The Chosen, tra “mercato della fede” e storia universale: la prima serie sulla vita di Gesù (senza spoiler, davvero)

Il referente italiano dello show Giovanni Zappalà e l'attore Alaa Safi raccontano il progetto e il lancio della quarta stagione nelle sale italiane, dal 14 al 18 giugno. L'intervista di THR Roma

La quarta stagione di The Chosen arriva per la prima volta al cinema in Italia dal 14 al 18 giugno.“Parliamone senza fare spoiler”, viene detto nell’incontro stampa. E viene quasi da sorridere, perché nonostante sia una frase ormai normalizzata quando si parla di novità del mondo dell’intrattenimento, appare fuori luogo dirlo in questo caso. Perché The Chosen è la storia che ci viene raccontata, in ogni forma, da secoli. Cosa si può mai spoilerare sulla vita di Gesù?

In realtà, una risposta c’è. Ed è anche ragionevole. Come specifica Giovanni Zappalà, referente italiano dello show, per poter creare una struttura narrativa in grado di reggere su diverse stagioni (sono sette quelle in programma, con la quinta in lavorazione in questi mesi), serve creare una fitta rete di back-stories, di trame secondarie che spingano il pubblico a voler guardare qualcosa che conosce già, da sempre.

“È in queste storie secondarie, frutto della creatività degli autori, che si crea l’identificazione emozionale più forte”, sostiene Zappalà.“Quando abbiamo dato la notizia, attraverso i nostri social, che finalmente anche in Italia The Chosen sarebbe arrivata al cinema, c’è gente che si è messa a piangere, letteralmente, perché potrà finalmente vedersi rappresentata anche sul grande schermo”.

The Chosen, dalla fanbase alla sala

Sono almeno due i punti di interesse in questa affermazione. Il primo è che in Italia esiste un pubblico, molto reattivo, che segue e stava aspettando questa serie anche al cinema. Il secondo è il legame con lo “strumento-cinema”, considerando che The Chosen è visibile anche gratuitamente online, tramite il sito ufficiale o la sua app, e in sala arriva solo in anteprima, per poi passare allo streaming.

Perché? È proprio ciò che THR Roma ha chiesto a Giovanni Zappalà. Il motivo, comunque, è anche strettamente economico. “L’idea di The Chosen nasce nel 2017 da una campagna di crowdfunding proposta dagli Angel Studios dei fratelli Harmon al creatore della serie, Dallas Jenkins. Dopo lo scetticismo iniziale, raccolgono 10 milioni di dollari per la produzione della prima stagione e gli Studios restano fino alla terza”. Oggi, specifica Zappalà, non c’è più alcun legame con i progetti di Dan Harmon. È un indizio sull’orientamento del pubblico, più che una coincidenza però, che nello stesso anno in cui in Italia arriva il film-fenomeno Sound of Freedom anche The Chosen faccia il salto verso il grande schermo.

Una scena della quarta stagione di The Chosen

Una scena della quarta stagione di The Chosen

Influisce “sicuramente la necessità di provare a ottenere più risorse per la produzione delle stagioni successive”, prosegue Zappalà. Riuscire ad arrivare al cinema, potenzialmente, è un modo per reinvestire nelle successive stagioni. Tanti fan, che anche nel frattempo continuano a donare, sono felici di acquistare un biglietto sapendo che quel denaro andrà a finire nelle prossime stagioni o nel doppiaggio”. D’altra parte, prosegue: “Credo influisca anche l’esperienza stessa del ritrovarsi insieme davanti al grande schermo. Siamo partiti da un device, siamo arrivati sullo schermo un po’ più grande della tv e ora invece a quello più grande di tutti”.

Conoscere (e capire) il mercato, anche quello della fede

Oggi gli spettatori raggiunti da The Chosen sono circa 200 milioni, “anche se l’obiettivo è un miliardo”, specifica Zappalà. “Anche per questo la serie è stata doppiata in oltre 50 lingue e verrà tradotta negli anni in oltre 600, diventando la serie tv più tradotta nella storia”.

Nonostante sia scritta tramite l’ausilio di consulenti religiosi, una “delegazione formata da un pastore evangelico protestante, un prete cattolico e un giudeo messianico”, continua Zappalà, The Chosen vuole rivolgersi a un pubblico ampio anche non cristiano o non credente. E, dettaglio da non sottovalutare, include nel cast anche attori e attrici di fede non cristiana, in parte come conseguenza del type-casting (la scelta degli interpreti in base ai tratti fisici) che è stata fatta. Non sono molti gli attori bianchi in questa ricostruzione accurata dell’antica Giudea.

(In primo piano) Giovanni Zappalà alla première della quarta stagione di The Chosen a Londra

(In primo piano) Giovanni Zappalà alla première della quarta stagione di The Chosen a Londra

Senza mai dimenticare il contesto da cui nasce il prodotto, quindi, è utile ricordare anche che di prodotto a tutti gli effetti si tratta. Ha cioè alle spalle un mercato che negli Stati Uniti è ampio e solido, ma in Italia potrebbe far alzare forse più di un sopracciglio.

The Chosen fa parte di una grande ondata del cosiddetto faith market, il mercato della fede, che ci auguriamo anche l’Italia sia disposta a vivere. Nel contesto culturale americano è una cosa abbastanza normale, lì esistono anche i Grammy per la musica cristiana”, prosegue Zappalà. “Dal mio punto di vista non è il denaro la radice del male, lo è l’amore per il denaro. In questo caso il faith market si intende come un modo per autofinanziare The Chosen mantenendo la libertà dei contenuti”.

The Chosen e l’Italia: cosa aspettarsi?

L’entità del fenomeno The Chosen in Italia è ancora da tastare pienamente sul campo. Al momento è il paese europeo continentale con il maggior numero di download dell’app ufficiale e ha un totale stimato di tre milioni di visualizzazioni degli episodi precedenti in streaming. Fino a oggi la fanbase si è riunita soltanto online, soprattutto attraverso gli 7000 “ambasciatori” coordinati da Giovanni Zappalà: “Persone che scelgono di lasciarci il loro numero su WhatsApp e di restare in contatto diretto, in una relazione one-to-one” in cui entrano a far parte che delle decisioni di marketing. L’uscita in sala, ricorda Zappalà, è stata proprio discussa con gli ambasciatori prima di essere confermata.

Alaa Safi in una scena di The Chosen

Alaa Safi in una scena di The Chosen

Cosa ci sia da aspettarsi dal pubblico italiano, THR Roma l’ha chiesto a uno dei protagonisti di questa stagione, Alaa Safi, nei panni di Simone lo Zelota. Un personaggio solo citato dalle Scritture e per questo rivisitato liberamente dalla serie. Safi ricorda di aver prima di tutto vissuto lo stupore della famiglia di sua moglie, italiana, di fronte a una serie televisiva sulla vita di Gesù. “Non sono cristiano e non sono cresciuto nella cultura cristiana. All’inizio mia moglie, che lavora in teatro, mi ha dato riferimenti importanti come Il Vangelo secondo Matteo (Pasolini, ndr), ma intuivo che per lei o la sua famiglia dire che stavo facendo una serie su Gesù era come dire di voler mangiare pasta in America. Sembrava strano, ma adesso no. Adesso anche loro hanno visto che The Chosen è una realtà universale, anche se fatta da una troupe americana”. Inoltre Safi prosegue: “Pur non appartenendo alla stessa cultura da cui nasce la serie, sono sempre riuscito sul set a tuffarmi con libertà alla ricerca del mio personaggio, con grande fiducia nei confronti di Dallas Jenkins e degli altri autori”.

Una storia senza tempo

Resta solo una domanda da fare, anche se è la prima che viene in mente. Anzi, due. Perché fare ancora una serie sulla vita di Gesù? E perché portarla in Italia nel momento in cui la cristianità è di fatto uno dei valori della maggioranza politica?

Risponde, a entrambe, Giovanni Zappalà. “The Chosen parte dal presupposto che indipendentemente dalla fede o non fede, ognuno di noi ha il diritto di raccontare la storia di questo uomo che ha diviso in due la linea del tempo e la storia dell’uomo. È una bella sfida raccontarla attraverso la serialità perché si ha la possibilità di aggiungere elementi di narrazione che possono interessare anche gli atei o gli agnostici”. Alla seconda domanda risponde partendo da un punto di vista più personale: ” Valori come l’accettazione, il perdono o la speranza, soprattutto in un mondo così ben diviso al momento, sono una cura più che uno strumento politicizzato. Una rivoluzione culturale. Cioè se oggi si parla d’amore incondizionato si va in controtendenza. E la vita di Gesù racconta questo”.

Questo aspetto di The Chosen è ciò che sottolinea anche Alaa Safi scegliendo di congedarsi con delle parole non scontate, anche se non fa riferimenti espliciti a ciò che sta accadendo in quelle stesse terre dell’attuale Palestina: “Considerando gli eventi attuali, sento personalmente il bisogno di spingere ciò che raccontiamo in questa serie. Sento una grande frustrazione dall’idea di non poter fare nulla di fronte ai conflitti in corso, perciò almeno attraverso questi incontri stampa può aiutare parlarne. E quindi facciamolo generosamente”.