Biennale Arte sotto il segno della queerness e del femminismo. Leone d’oro alle artiste maori del Mataaho Collective

Il collettivo ha portato la tradizione maori delle stuoie takapau all'Arsenale. Menzione speciale a una persona trans, l'argentina La Chola Poblete, e d'onore alla palestinese Samia Halaby

Di THR ROMA

Una Biennale d’Arte coloratissima, come il padiglione centrale, ai Giardini, che accoglie i visitatori con tinte sgargianti, disegni etnici e simboli tribali. E così, in questa cornice variopinta, capace di far sentire a casa pure chi una casa non l’ha, chi è stato perseguitato o colonizzato, a ricevere il Leone d’Oro è il Mataaho Collective, formato dalle artiste neozelandesi e in parte maori Bridget Reweti, Erena Baker, Sarah Hudson e Terri Te Tau.

Il collettivo ha portato la tradizione maori delle stuoie takapau all’Arsenale. L’installazione, si legge nelle motivazioni del premio, “è sia una cosmologia che un rifugio e le sue impressionanti dimensioni sono una prodezza ingegneristica che è stata resa possibile solo dalla forza e dalla creatività del gruppo”. Le artiste, emozionate, hanno ringraziato il curatore Adriano Pedrosa “per aver fatto parlare tante voci queer e indigene in questa Biennale”.

Biennale Arte tra queerness e femminismo

Uno spazio, la possibilità di far sentire la propria melodia, questo è il fulcro della 60/a edizione della Biennale, sotto il segno della queerness, del femminismo, dell’inclusione. Edizione in cui, per la prima volta, una persona trans, l’argentina La Chola Poblete, ha ricevuto una menzione speciale. “Spero di riuscire ad aprire altre porte in modo che altre persone come me – ha detto – possano conquistare spazi e liberarsi dalle etichette”.

Di libertà ha parlato anche il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano: “Il curatore ha detto al New York Times che qui ha potuto agire in piena libertà: sarà sempre così” ha dichiarato, aggiungendo che è un dovere permettere anche agli artisti di esprimersi liberamente. L’arte diventa quindi un percorso verso la libertà, come ha sottolineato anche il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, che l’ha definita come “un’avventura dell’anima e ciò che è dovuto a lei è un incamminarsi alla ricerca del chiarore, lo sperimentare continuo di tutte le emozioni”.

Menzione d’onore alla palestinese Samia Halaby

Ma l’arte è anche impegno, per questo una seconda menzione d’onore è andata alla 87enne palestinese Samia Halaby, instancabile pioniera dell’arte digitale. Infine, la menzione speciale per la partecipazione nazionale è andata alla Repubblica del Kossovo, per l’installazione di Doruntina Kastrati, legata al lavoro industriale femminilizzato e all’usura del corpo delle donne lavoratrici. Le donne sono al centro anche dei Leoni alla carriera, consegnati ad Anna Maria Maiolino, nata in Calabria ed emigrata in Brasile, e alla turca Nil Yalter, pioniera del movimento femminista globale.

“Dedico questo Leone alla pace nel mondo, di cui abbiamo bisogno” ha commentato quest’ultima. Ed è donna anche la giovane artista vincitrice del Leone d’Argento, la nigeriana Karimah Ashadu. Il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale è andato, invece, all’Australia, per il monumentale albero genealogico della First Nation disegnato con il gesso, un fragile archivio storico carico di lutto. Entusiasta il curatore, Ellie Buttrose: “Tutti condividiamo la responsabilità di prenderci cura di tutte le cose viventi, oggi e in futuro”.

(Ansa)