Cinema, Maestro. Bradley Cooper è il miglior direttore d’orchestra del kolossal d’autore

Da anni non avevamo più un maestro, un regista di grandi opere hollywoodiane d'autore. Bradley Cooper - in concorso al Lido - potrebbe essere, anzi è già l'erede dei Sydney Pollack, degli Ernst Lubitsch, di tutti coloro che hanno saputo usare un linguaggio alto e originale in film che non hanno paura di essere popolari, eleganti e di parlare a tutti

Bradley Cooper c’è chi se lo ricorda per Limitless. Film d’azione geniale e un po’ cialtrone, divenuto un cult perché scritto bene e girato meglio (da Neil Burger, The Illusionist) e con un’idea geniale, come sempre lo sono quelle più semplici e sfacciate, un uomo che con una pillola estende le possibilità del suo cervello. Ma i veri intenditori lo avevano già notato in Alias, serie televisiva e spy story che tenne, su un canale generalista pubblico, milioni di ascoltatori attaccati allo schermo. Era Will Tippin: scapigliato, un po’ svampito, goffo. Ma con un carisma, in quel caso tra il tenero e il comico, per cui il suo personaggio secondario e che appariva con grande parsimonia era tra i più amati della serie. Cinque stagioni in cui si è fatto le ossa anche in produzione e come assistente alla regia non accreditato di alcuni episodi.

Bradley Cooper è un Maestro, ecco perché

Ne è passato di tempo, la prima puntata di Alias, collocazione temporale che contribuì al suo successo – in quel momento una rassicurante spia idealista che salvava il mondo ci serviva – andò in onda il 30 settembre 2001, l’ultima nel 2006. Da allora il nostro ha mietuto candidature all’Oscar, come attore (4, Il lato positivo, American Hustle, American Sniper e A Star is Born), come produttore (altre 4, American Sniper, A Star is Born, Joker, La fiera delle illusioni) e una per la sceneggiatura non originale (A Star is Born).

E già questa suddivisione ci dice il grado di consapevolezza della macchina cinema di questo divo che ha dimostrato in una decina d’anni di poter riempire le sale come attore (basti pensare alla trilogia di Una notte da leoni), di saper essere uno strumento raffinato nel cinema d’autore soprattutto con i registi che amano il pubblico (da David O. Russell a Clint Eastwood), di avere fiuto per la produzione. E, soprattutto, di essere quell’outsider ideale a cui Hollywood può affidare le storie più delicate, quelle sue grandi opere che un tempo si facevano con cura e ambizione e che negli ultimi vent’anni, almeno, sono state schiacciate da blockbuster e supereroi. E biopic che quando riuscivano, erano kitsch.

Così nel 2018 punta su Lady Gaga e il risultato è che ancora cantiamo Shallow e che ha fatto credere a tutti che lei sia una grande attrice. È stato talmente bravo, persino nel marketing artistico con cui ha sostenuto il film, che tutti abbiamo sperato in un amore romantico tra lei e la popstar, con un tifo infantile e ingenuo che non provavamo dai tempi di Quentin Tarantino e Uma Thurman.

Maestro

Commento breve Bradley Cooper è diventato grande
Data di uscita: 20/12/2023
Cast: Carey Mulligan, Bradley Cooper, Matt Bomer, Maya Hawke, Sarah Silverman, Vincenzo Amato, Josh Hamilton, Scott Ellis, Gideon Glick, Sam Nivola, Alexa Swinton e Miriam Shor
Regista: Bradley Cooper
Sceneggiatori: Bradley Cooper, Josh Singer
Durata: 129 minuti

Risultato? Grande successo di critica e pubblico, un’esibizione agli Oscar iconica, uno standing che lui non spreca tornando subito in sala, ma cercando la storia giusta.

Maestro, la trama

Cinque anni dopo, con Netflix, arriva il biopic di Leonard Bernstein, il Mozart del XX secolo, l’uomo che ha cambiato il nostro modo di sentire, guardare, desiderare la musica. Direttore d’orchestra, autore della colonna sonora di Fronte del porto, ideatore, esecutore, creatore di West Side Story, compositore che ha percorso ogni genere di musica, che ha moltiplicato le note, i toni, i livelli di ascolto e creazione. Un uomo inquieto, a suo modo spezzato, che prosciuga l’energia vitale altrui perché amare chi non sa amarsi è durissima.

Maestro è lo sguardo complessivo e ambizioso sulla carriera di Bernstein e la vita di Lenny, sui successi dell’artista e i fallimenti dell’uomo. Sull’amore, che non si è mai negato, che ha saputo scrivere sugli spartiti, che ha voluto e preso e dato con tutto se stesso, a volte male e spesso dolorosamente, a tutti. Cercandolo disperatamente.

Bradley Cooper sul set di Maestro riprende Carey Mulligan

Maestro. (L to R) Carey Mulligan as Felicia Montealegre and Bradley Cooper as Leonard Bernstein (Director/Writer) in Maestro. Cr. Jason McDonald/Netflix © 2023.

La recensione

Bradley Cooper, pur se solo alla sua seconda opera, potremmo chiamarlo Maestro. Non tanto e non solo perché ha fatto due film il cui linguaggio, la cui bellezza ha qualcosa di originale e al contempo profondamente popolare, che parla a tutti senza blandire nessuno, che pretende di entrare, apparentemente invadente, nell’intimo di chi crea, senza violarlo mai.

Lo è perché, pur giovane Hollywood l’ha percorsa in diversi ruoli e in questo film è spudoratamente evidente: è forse dai tempi di Sydney Pollack che non si vedeva tanta consapevolezza, padronanza, fiducia nel meccanismo della narrazione hollywoodiana. Cooper, come il suo illustre e compianto collega, sforna classici, opere che hanno una loro eternità, senza tempo, che non hanno paura dei dettagli come della rotondità della sceneggiatura, che non cerca mai l’inutile arzigogolo, così come la regia: qui tira fuori due o tre movimenti di macchina eccellenti, ma mai virtuosi e fine a se stessi, come non lo sono le corse che trasformano tempi e ambienti o le ellissi dipinte con delicatezza e sempre al momento giusto. Non è un caso che con lui in produzione ci siano anche Scorsese e Spielberg, tra gli altri.

Alla Lubitsch, ma anche alla Wilder, sa dare spessore e spazio alla protagonista femminile, centro di gravità permanente del suo immaginario, le donne nel suo universo musicinematografico sono vittime e muse, creatrici di mondi e vestali, capaci di dolcezza e durezza, di sacrificio che non è mai rassegnazione o resa. E qui trova una Carey Mulligan monumentale – non vorremmo essere nella giuria di Venezia 80 quando dovrà scegliere i migliori interpreti – la protegge e disegna come una compagna di vita, privandola di qualche grammo di sensualità per darle al contempo solennità e tenerezza, coraggio e fragilità.

Lei ci mette la capacità di giocare su tre registri diversi, anche grazie a una carriera che l’ha vista suonare le corde del suo talento per autori diversissimi tra loro (da Wright a Winding Refn passando per Mann e Stone) e una capacità di giocare bene, quanto il suo partner e regista, sui dettagli. Quando lo vedrete, capirete: ma ci sono tre momenti che valgono il film e ne rappresentano la bellezza.

Il poster di Maestro

Il poster di Maestro

Uno sguardo di lei, prima felice e poi smarrito, dietro le quinte di un sipario. Una telefonata in cui Bernstein rifiuta un concerto, lo disdice. Perché c’è qualcosa di più importante, in quel momento. Ma il suo sguardo febbrile, le dita che si muovono dicono che la musica è là, e lui ne ha bisogno. E il pianto soffocato in un cuscino è per chi ama, ma anche per se stesso. E poi un gesto. Piccolo. Il senso di un’assenza. Una mano allungata in macchina a sfiorare chi non c’è. E ritratta con pudore. Cooper è un Maestro, perché la colonna sonora infarcita del più grande compositore moderno non trasforma tutto in un musical, ma ti fa volare alto e altrove e non ne sei mai sazio. E poi arrivano in rapida successione R.E.M. e Tears for Fears, poche note, per disegnare un finale che non ha bisogno di troppe parole e immagini.

Perché sa muovere una macchina enorme: tre esecuzioni orchestrali straordinarie sul set, una parte in bianco e nero e una a colori che si amalgamano perfettamente, la sua incredibile interpretazione, al contempo da mattatore ma sempre al servizio della storia e degli altri personaggi. Perché è epico, sentimentale, ematico ma non retorico quando ci offre la fragilità di un genio, quando ci dice che il talento è sì un dono ma anche una ferita che non si rimargina, che quando hai delle porte spalancate alla creazione e alla percezione, entra troppo dentro di te e ne vuoi di più. Non puoi essere solo uno, sei una moltitudine dentro un colpo solo.

Il genio è egoista, perché altrimenti farebbe fatica a sopravvivere. Cooper racconta il travaglio emotivo di Bernstein – ben rappresentato in un’intervista messa in scena nel film da una frase in cui lui dice, con totale mancanza di lucidità (sembra Chaplin che odia Il grande dittatore dopo aver scoperto i lager), dice che “non ha fatto abbastanza, che non è poi così tanto quello che ho fatto” – senza indulgenze ma con rispetto. Tanto che dedica il film ai figli di Leonard Bernstein e loro lo ricambiano difendendolo, perché hanno riconosciuto il loro dolore e la sua onestà intellettuale e artistica.

Leggenda metropolitana racconta che da Philadelphia gli spettatori uscivano di corsa per andare a comprare i cd della Callas, memori della scena struggente (incredibile che Tom Hanks si sia pentito di aver interpretato quel film per un politicamente corretto demenziale) in cui Beckett la spiega al suo avvocato, Miller (che squisita scelta dei cognomi, un vezzo intellettuale tutt’ora irresistibile).

Ecco, diciamo che Maestro è così bello che non solo comprerete l’opera omnia di Leonard Bernstein e un suo busto a grandezza naturale, ma (ri)comincerete a fumare.

Bradley Cooper in una delle scene del film

Maestro. Bradley Cooper as Leonard Bernstein (Director/Writer) in Maestro. Cr. Jason McDonald/Netflix © 2023.