Nicolas Maupas, il senso del futuro e Marconi: “Ho avuto molto più di quello che speravo. Voglio raccontare storie libere”

La paura di cadere e il saper rubare con gli occhi, il racconto di un maschile che non ha paura di mostrare le sue fragilità e la voglia di "sporcarsi", la gratitudine e la speranza di "accendere micce". L'attore, protagonista il 20 e 21 maggio su Rai Uno in Marconi, l'uomo che ha connesso il mondo e che presto vedremo nella sua prima esperienza internazionale al fianco di Sam Claflin ne Il conte di Montecristo, si racconta. L'intervista di THR Roma

“Spero di non annoiarla”. Esordisce con una risata Nicolas Maupas quando THR Roma lo intervista per la terza volta in pochi giorni. Ospite del Riviera International Film Festival dove, insieme a Damiano Gavino, è stato ospite di un incontro sold out dedicato a Un professore, lo ritroviamo alla fine di una lunga giornata di prove per un nuovo progetto ancora top secret. “Non voglio chiamare in causa l’ansia da prestazione, ma i molti pensieri che si possono avere su un personaggio magari vengono un pochino scaglionati in queste fasi. E poi è divertentissimo perché incominci a intravederlo”, confida l’attore, classe ’98.

Dal 2020, anno del suo esordio con la prima stagione di Mare fuori, Nicolas Maupas non si è mai fermato diventando uno dei volti più rappresentativi della serialità e del cinema italiano. Travolto, ancora giovanissimo, da un successo improvviso, l’attore però ha una consapevolezza matura e una gratitudine sincera per il periodo che sta vivendo. Lo si evince dalle sue parole, riflessive e calibrate, mai fuori posto. Una caratterista che condivide con alcuni colleghi della sua generazione.

Protagonista il 20 e 21 maggio in prima serata su Rai Uno con Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo, serie diretta da Lucio Pellegrini e prodotta da Simona Ercolani per Stand by me in collaborazione con Rai Fiction in cui interpreta il giovane inventore, lo vedremo presto anche ne Il conte di Montecristo. La prima esperienza internazionale in cui sarà al fianco di Sam Caflin e Jeremy Irons diretti dal premio Oscar Billie August nella trasposizione per il piccolo schermo del classico di Alexandre Dumas. “Non ho avuto paura, ma ho realizzato la grandezza di quello che stavo andando a fare”.

Nicola Maupas in una scena di Marconi, l'uomo che ha connesso il mondo

Nicola Maupas in una scena di Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo

In Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo, oltre a recitare in costume, ha messo in campo una gestualità inedita. Questo ha significato un cambiamento anche nell’approccio al movimento del corpo?

Ci sono epoche in cui c’era un modo di fare e di comportarsi diverso. Un codice vero e proprio anche a livello fisico. Quindi bisognava andare a studiare quelle piccole cose. Poi nel caso di Marconi forse sono i lasciti di tutta la grande tradizione del bon ton. Però è vero che il corpo cambia. Anche pensando semplicemente a come stavano seduti gli uomini. Ora, mi passi il termine, siamo molto più stravaccati (ride, ndr).

Ma ci sono una serie di piccole cose che, fino a quando non ci pensi, poi non te ne rendi conto. Con Marconi, ad esempio, mi sono ritrovato a dover pensare a determinati elementi: dalla postura al linguaggio. Anche il costume mi ha aiutato. Nella serie mi è capitato di usare un orologio da taschino. Un oggetto che mi piace tantissimo. Quel gesto lì dà un contesto ben preciso. Mi sentivo di fare dei grandi passi indietro nel tempo.

Quando Marconi inventò la radio disse che sperava di “usare le conquiste delle scienza per il bene comune”. Un pensiero estremamente attuale. Com’è stato entrare nei panni di un uomo che già all’epoca aveva questo senso critico?

Non è stata una domanda che ha avuto questo grande peso per me all’interno del progetto, perché l’ho interpretato nella parte iniziale, quando la sua ricerca scientifica non aveva ancora contaminazioni politiche. È stato semplicemente un raccontare la voglia di un ragazzo di realizzare un sogno. Credo che il timore della possibilità di quello che una tecnologia del genere poteva portare non era sicuramente una cosa che balenava troppo nella sua testa. Poi lo è diventato, ma perché secondo me si è reso conto della potenza di questo mezzo, di quello che ha inventato. Ed è stato sicuramente abbastanza premonitore nella sua frase, perché oggi abbiamo tante complicazioni che derivano dalla tecnologia.

Il fatto di poter leggere qualsiasi cosa, di poter veicolare messaggi a questa velocità sicuramente può portare a delle conseguenze negative nella vita di una persona. Personalmente riconosco questo enorme mezzo di comunicazione, faccio ancora un pochino fatica a rapportarmi. Ma perché, banalmente, non saprei in questo momento cosa raccontare sui social. Non racconterei la mia vita privata, non avrei interesse a farlo. Soprattutto perché ci tengo. Ci devo ancora ragionare molto su cosa far passare.

È attore in un momento storico in cui chiunque può dire la sua, anche senza utilizzare gentilezza o filtri. È qualcosa per la quale ha imparato ad avere una corazza o il giudizio altrui è qualcosa che le interessa poco?

La critica la leggo e le do anche un pochino di importanza. Ma cerco di non farla diventare un’ossessione. Però è sempre costruttiva, ti riporta spesso con i piedi per terra e ti fa ragionare sul tuo percorso e sul tuo lavoro. E secondo me ti aiuta anche a non eccedere in arroganza in un modo di fare troppo espansivo. Non mi permetterei di dire tutto quello che mi passa per la testa, perché a volte so che posso ragionare in maniera sbagliata e mi posso ricredere su tante cose. Non sono ermetico, ma filtro molto in maniera sana.

Ha paura di sbagliare?

Sì, tantissimo. Anche perché è un percorso che, a volte, ti porta a fare dei grandi passi in avanti. Quindi guardarti un pochino indietro ti fa paura e dici tra te e te: “Spero di non cadere”.

Nicolas Maupas

Nicolas Maupas

Lei sul set ruba con gli occhi? Non soltanto dai suoi colleghi attori, ma anche da chi è dietro la macchina da presa, dalle maestranze.

È una delle cose che ti insegnano a teatro. Un consiglio che ti danno sempre è quello di rubare tanto dagli altri. È materiale umano dal quale attingere. Per esempio, per un discorso di luce, il primo direttore della fotografia con il quale ho lavorato su set di Mare fuori mi ha fatto capire anche come un attore si deve muovere in base alla luce. Una cosa che mi sono portato dietro nel lavoro e instauri anche un rapporto con quelli che sono dei macchinari intorno a te. La macchina del set è veramente un corpo umano, quindi se si spacca un braccio tutto ne risente. Capisci l’importanza di tutte le maestranze e che tutti hanno qualcosa da insegnarti.

Non può entrare nei dettagli de Il conte di Montecristo. Ma com’è stato confrontarsi con delle personalità così grandi, entrare in un set dal respiro internazionale?

Scioccante (ride, ndr). Non ho avuto paura, ma ho realizzato la grandezza di quello che stavo andando a fare. Un universo che conoscevo in parte, anche per la questione della lingua. È stata una novità per me, mi sono confrontato con persone che hanno una rapidità scenica nel fare, nel creare, che per me, al momento, è completamente impensabile. Ho visto tanti attori cambiare il registro in un minuto, prendere una direzione del regista e portarla in tre secondi in scena in maniera non superficiale. Mi ha fatto capire quante cose devo ancora imparare e capire. Però è stato molto bello.

È un giovane uomo e attore in un momento storico in cui da un lato assistiamo al dramma dei femminicidi e dall’altro all racconto del maschile nel cinema e nella serialità sempre più lontano del modello del maschio alpha. Umanamente e professionalmente lo vive come una conquista? La possibilità anche di essere un modello per i ragazzi e le ragazze che la seguono.

Lo ritengo giusto, perché è completo. Raccontare una sfaccettatura singola di una persona è limitante. Non sarebbe realistico. Sono completamente d’accordo con qualsiasi tipo di azzeramento e livellamento di etichette sociali, muri, grandi differenze. Sarebbe molto più semplice se non avessimo questi falsi miti dell’uomo macho. Raccontare un’alternativa o una realtà completa può aiutare un dialogo e andare ad azzerare questi grandi ostacoli tra uomo e donna, che io non vedo e non sento.

Nel senso che ho sempre trovato una marcia in più nel raccontare a una donna una mia fragilità, forse perché trovavo dall’altra parte una persona più capace nell’ascolto. Con alcune serie è stata mostrata un’alternativa. Ma credo sia semplicemente una totalità della sfaccettatura dell’uomo. È giusto raccontare tutto e dare importanza alle cose che portano beneficio alla società piuttosto che dover idolatrare un machismo che porta ad un esempio sbagliato. Sono felice di portare queste cose in scena. E di dare fastidio e quella parte che non accetta questo lato qui.

Una scena di Marconi, l'uomo che ha connesso il mondo

Una scena di Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo

Quando era adolescente c’è stato un attore che, magari grazie ad una caratteristica fisica o gestuale del personaggio, l’ha affascinata a tal punto da volersi poi cimentare anche lei nella recitazione.

Non saprei dire un solo film o personaggio che mi ha suscitato quella cosa lì. Però mi è rimasto impresso Brutti, sporchi e cattivi con Nino Manfredi. Quello secondo me da interpretare è un personaggio estremamente fascinoso per un attore, con tutte le sfumature e accezioni negative. Ricordo Manfredi che aveva l’occhio un po’ chiuso, viveva in una periferia disastrata ma che, nonostante questo, aveva un suo equilibrio e lui sapeva muoversi meravigliosamente in quel contesto. E a me quella cosa lì è piaciuta tanto da vedere.

Vorrebbe “sporcarsi” anche lei? Teme che i ruoli interpretati finora potrebbero finire per etichettarla?

No, secondo me dare la colpa a un’etichetta che ti viene messa addosso sarebbe un po’ riduttivo. Ma per il semplice fatto che un attore quando va a interpretare un ruolo, a prescindere dalla sua natura, mostri tante sfaccettature di una personalità. Credo di dover io lavorare molto su determinate cose da far vedere e magari sottolineare aspetti che finora non ho utilizzato, come “sporcarsi” in scena. E far sì che poi determinati tipi di proposte arrivino. All’etichetta messa da qualcun altro non ci credo troppo. Sicuramente succede, ma sono molto giovane e devo ancora imparare a passare da metamorfosi diverse e riuscire a cambiare di più. Quello dipende da me.

La popolarità la mette a disagio? La emoziona?

A Milena Vukotic alla serata dei David hanno fatto la stessa domanda. Le chiedevano come vivesse il fatto che la riconoscessero ancora per il personaggio di Pina. Lei, giustamente, diceva che l’amore è una cosa che non fa mai male. Quindi tutto quello che arriva di questo tipo non puoi prenderlo male. Mi ritrovo in quella frase lì. È una cosa talmente grande e gratuita che arriva da persone che non conosci ed è bellissimo. Mi imbarazzo, ma nel senso poi più sano della parola perché mi fa strano. Però è impressionante.

È seguito da persone molto giovani. Vive con un senso di responsabilità le sue scelte e come si pone nella sfera pubblica?

Sì. La responsabilità è una componente importante. A volte mi dicono che magari dovrei averne meno su determinate questioni (ride, ndr), però credo sia importante. Non voglio dire sia una questione politica o sociale, però sicuramente oggi l’attore è diventato un megafono. È qualcuno che è in grado di parlare a tante persone, di portare un messaggio, di veicolarlo in maniera più grande. Ecco, in questo c’è un senso di responsabilità.

Nicola Maupas in una scena di Marconi, l'uomo che ha connesso il mondo

Nicola Maupas in una scena di Marconi, l’uomo che ha connesso il mondo

Ha avuto un grande successo. Ma in questi anni c’è anche qualcosa che le è mancato?

Questa è una domanda profonda. Ma no, non sarei riconoscente a dire il contrario. Non mi è mancato niente, perché ho avuto molto di più di quello che speravo. E quindi mi sono molto concentrato su quello che ho ricevuto, anche sul coltivarlo e mantenerlo. Credo sia una parte importante. Poi è ovvio che se andassimo a scavare un pochino, ma anche nelle cose magari più semplici e meno profonde come parlare di viaggi, ci sono dei periodi in cui avresti voglia di partire e visitare un paese lontano. Ma hai degli impegni e contratti e quindi non puoi sparire per settimane (ride, ndr).

Il fatto che tutti vogliano un pezzetto di lei, tra foto, autografi e attenzioni, l’ha resa guardingo? Ha messo un filtro tra sé e gli altri per cercare di proteggersi?

Sì, ma credo che sia un filtro che c’è sempre stato in verità. Non è una questione di diffidenza o di paura, non sono guardingo da quel punto di vista. Però ho anche imparato a parlare col pubblico. All’inizio magari mi buttavo a braccia aperte e mi lasciavo libero nel parlare e nel dire tutto quello che mi passava per la testa. E questo per tutela, non perché dicevo delle cose sbagliate, ma semplicemente perché poi tornavo a casa e mi sentivo di aver concesso troppo al mondo esterno. Non è una questione di diffidenza, non dipende dalle persone che ti ruotano intorno o che ti chiedono una foto. Quando ti arriva così tanto, anche di affetto, ti obbliga a fare dei conti e a cercare di mantenere un equilibrio. Anche a mantenere i piedi per terra. Non credo sia normale per tutti essere fermato per strada. È ancora strano e può farti effetto.

Si ricorda la prima volta che le è successo? Cosa ha provato?

Provavo a ricordarlo qualche giorno fa perché ne stavo parlando con un amico. Credo sia stato a Napoli. Avevamo girato la prima stagione di Mare fuori e siamo tornati per girare la seconda. La città ci ha accolto molto calorosamente e ci ha preso sotto la sua ala protettiva. Ma è stato strano perché per i primi due minuti non ho capito cosa mi stesse chiedendo. Poi l’ho realizzato ed è stata una risata divertita e grata.

Se si passeggia per i vicoli dei Quartieri spagnoli è pieno di gadget di ogni tipo dedicati a Mare fuori. Ne ha qualcuno?

Ho dei santini (ride, ndr). Non sono tipicamente napoletani, ma è diventato un piccolo trend regalarli. Una cosa iniziata qualche anno fa con dei cantanti. È anche un po’ blasfemo se vuole (ride, ndr).

Parlando ancora di Mare fuori, c’è stato un momento in cui ha avuto paura di rimanere associato al suo personaggio?

No, assolutamente. Non ho fatto un lavoro così preciso sul personaggio di ‘O Chiattillo da rischiare di incastrarmi. Era la mia prima esperienza, i primi set. Ho imparato tante cose e credo che stare in Mare fuori mi abbia aiutato ad ottenere altri lavori e a fare dei personaggi in maniera diversa. È stata una palestra autoriale. Ci sono delle storie e queste storie prescindono dalla volontà del pubblico di averti o meno. È anche giusto, secondo me, che un personaggio come ‘O Chiattillo abbia avuto quell’arco cronologico e quella fine lì. Doveva imparare qualcosa. E, a volte, impari prendendo delle batoste, perdendo amori, amici e tutto quello che in quel momento ti è più caro. L’ho trovata una decisione giusta.

Una scena di Mare fuori

Una scena di Mare fuori

Lei che tipo di attore è? Uno di quelli che si riguarda o che mente dicendo di non farlo?

Entrambi (ride, ndr).

È critico con se stesso?

Sì. Cerco di non bastonarmi, ma cerco anche di mantenere uno spiccato senso critico. Perché mi serve per me, per come lavoro, per come sono fatto. Sono il mio primo giudice.

La bella estate è stato un debutto cinematografico importante che traccia anche un’intenzione e una direzione.

È una speranza, sì.

Parlando di speranze, qual è la sua per il suo percorso sul grande schermo?

È una cosa alla quale penso sempre più spesso. Forse perché sto crescendo e mi ritrovo a pensare a cose che magari tre anni fa non mi passavano per la testa. Parlo dell’utilità di questo mestiere, sia per se stessi che per il pubblico. Ho un po’ di speranze che, credo, sono quelle comuni a molti ragazzi di ogni età che fanno questo mestiere. Mi piace raccontare storie e spero di poter continuare a farlo e che abbiano al loro interno anche dei messaggi.

Non è un requisito necessario, il cinema non per forza ti deve insegnare qualcosa, però sicuramente una storia te la deve raccontare e spero di farlo nella libertà più totale. Spero di poter esprimermi e lasciare che tutte le persone all’interno di un film si possano esprimere nel migliore dei modi e nel loro modo. E poi vorrei accendere un po’ di micce da qualche parte. Non so ancora su quali argomenti o toccando quali temi. Un po’ effetto pietrafocaia.

Solo come attore o in un altro ruolo?

Magari tra vent’anni farlo dall’altra parte della cinepresa o scrivendo una storia. Non so quale ruolo andrò a ricoprire, non me lo chiedo adesso. Sto andando avanti in un percorso e per ora mi sto concentrando su quello.

Ha una passione per i road movie. Cos’è che l’interessa? Il viaggio, l’incontro, l’ostacolo che si può incontrare sul proprio cammino?

Mi piace molto raccontare l’evoluzione di una o più persone e farlo attraverso una narrazione parallela che è letteralmente una strada, cioè un viaggio, un percorso, delle tappe da raggiungere e da conquistare. Questo linguaggio duplice e doppio credo anche che aiuti gli attori in scena che, a loro volta, aiutano il contesto del film. Forse perché alcuni film che ho visto quando ero più piccolo erano degli on the road.

Penso a Stand by me, che ha un inizio, una fine e un’evoluzione nel mentre con tutti gli ostacoli che trovi lungo il percorso. Ostacoli necessari all’ottima crescita del tuo personaggio. E poi forse è anche semplicemente una questione di indole. Spero di viaggiare il più possibile nella mia vita. Poterlo fare attraverso il mio lavoro sarebbe una grande gioia.

Un’ultima domanda: a che punto pensa di essere del suo viaggio?

All’inizio.