Tra Me Too e infanzia sotto i riflettori. La docuserie su Nick e Aaron Carter ci ricorda che anche gli idoli possono cadere

Dipendenze e accuse di violenza sessuale. La storia dei due fratelli pop star è costellata di drammi, conflitti e denunce. Che parlano tanto anche dell'industria musicale e di come il movimento nato nel 2017 sia stato fondamentale per fare breccia in un muro apparentemente impenetrabile. Quattro episodi in esclusiva su Discovery+ dal 28 giugno

Negli anni Novanta, se si fosse sbirciato nella cameretta di una qualsiasi adolescente, con molta probabilità si sarebbe incappati nel poster di una boy band. E, con ancora più probabilità, quella boy band si sarebbe chiamata Backstreet Boys. Cinque ragazzi sottoposti ad una serie di audizioni ad Orlando dal manager Lou Pearlman – successivamente accusato di comportamenti sessuali inadeguati e arrestato nel 2006 per riciclaggio e cospirazione – uniti in un gruppo pop destinato a diventare il simbolo di un decennio. Howie Dorough, Brian Littrell, AJ McLean e Kevin Richardson e Nick Carter. Il più piccolo del gruppo, 12 anni appena, con i capelli biondi e il viso pulito. Neanche a dirlo, è lui che, di lì a breve, sarebbe diventato l’idolo delle fan.

Oggi che di anni ne ha 44, Nick, insieme al fratello Aaron – deceduto nel 2022 a 34 anni – è il protagonista di Nick e Aaron Carter: la caduta delle star, docuserie in quattro parti che arriverà in Italia in esclusiva su Discovery+ con i primi due episodi dal 28 giugno (i successivi saranno disponibili il 5 e 12 luglio). Ma attenzione: non si tratta di una sorta di amarcord degli anni d’oro, tra dischi di platino e folle urlanti. Tutt’altro.

Le accuse contro Nick Carter

La docuserie, oltre a mettere in risalto il complesso rapporto tra i due fatto di accuse reciproche culminate in atti restrittivi, minacce di morte e copertine di giornali scandalistici – analizza le accuse di violenza sessuale nei confronti di Nick Carter da parte di tre donne: Melissa Schuman, ex membro della girl band Dream – la prima a farsi avanti pubblicamente nel 2017 per poi citarlo in giudizio nel 2023 – Ashley Rapp, un’amica della sorella del cantante, minorenne all’epoca dei fatti, e Shannon “Shay” Ruth, trentatreenne affetta da autismo e paralisi cerebrale che lo accusa di averla stuprata al termine in un concerto nel 2001, a Tacoma, quando aveva solo 17 anni.

Nick Carter

Nick Carter

Il membro dei Backstreet Boys nega le accuse e mette in dubbio la credibilità delle donne che lo hanno denunciato. Lo fa senza mai comparire. Si affida ai suoi legali e lascia che il suo unico commento – indiretto – sull’intera vicenda si riduca a una frase impressa in un cartello che compare all’inizio e alla fine di ogni episodio.

Alle voci di Schuman, Rapp e Ruth si aggiungono quelle dei familiari e degli amici più intimi dei due fratelli, tra cui l’ex fidanzata di Nick, Kaya Jones, ex membro delle Pussycat Dolls che ricorda episodi oscuri nel corso della loro relazione, e l’ex fidanzata di Aaron, Melanie Martin, nonché madre di suo figlio.

Un’infanzia trascorsa sotto l’obiettivo

Gli episodi diventano così un modo per addentrarsi ancora di più nel privato dei due cresciuti letteralmente sotto lo sguardo di milioni di persone. Da un lato Nick osannato e desiderato in ogni angolo del mondo e il fratello minore, Aaron, che a nove anni aveva già inciso il primo disco. Erano loro a mantenere la famiglia e a permettergli un tenore di vita che fino a pochi anni prima era impensabile.

E chissà come deve essere crescere sotto l’obiettivo, mentre tutti ti ripetono quanto sei bravo e bello. Si potrebbe addirittura arrivare a pensare che tutto ti appartenga e che nessuno possa mai rifiutarti. Perché stando ai racconti delle tre sopravvissute più di una volta la parola “no” è stata pronunciata senza che Nick Carter si fermasse. “Perché mi hai fatto fare una cosa del genere?”, avrebbe scritto in un messaggio inviato a Melissa Schuman il giorno seguente la violenza.

Aaron Carter

Aaron Carter

L’importanza del Me Too

Proprio lei ricorda come il 2017, l’anno della nascita del movimento Me Too a seguito delle denunce contro Harvey Weinstein, sia stato fondamentale per darle la forza di parlare pubblicamente. Una scelta alla quale è seguita una gogna mediatica, portata avanti da altre donne fan del cantante, che l’accusavano di mentire. A tenderle una mano Aaron che la difese affermando che quello che aveva fatto a lei, suo fratello lo aveva fatto anche ad altre ragazze. E che lui ne era stato testimone.

Un racconto amaro, squallido, triste. Una docuserie che pone un velo cupo sulla spensieratezza associata alla loro immagine fanciulla, quella pop e colorata che smuoveva – e smuove – milioni di dollari e dietro la quale si celava un profondo malessere. La vicenda giudiziaria di Nick Carter, inoltre, è stata fondamentale per permettere di aprire una breccia in quel muro apparentemente impenetrabile dell’industria musicale. Come se lì i predatori sessuali non esistessero.

Eppure i casi di R. Kelly e DR. Luke non sono isolati. Ne è un esempio recente la vicenda che ruota attorno a Sean “Diddy” Combs, accusato di violenza sessuale e sfruttamento da più donne, compresa la sua ex compagna. Idoli intoccabili e idealizzati che, improvvisamente, si mostrano in tutta la loro nullità.