Elisa Sednaoui: “Che ricordi stupendi a Venezia. Ma ora sono felice e realizzata senza il cinema”

Top model, attrice, filantropa, oggi è entusiasta di essere a capo di Funtasia, una impresa sociale che si occupa di istruzione, scambi culturali e di integrazione. E per THR Roma ripercorre un'esperienza unica, quando fu madrina della Mostra del cinema nel 2015

Top model, attrice, filantropa, Elisa Sednaoui oggi è entusiasta di essere a capo di Funtasia, una impresa sociale che si occupa di istruzione, scambi culturali e di integrazione:Sono felice di occuparmi di educazione che a volte si pensa, erroneamente, essere solo un qualcosa legato al no profit – ci tiene a precisare Sednaoui dalla sua casa in Puglia, nel sud Italia,  dove si trova in vacanza con i suoi due bambini – In realtà ci sono due parti, l’impresa sociale, che è una vera e propria azienda con dei profitti e poi la parte più solidale senza scopo di lucro”.

Cittadina del mondo,  Elisa Sednaoui è un intrigante crocevia di culture grazie alla mamma italiana e al papà francese con origini siriane, il marito è metà inglese e metà brasiliano e insieme hanno messo su casa a Los Angeles. È stata la musa ispiratrice di Karl Lagerfeld e Christian Louboutin ed è stato il volto di numerose campagne per Chanel, Giorgio Armani, Ralph Lauren, Roberto Cavalli, Ermanno Scervino, Bucellati, Lancôme. Il suo volto è apparso sulle copertine dei più importanti magazine internazionali, è stata le poche modelle ad essere fotografata in ben due edizioni dell’iconico calendario Pirelli (2011 e 2013). Il premio Oscar Paolo Sorrentino, che di grandi bellezze se ne intende, l’ha diretta nello spot del profumo Missoni.

Contemporaneamente ha iniziato a lavorare per il cinema sperimentando diversi generi: dal surreale western di fantascienza La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli con Vincent Gallo alla commedia all’italiana di Alessandro Genovesi che l’ha diretta in Soap Opera. Fino ad arrivare a rappresentare la Mostra del cinema di Venezia nell’anno in cui i due presidenti delle giurie internazionali principali erano Jonathan Demme (Orizzonti) e Alfonso Cuarón (concorso).

Nel 2015 venne chiamata per fare la madrina della Mostra di Venezia. Si ricorda il momento in cui il direttore Alberto Barbera l’ha chiamata?

Mi ricordo del nostro primo incontro alla Mole Antonelliana (il monumento simbolo della città di Torino). Una delle cose che mi accomuna a Barbera è che siamo entrambi piemontesi. Fu per me un elemento molto emozionante il fatto che, questo appuntamento per un’opportunità così grande, avvenisse proprio a Torino.

Chi fu la persona che le comunicò la bella notizia?

Ricordo ancora la voce di mia mamma quando mi disse che il mio agente di cinema, al quale sono ancora molto grata per l’ottimo lavoro svolto con me, chiamò per dire che ero stata scelta come madrina di Venezia, ed effettivamente tutt’oggi sono incredula e molto grata.

Che cosa lo ha colpito di lei?

Io spero che sia stata il fatto che ho avuto un percorso internazionale e anche il mio essere poliedrica: modella, attrice, con qualche esperienza anche da regista e poi sicuramente per il mio lavoro in quello che sto facendo oggi con Funtasia, l’impresa sociale che ho fondato. Credo l’insieme insieme delle cose.

Sua madre si entusiasmò più per il suo ruolo di madrina della Mostra del Cinema di Venezia o per il calendario Pirelli, il più importante del mondo?

Mia madre è stata sicuramente la mia sostenitrice più accanita e più entusiasta. Quello della madrina è un ruolo molto speciale, perché Venezia è speciale, perché non esiste il ruolo della madrina in altri festival con rilevanza internazionale. Essere madrina è diverso che essere presidente di giuria. È un ruolo che dà un’opportunità grandissima anche nel mondo dello spettacolo. Ancora oggi quando incontro delle persone sia in Italia o anche all’estero il fatto che io sia stata una delle madrine di Venezia fa la differenza. Non si può assolutamente comparare a una campagna o ad altri successi.

Che compito assolve una madrina?

Sostanzialmente dovevo fare la stesura insieme agli autori Rai del discorso di apertura. Nel discorso di chiusura, ho fatto solo dei piccoli aggiustamenti, perché più tecnico in quanto è prettamente legato ai premi. Invece in quello di apertura c’è spazio di manovra per personalizzarlo. Quello era l’anno in cui il conflitto in Siria era diventato ancora più violento e volevo passasse il mio interesse per la politica internazionale, anche perché ho un cognome di origine siriana e un legame con quella storia in particolare. Ho voluto che il discorso rispecchiasse anche il momento storico in cui noi eravamo. Mi ricordo particolarmente di una frase in cui dicevo che il cinema ci permette di raccontare storie umane e di metterci nei panni degli altri.

Tutto qui il lavoro di preparazione?

C’è stato un grosso lavoro da parte mia sulla dizione per togliere quelle imperfezioni e determinate tonalità dal momento che sono cresciuta tra Milano e il Piemonte.

E la sua benedetta “R” pigra?

Ce l’ho ancora la ”R” pigra, anche se oggi un po’ meno evidente, purtroppo viene dal mio background francese. Pensi che mentre mi facevano il trucco e il parrucco prima di uscire dalla stanza dell’Hotel Excelsior di Venezia, mi esercitavo per togliere questa “R”. Tutt’ora mio marito si rammenta di me che facevo gli esercizi per migliorare la pronuncia con la penna in bocca fino a prima di salire sul palco. E prima ancora c’è stato un lavoro con una insegnante di dizione fantastica, durante tutta l’estate 2015, ci lavoravamo ogni giorno.

Un duro lavoro quindi?

È un’esperienza molto forte ritrovarsi da sola su quel parco e dico da sola con coscienza. Non stiamo parlando di fastose produzioni televisive americane, non si tratta degli Oscar in cui hai comunque tutta una serie di strumenti tecnologici che ti aiutano.

Era anche molto giovane…

All’ epoca avevo 26 anni e fa paura salire sul quel palco da soli. Un vero e proprio shock perché una volta che sali sul palco non esci più, non ci sono pause, anche quando mostrano alcuni dei trailer dei film selezionati o premiati sei comunque davanti alla platea fatta da istituzioni, il presidente della Repubblica, che allora era Giorgio Napolitano, e addetti ai lavori. Mi ricordo che per sentirmi più tranquilla cercavo con lo sguardo mio marito, mia mamma e il mio agente.

C’era anche paura del giudizio?

All’epoca mi preoccupava ancora molto l’opinione degli altri, oggi un po’ meno.

La cerimonia di chiusura andò meglio?

La chiusura è più facile perché in sala c’è una speciale energia, il pubblico è fatto da persone che vogliono sapere se hanno vinto meno. Mi ricordo di aver giocato su questa cosa con Jonathan Demme e con Alfonso Cuarón, i due presidenti della giuria – “allora dai Presidente, dicci subito chi è che ha vinto” – e c’era quest’emozione che provo ancora adesso, parlandone.

Qualche aneddoto da raccontarci?

Non so perché ma avevano deciso di non accendere l’aria condizionata in sala. Faceva un caldo! Dal palco vedevo gli uomini che erano in smoking o in giacca e cravatta tutti sudati. Io sudavo e mi colava il trucco e ricordo che ho dovuto aspettare di non essere inquadrata, quando ho lanciato un video, per asciugarmi senza farmene accorgere. Ricordo Josh Brolin, all’epoca protagonista di Everest, film molto intenso e tratto da una storia vera: in sala c’erano alcuni dei sopravvissuti della storia, una storia importante da rappresentare. Alla cena mi hanno ringraziato dopo, perché é è piaciuto con quanta emozione avevo presentato il film mentre lui mi prese in giro dicendomi “Ho notato che hai faticato molto con quel caldo in sala”. C’era un caldo allucinate, fine agosto a Venezia, senza aria condizionata. Questi sono i ricordi un pò più spiritosi, però lasciamelo dire è stata una scuola incredibile.

Il red carpet per una come lei invece è stata una passeggiata?

È stato un momento molto preparato. La mia mamma, che mi faceva da manager e da stylist, aveva svolto un lavoro nei mesi precedenti molto serio, sia con Giorgio Armani che per tutti gli altri look da indossare. Il red carpet è solo il culmine di un lavoro che dura tanto. Sono molto grata a tutto il team di Armani per il meraviglioso lavoro che hanno fatto e per la chiusura anche a Fendi, che ha fatto un abito apposta per l’occasione. Sono momenti forti, molto particolari. C’è una fibrillazione nell’aria difficile da descrivere.

C’è stato un prima e dopo il Festival di Venezia nella sua carriera? 

È stato sicuramente un momento che ha confermato qualcosa di me a livello internazionale.

Lei è stata a Venezia sia prima che dopo aver fatto la madrina. Notato differenze durante questo periodo?

Il Festival è sempre un posto “magico” che a che vedere anche solo con la città in cui si tiene. Le persone che vengono a Venezia, che siano attori di fama internazionale o italiani, notano questa magia. Non è semplicemente un evento di cinema: fosse solo per il fatto di recarsi al Lido con la barca, poi l’approdo con i fotografi che urlano.

È consapevole del potere che esercita lei quando balla? Che sia nel film  La leggenda di Kaspar Hauser o per lo spot Missoni firmato da Paolo Sorrentino?

È una forma d’espressione che amo molto, legata anche all’autenticità della mia gioia in quel momento. Per me il ballo è un momento di rilascio autentico ed è una forma di espressione senza parole.

Nel mondo della moda il suo padrino è Christian Louboutin. Nel cinema?

Non c’è un padrino in particolare, ma in un certo senso tutti i registi con i quali ho lavorato. Per esempio con il primo Šarūnas Bartas, regista lituano che poi l’anno scorso è andato in competizione ufficiale di Cannes, ho vissuto un’esperienza drammatica. Ho scoperto solo alla fine delle riprese di Indigène d’Eurasie, girato in tre mesi nell’inverno di Vilnius, che lui aveva richiesto espressamente a tutta la troupe di non parlarmi, di non iniziare nessun tipo anche solo di relazione umana al di fuori delle riprese. Alla mia prima esperienza avevo perso quasi la testa. Ho superato tutto grazie al supporto di mia madre che ogni tanto veniva a trovarmi con gli agnolotti di Bra, facendomi ridere o distrarre. Il regista in quel caso voleva portarmi veramente a essere la persona che interpretavo, recitare un’onesta isolazione, come richiedeva il mio personaggio.

Con il secondo spero sia andata meglio?

Noi, insieme, adesso – Bus Palladium di Christopher Thompson era una commedia drammatica, diventata un cult in Francia uno o due anni fa grazie all’uscita del film su Netflix. Ho ricevuto un numero di messaggi allucinanti da gente che non l’aveva visto al cinema. È stata un’esperienza completamente opposta perché i registi che mi hanno diretta nelle commedie per me sono stati molto importanti. Ho amato molto girare Soap Opera con Diego Abatantuono e Fabio De Luigi ed essere diretta da Alessandro Genovese. La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli è stata un’esperienza fantastica in tutta la sua profondità. Davide è una persona molto intensa ed è stato un gran piacere lavorare con lui e con Vincent Gallo. Ho imparato molto su quel set.

Adesso il suo rapporto col cinema qual è? Perché ha deciso di non fare più film da un po’ di tempo?

Fare l’attrice è un’esperienza esplorativa di crescita e sono arrivata ad un punto personale in cui sento di poter dare di più in altri campi. L’impegno di Funtasia con gli insegnanti e con gli studenti mi ha dato molto di più rispetto all’essere modella o attrice dove sei in balia del regista prima e del pubblico poi. Sono grata di aver potuto fare questa esperienza, non escludo di tornare sul set se mi proporranno ruoli che mi interessano. Rimango aperta alla vita, ai momenti. Chissà cosa succederà in futuro, ma questa è la scelta che io ho fatto oggi. Ho scritto anche un libro insieme a Paolo Borzachiello Nessuno può farti male senza il tuo permesso edito da Mondadori che è andato molto bene.

Riceve comunque offerte di lavoro?

Si e ogni volta faccio fatica a dire di no perché vedo il valore di quello che potrebbe essere. Però se devo scegliere, essendo il tempo purtroppo non illimitato, soprattutto con due figli, un marito, una vita, scelgo sepre quello che a me dà di più. Trovo ci sia molta superficialità nel come il pubblico si relaziona al lavoro di attrice specie quando mi dicono: “Quanto sei bella in questo film”.

Il suo attuale lavoro in Funtasia può beneficiare come ricaduta degli altri suoi aspetti professionali, non crede?

Hai ragione, gli attori per il pubblico sono come dei in terra, è un momento storico in cui c’è il culto delle celebrità. Invece l’insegnante è “solo” quello che si dedica a educare la prossima generazione: eppure vuol dire concretamente cambiare il mondo. Due professioni che non sono viste purtroppo nella stessa maniera. L’insegnante o l’infermiere sono fondamentali per la nostra società, senza di loro non potremmo costruire un mondo migliore. Ma la gente vuole un selfie con l’attore.

In questo momento è felice?

Sì. Molto felice e anche tanto realizzata.