terza cosa, che io attribuisco a House of Cards su Netflix. Quando cioè, improvvisamente, è stato possibile raccontare grandi storie in modo più dettagliato attraverso 10, 12, 15 episodi. E le persone hanno iniziato a fare quello che oggi chiamiamo “binge watching”. Qualcosa che non era mai avvenuto prima. Il fatto che questo aspetto possa affiancarsi alla visione in famiglia e al cinema, come credo avverrà sempre di più dopo la pandemia, dimostra l’importanza della narrazione in tutte le società.

Un'immagine di The Christmas Invasion, lo speciale natalizio di Doctor Who diretto da James Hawes

Un’immagine di The Christmas Invasion, lo speciale natalizio di Doctor Who diretto da James Hawes

Dirigerà un film di spionaggio, The Amateur. Il cast è straordinario. Cosa può anticipare di questo progetto?

È interpretato da Rami Malek, Rachel Brosnahan, Lawrence Fishburne e molti altri attori. È prodotto dalla 20th Century Studios. Siamo a metà delle riprese. O meglio, a luglio eravamo a metà delle riprese. Posso solo sperare che questa settimana le notizie dalle trattative a Los Angeles portino alla possibilità di un ritorno alla produzione. Avevamo realizzato 29 giorni di riprese su 58. Eravamo esattamente a metà strada. Ora dobbiamo tornare indietro e preparare tutto da capo. Non sarà facile ripartire. È come passare dal pieno regime per poi dover tornare alla velocità da crociera.

Cosa ha provato quando ha capito che dovevate fermarvi?

Anche se sapevamo che lo sciopero era probabile, che tutti i segnali indicavano che sarebbe avvenuto per il giorno stabilito, lo scorso 14 luglio, ci siamo sentiti come se fossimo caduti da un edificio. Perché quando si gira è come se si combattesse. L’adrenalina è al massimo. Tutto funziona a un certo ritmo, e ci vuole tempo per decomprimere. Ricevi 200 mail al giorno, il telefono non si ferma mai e tutti ti fanno domande in continuazione. Passare da tutto questo al nulla, senza sapere quando tornerai, è difficile. Non si può andare a sdraiarti su una spiaggia per sei mesi e pensare: “Tornerò”. Perché non sai quanto durerà. Potrebbero essere due giorni, due settimane, due mesi. È stato molto strano e ovviamente estremamente difficile per molte persone che non stanno lavorando e quindi non guadagnano. Il 75% dei lavoratori dell’industria britannica è attualmente disoccupato.

Johnny Flynn in una scena di One Life

Johnny Flynn in una scena di One Life

Pensa che l’industria cambierà dopo lo sciopero? O tutto rimarrà come prima?

Qualcosa deve cambiare. Con l’arrivo delle piattaforme l’industria è radicalmente mutata negli ultimi dieci anni. Non c’è dubbio. Non voglio commentare ciò che i singoli sindacati hanno negoziato o stanno negoziando al momento. Ma ritengo che lo status degli autori debba cambiare all’interno del piano aziendale. Faccio parte della Directors Guild of Great Britain e siamo dello stesso parere sulla questione dei diritti. Il mercato è cambiato. Gli sceneggiatori devono essere ricompensati per questo.

Cosa pensa, invece, dell’uso dell’intelligenza artificiale nel cinema?

Non credo che sappiamo ancora quali saranno le conseguenze del suo avvento e cosa comporterà per gli sceneggiatori. Credo sarà un cambiamento radicale in tutte le nostre vite. Parliamo dell’intelligenza artificiale quasi con un sorriso perché ci rende nervosi e un po’ incuriositi. Ma cambierà radicalmente le nostre vite. Molti lavori, dai commercialisti agli avvocati passando per i medici vedranno le loro carriere radicalmente ridotte. Ma penso anche che ci sarà sempre posto per le creazioni umane, empatiche e guidate dallo spirito.