Bastarden. O anche di come bisogna stare attenti ai propri sogni perché potrebbero realizzarsi

Nikolaj Arcel, già regista del candidato all'Oscar per la Danimarca A Royal Affair e di una poco riuscita trasferta a Hollywood con La torre nera, firma un western struggente e potentissimo. Regalando al suo Mads Mikkelsen una performance straordinaria. A rischio Leone

“Noi facciamo piani e Dio se la ride”. Nikolaj Arcel sorprende tutti presentando Bastarden con un proverbio danese e ancora di più ammettendo che la storia di un capitano che sogna di diventare barone coltivando la sterile brughiera nel 18° secolo è, in realtà, il suo film più personale, quello che ha voluto raccontare dopo essere divenuto padre.

Ed è proprio questo corto circuito tra una grande storia western e l’intimità di un uomo nel suo momento cruciale che rende Bastarden – non a caso il titolo italiano è incentrato sulla paternità, mentre quello internazionale sull’oggetto del desiderio del protagonista (La terra promessa) – un lavoro di quelli che ti restano dentro, graffiandoti l’anima, rigandoti il viso delle stesse lacrime, nolenti ma inevitabili, che si impongono, alla fine, sul viso di Mads Mikkelsen, un interprete che ha ormai un (quasi irritante) livello di perfezione stilistica, di misura, di talento e mestiere. Soprattutto se “costretto” a raccontare, incarnare uomini che debbano affrontare una prova titanica. Che sia un’accusa ingiusta, un futuro già scritto, coltivare ciò che è sempre stato sterile.

Bastarden, la trama

Ludvig Kahlen è il figlio di una domestica, militare al servizio della corona danese per 25 anni. Esercito che ha lasciato con i gradi, inusuali per uno dagli umili natali come lui, di capitano e una pensione miserabile. È solo, ma ha un sogno: coltivare la brughiera. Un desiderio che condivide con il re di Danimarca. Si fa assegnare un terreno adiacente alla proprietà di un nobile debosciato e crudele, Frederik Schinkel – anzi De Schinkel, “perché è più aristocratico” – abituato, su quelle terre infami e sugli sventurati che le abitano e le lavorano, a esercitare un potere tirannico, feroce e senza scrupoli, violentando quelle che lui chiama serve e decidendo di vita e morte dei suoi braccianti.

Non può accettare quel Don Chisciotte che con qualche sacco misterioso che contiene ciò che vuole seminare, nessun appoggio se non quello di un uomo di Dio e di una coppia che è scappata dal nobile di titolo ma non d’anima, prova a contendergli quel miserabile potere. E persino, insolente, la futura moglie.
Ne nascerà una lotta senza quartiere in cui due follie, una lucida e disperata, l’altra ignobile e feroce, si daranno battaglia, selvaggiamente. Senza esclusione di colpi.

Bastarden

Commento breve I sogni son desideri. Di infelicità
Data di uscita:
Cast: Mads Mikkelsen, Simon Bennebjerg, Melina Hagberg, Amanda Collin, Kristine Kujath Thorp, Gustav Lindh
Regista: Nikolaj Arcel
Sceneggiatori: Anders Thomas Jensen, Nikolaj Arcel
Durata: 127 minuti
La scena della tortura del protagonista in Bastarden

La scena della tortura del protagonista in Bastarden

La recensione del film

Anders Thomas Jensen. No, non è il nome di un nobile nel cast di Bastarden, ma di uno scrittore per il cinema che dopo aver vinto con un cortometraggio un Oscar nel 1999, si è imposto come uno degli sceneggiatori che ha dato vita e vitalità alla nouvelle vague danese, quella post Dogma, popolare e raffinata, perfettamente rappresentata dal suo sodalizio con Susanne Bier e da quel capolavoro di regia e scrittura che è Le mele di Adamo, da lui diretto. Se a quelle latitudini si fa uno tra i cinema europei migliori, sintesi brillante tra un cinema nordico rarefatto e condizionato, soprattutto in positivo, da paesaggi maestosi, scenografie naturali – che a volte possono cannibalizzare il film ma spesso invece lo caratterizzano profondamente – e uno più mitteleuropeo, filosofico e riflessivo, lo si deve a sceneggiatori come lui (e a lui in particolare) che di questo incontro di culture, emotività, di questa sorta di tettonica a placche cinematografica, in cui il cinema è una montagna che viene su dallo scontro e accavallamento di due culture violente e potenti, è probabilmente tra gli esponenti più illuminati.

Bastarden è un western, sì, ma anche un cinema politico di riscatto e ricatto sociale, è Ludvig che si fa capo di una comunità di disperati ed emarginati – topos cinematografico di questa mostra se si pensa anche a Comandante o Dogman – ma che al suo sogno rischia di dover consegnare la propria anima. È la storia di come l’uomo possa essere grande, un Prometeo che può persino superare gli dei, e di quanto possa precipitare in basso. Come tutti i grandi film, Bastarden è una parabola incredibilmente semplice, riassumibile in una frase, in poche parole. Eppure ti riempie testa, cuore, immaginario. E soprattutto occhi e pancia, perché rabbia, dolore, tenerezza, sollievo li sentirete dentro le viscere mentre ammirerete una fotografia a tinte forti e al contempo essenziale e un paesaggio che è esso stesso personaggio.

Arcel, regista sensibile soprattutto nel riempire l’immagine del dolore dei suoi personaggi, quella brughiera la fa diventare una sorta di Far North dove tutto può e deve accadere, dove il buono e il cattivo sono corrosi dallo stesso demone, schiacciati da un Edipo infame – Ludvig (Mikkelsen) è il Bastarden del titolo figlio dello stupro di un aristocratico, per questo quel titolo di barone è la sua ossessione; Frederik (Simon Bennebjerg, bravissimo nel raccontare un’amoralità capricciosa) ripete solo ciò che ha visto e imparato da chi l’ha generato – e dai loro sogni di onnipotenza. In cui giusto e sbagliato, ingiustizia e riscatto, merito e colpa perdono la loro limpida distinzione, devastati da un’ambizione cieca, ottusa. Ludvig vuole incassare ciò che la vita gli ha negato pur essendoselo conquistato, Frederik ciò che pensa suo per diritto divino e di casato. Ma in fondo entrambi, pretendono ciò che considerano giusto avere.

 

Il poster di Bastarden

Il poster di Bastarden

Schiacciate tra loro le anime più sensibili vengono stritolate: da Anton, commovente uomo di chiesa che è forse l’unico personaggio che persegue un’ostinata giustizia terrena, con pulizia e serenità, illudendosi che Dio possa essere uno scudo. O Ann Barbara, figura femminile meravigliosa, ironica e indipendente, materna e sensibile, che ci conduce a un finale che tira fuori un altro, incredibile registro. Amanda Collin sa pennellare un personaggio che è cruciale nel film, è il punto di rottura di Ludvig e la resa dei conti di Frederik, ma anche l’unico spiraglio d’amore in quelle lande desolate, letteralmente e moralmente. Se Mikkelsen, nel suo Prometeo granitico trova persino una missione facile per il suo talento, è lei il termometro emotivo e lo scarto di senso di tutta l’opera, lei che con quello sguardo finale, bello, quasi sereno, ma pieno del dolore che ha vissuto (sottolineato da una delle tante bellissime musiche di Dan Romer), ti fa credere a ciò che accade fino all’ultima sequenza. Anzi, te lo fa desiderare.

Bastarden è quel tipo di film che può mettere d’accordo tutti, autori e registi pop, attori e sceneggiatori. E un primo serio candidato al Leone d’Oro, a naso, sembriamo averlo trovato.