Lo sguardo. Bisogna sempre partire dallo sguardo per il reboot de Il regno del pianeta delle scimmie. Lo sguardo è esattamente il teletrasporto con cui gli spettatori possono catapultarsi nel film del 2011, nella saga con protagonista Cesare – con l’Andy Serkis, gigantesco mostro di bravura, in CGI – in un universo che è tutto post: post-apocalittico, post-futuristico, post-pandemico.
Era infatti un virus umano, al contrario di tanta fantascienza accompagnata da catastrofismo, che ne L’alba del pianeta delle scimmie infettava i primati e li rendeva più senzienti e più ragionanti di quanto ci si aspettasse. Era l’inizio della rivoluzione per il film diretto da Rupert Wyatt, dove la scimmia-neonata, salvata e messa al riparo, era destinata a portare il suo popolo alla liberazione, lasciando un’eredità di cui il quarto progetto della saga cerca di omaggiare la memoria, facendosi comunque nuova strada da dover battere, del tutto personale e originale.
Sebbene sia impossibile non fare riferimento a Cesare e a ciò che ha significato l’avvento del suo culto all’interno della saga partita nel 1963 dal libro Il pianeta delle scimmie del francese Pierre Boulle, che del suo romanzo ne ha viste di trasposizioni, adattamenti e ribaltamenti – anche in mano a menti uniche e distintive, come nel 2001 con Tim Burton – ora il reame è affidato a tutt’altro paio di maniche.
E il futuro delle generazioni post (ancora una volta) Cesare, mostrano un ritorno a un’esistenza più animale come dimostra la nuova opera di Wes Ball, su sceneggiatura del Josh Friedman de La guerra dei mondi del 2005 (insieme a David Koepp) e dei prossimi franchise tra I fantastici quattro della Marvel, il quarto capitolo di Avatar e il film senza titolo di Star Trek. Il regno del pianeta delle scimmie è una ripartenza che ha già impostato al suo interno un proprio mondo, con una propria gerarchia, dove i propri personaggi devono solo muoversi al servizio del rivisto worldbuilding in precedenza ideato.
Il regno del pianeta delle scimmie
Cast: Owen Teague, Freya Allan
Regista: Wes Ball
Sceneggiatori: Josh Friedman
Durata: 145 min
Il regno del pianeta delle scimmie: una ripartenza lenta, ma promettente
I primati sono più a contatto con la natura, maestri nell’addestrare i falchi. Ancora vanno a cavallo, ma la loro lingua non è più, o comunque non è principalmente, umana. Hanno paura delle persone che chiamano “eco” e che, non a caso, sulla terra sono ormai presenze lontane, dimenticate, che non esistono più, ma riverberano senza apparire mai.
Fantasmi di un passato che il popolo di Noa, protagonista de Il regno del pianeta delle scimmie interpretato da Owen Teague, si è lasciato indietro, e che non hanno nemmeno poi conosciuto. Passato che per noi è poco più di un decennio, per loro conta 300 anni dalla morte di Cesare, dalle sue parole di ispirazione, dalla sua lotta per la libertà.
Un clan che del leader non ha mai sentito parlare e si ritrova a dover fronteggiare chi, invece, lo ha mistificato. Ne ha ribaltato le parole, confuso i concetti, usato come ariete per sfondare con virulenza i battenti della pace e della serenità per costruire un altro mondo. Un nuovo regno. E mentre la storia segue il viaggio di Noa alla scoperta di chi era Cesare, del perché un gruppo di suoi simili ha attaccato il suo villaggio e cosa può fare per salvare la sua famiglia, Il regno del pianeta delle scimmie sfida lo spettatore a non ritrovare le nozioni di morale, etica, evoluzione e sviluppo in un prodotto dalla confezione da blockbuster.
Uno sguardo sul mondo
A tornare di fatto all’analisi di una società che passa per il trattamento che le scimmie si riservano tra loro, ma di cui qualsiasi essere umano sarebbe capace. La prevaricazione, il perseguimento di falsi ideali, il rivoltare e piegare la storia a proprio vantaggio. E lo sguardo. Lo sguardo che hanno sul mondo. Sui propri cari, su cosa vuol dire cercare di proteggerli. Mentre il personaggio di Noa cerca di diventare grande ed essere degno del ruolo di figlio, con un padre che ricopre una figura portante nella loro comunità, si ritroverà a dover diventare eroe nella più lineare delle trasformazioni narrative. E saranno i suoi occhi a raccontarci il cambiamento.
Realizzati per essere più vicini alla percezione umana che animale – senza sclere scure così da accentuare l’effetto “persona” – Il regno del pianeta delle scimmie ha ancora l’empatia dalla sua parte, anche quando la storia è meno forte. Quando la potenza e la muscolosità dei tre film che lo hanno preceduto (soprattutto gli ultimi due diretti da Matt Reeves) lascia il passo a un racconto meno stratificato, ma che non nasconde le fondamenta solide su cui poter costruire il proprio racconto – da qui e in futuro. È come se la saga dovesse ri-crescere, ri-partire cominciando da un protagonista giovane come Noa.
Potrebbe perciò trattarsi di un nuovo inizio – in quanto è prevista una prossima trilogia del franchise – ma se anche fosse solo una “fine”, avrebbe comunque dato valore al proprio esistere.
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