La Chimera, una favola feroce e candida sulla fine del sacro

Certo, si pensa anche a Fellini e Pasolini, ma è soprattutto un film sull’aldilà il nuovo lavoro di Alice Rohrwacher in concorso a Cannes: qui vivi e morti convivono parlandosi a vicenda, qui si varcano soglie inaudite

Il candore privo di ingenuità che si legge negli occhi di Alice Rohrwacher, quel suo fermo radicamento in un mondo agreste puro e feroce che ci sembra, da una prospettiva urbana, appartenere al passato – questo è il suo cinema. Coincidono perfettamente, ne La Chimera, lo sguardo della regista e la storia che racconta: “Da bambina, nei bar del paese, sentivo parlare di certi tesori. I tesori delle tombe, che era proibito portar via ma lo facevano tutti invece perché valevano soldi, tanti soldi, e di soldi da quelle parti ce n’erano pochi”.

Era del tutto normale, per una bimba cresciuta della Tuscia, che donne e uomini uscissero a scavare e cercare sottoterra non tuberi ma divinità, meravigliose statue e gioielli e giochi, e tuttavia di nascosto – lo facevano. La profanazione, il contatto proibito tra mondi non destinati a toccarsi è di nuovo il suo tema. Con occhi sgranati e attenti, senza giudizio. Una favola che racconta il mondo com’è anche dove non si comprende.

La chimera: un film sull’aldilà

È un film sull’aldilà, La chimera: sul modo in cui vivi e morti convivono parlandosi a vicenda ma è anche una parabola sulla fine del sacro. Perché se tu entri in una tomba etrusca a depredare un corredo funebre non destinato agli occhi degli uomini ma alle anime dei morti e alla gratitudine degli dei stai varcando una soglia inaudita. Stai commettendo sacrilegio, ma poiché non credi al divino – credi al denaro che da quel bottino ne verrà – non sai di farlo e dunque qual è la tua colpa, c’è una colpa? E quali le conseguenze sulla vita degli uomini, se fra quel che è lecito e quel che gli uomini non possono non esiste più il confine?

I tombaroli della Tuscia, uomini e donne, hanno i volti dei mangiafuoco e delle indovine che leggono le carte nei circhi di paese, i ballerini secchi e scalcagnati delle sagre, l’umanità di un’Italia interna, remota, che esiste, eccome se esiste, solo che non la vediamo. Non la rappresentiamo più.

Perciò pensi a Fellini, a Rossellini, a Pasolini e certo – per chi ha cultura cinematografica i riferimenti sono nitidi, ma se sei uno che vive lì vedi semplicemente il tuo mondo. La realtà com’è adesso. Le tombe che si aprono sotto la grande industria sputafiamme, i miasmi inquinanti e tre metri sottoterra, proprio lì, la dea fanciulla candida, intatta e inconsapevole. I tombaroli, nel film, sono guidati da uno straniero. “Perché è sempre buona cosa guardare con gli occhi di uno straniero – ci ha detto Alice – lo straniero vede”.

Josh O’Connor, rabdomante di anime

Questo straniero, Josh O’Connor, ha il dono di sentire dove sono i morti. Un rabdomante di anime. La donna che amava è morta, ma lui la sente. Torna a cercarla nella terra dove vive la sua famiglia, in Italia, accolto con adorazione dalla madre di lei che alla morte della figlia non crede, la aspetta. Isabella Rossellini, la vecchia magnifica signora insegnante di canto che vive nella villa un tempo sontuosa ora in rovina, è semplicemente strepitosa. Governa una nidiata di figlie che si parlano addosso con invidia e cattiveria, le ignora, le scene corali tra madre e figlie dentro casa sono tra le più delicate ed esilaranti del film. Lo straniero guida i tombaroli alla ricerca dei loro tesori, lui del suo: l’amata.

Con la governante brasiliana della vecchia signora, madre di due figli che nasconde, nasce una intensissima intesa: il momento in cui si parlano a gesti è una delle più belle scene d’amore vista negli ultimi anni. Non c’è sesso, non c’è violenza esplicita, non c’è droga, non c’è crimine eppure c’è tutto – in questa storia. Le donne si organizzano, le donne mandano avanti il mondo e lo governano. Si vorrebbe andare a vivere lì, nella stazione ferroviaria abbandonata che Carol Duarte, bravissima, trasforma nel mondo come dovrebbe essere, come sarebbe bello che fosse: pidocchi sulla testa dei bambini compresi, e allegria. Alba Rohrwacher è un’apparizione: la mercante spregiudicata. È il mondo di là, quello che arriva e comanda.

Ma chi comanda davvero, invece, è il passo sghembo di Arthur, le sue visioni, il suo essere in bilico fra poesia e ridicolo, fra realtà e desiderio. Arthur vede quel che noi non vediamo e lì ci porta. Se dovessi scommettere i miei cinquanta centesimi direi che Josh O’Connor si avvia a grandi passi verso la gloria. Un destino da superstar, mi pare abbia davanti. Bellissimo, timido, fragile, inaccessibile. Straordinario. (I morti, comunque, ci sono. I morti ci parlano. Alice Rohrwacher li sente. Solo alle anime pure è concesso). Nelle sale a fine anno, bisogna portare pazienza, non avere fretta – il film ce lo insegna.