Joseph Quinn, da Stranger Things a Venezia: “In Hoard la relazione tossica tra persone danneggiate”

L'attore inglese, 29 anni, è alla SIC con il debutto di Luna Carmoon: "Film così piccoli non devono rinunciare ai festival solo perché le grandi multinazionali da miliardi di dollari rifiutano di negoziare. Lo sciopero durerà a lungo"

Madre e Maria vivono nel loro regno privato. Un mondo di fantasia, un universo creato appositamente da un genitore per sé e per la sua bambina, pieno di risate, grida di gioia, di storie raccontate sotto alle lenzuola. Un velo di Maya, utilizzato da “madre”, nel film di debutto Hoard di Luna Carmoon, in anteprima a Venezia alla Settimana della critica, per proteggere la figlia. E, forse, anche se stessa.

La madre della protagonista del film è un’accumulatrice seriale, una donna che vive sepolta sotto a cumuli di fogli, buste e sporcizia. Finché i servizi sociali non sono costretti a intervenire. Dieci anni dopo, quando Maria è ormai grande e incontra un ragazzo afflitto da un trauma simile a quello della madre, tra i due scatta un sintonia intensa e distruttiva. Una connessione che le performance degli inglesi Saura Lightfoot Leon, 25 anni, e Joseph Quinn, 29 (Eddie Munson nella quarta stagione di Stranger Things), entrambi al Lido per la première del film, rendono credibile e vibrante.

Quinn, è a Venezia mentre i suoi colleghi di Stranger Things scioperano. Cosa prova?

Joseph Quinn: Sono qui per sostenere Hoard. Non penso che film piccoli come questo di Luna Carmoon, e altri titoli indipendenti, debbano rinunciare ai festival o rimetterci solo perché le grandi multinazionali conglomerate da miliardi di dollari rifiutano di negoziare. Tutti vogliamo tornare a lavorare, ovviamente. Ma vogliamo farlo quando ci sarà collaborazione e rispetto. Il che significa, purtroppo, che lo sciopero dovrà continuare ancora per un po’.

Nel film ci sono scene intime, di grande vicinanza fisica. Come le avete girate?

J.Q.: Sul set c’era una straordinaria coordinatrice di intimità. E Saura è una ballerina eccezionale, cosa che le consente di avere un grande controllo del corpo. Tra noi c’era una buona intesa, ma è stato utile avere qualcuno che sapesse aiutarci, mettendoci a nostro agio. Per recitare certe scene è importante ricevere il permesso del proprio partner: solo attraverso la fiducia ci si può spingere “oltre”.

Saura Lightfoot Leon: Il film si basa molto sulle reazioni fisiche Non si tratta di scambiarsi frasi o parole, ma di agire al momento giusto, quando ce n’è bisogno. C’è una sequenza che per me è la testimonianza del voto di fiducia che ci siamo scambiati, quella in cui imitiamo la corrida. È folle. Solitamente per chiudere una scena servono tre, quattro ciak. Per quella ne sono bastati due. Era un mix tra elementi strettamente coreografati e libertà interpretativa. Una scena guidata da un istinto animale, selvaggio, con picchi di tenerezza e violenza. Per non rimanere travolti da questa potenza emotiva, bisogna sapersi prendere cura dell’altro. Cosa che Joe ha fatto con me.

I due protagonisti si “odorano” a vicenda. Perché?

S.L.L.: L’odore è un elemento fondante in Hoard. Maria e Michael convivono in uno spazio piccolo e caldo, si vedono tutti i giorni. Si imbarcano per inattese avventure, creano mondi, si sentono in una sorta di paradiso. Ma quel mondo inventato non è sano: soprattutto, non è in sintonia con la realtà. Ed è un problema. Come quando si tocca l’estasi con la droga: ne vuoi sempre di più, di più e di più. Ma la realtà poi ti colpisce dritto in faccia.

Cosa determina l’attrazione fra due persone ‘danneggiate’?

J.Q: Da una parte si trova consolazione nel capire che non siamo gli unici ad aver vissuto esperienze traumatiche. Sapere che la vita ti prende a morsi, indipendentemente da chi sei. E, allo stesso tempo, quando condividi il trauma con qualcuno, scatta una sorta di sconcertante co-dipendenza, che può avere derive tossiche. Credo sia questo il cuore di Hoard.

Scoprire il trauma dell’altro è una salvezza o una dannazione?

J.Q.: Salvezza, se le persone sono “spezzate”. Ma allo stesso tempo, un vetro rotto non si aggiusta con un altro vetro rotto. A un certo punto si arriva alla consapevolezza che l’altro non può salvarti. E tu nemmeno. Il mio personaggio ha bisogno di aggrapparsi a ciò che ritiene possa dargli conforto. Non sono uno psicologo, ma penso che se due persone soffrono entrambe di sindrome dell’abbandono,  il loro avvicinamento non possa che avvenire nel segno dell’instabilità.