La Berlinale chiede con forza la libertà di viaggio e di movimento per la coppia di registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, il cui film Keyke mahboobe man (My Favourite Cake) corre per l’Orso d’oro all’edizione 74 del festival. “Abbiamo saputo che nei confronti dei due registi iraniani è stato emesso una divieto di viaggio: i loro passaporti sono stati confiscati e rischiano di essere sottoposti ad un processo in relazione al loro lavoro come artisti e autori cinematografici”, riferisce una nota ufficiale del festival.
Sceglie parole molto chiare la Berlinale nel lanciare l’allarme sul destino dei due cineasti iraniani. Il festival, così il comunicato, “s’impegna per la libertà di parola, d’opinione e artistica per tutte le persone. Il festival è sotto shock e sconvolto per il fatto che a Moghaddam e Sanaeeha potrebbe essere impedito di recarsi a Berlino per presentare il loro film ed incontrare il loro pubblico.
E ancora: i due direttori della Berlinale, Carlo Chatrian e Mariëtte Rissenbeek, “chiedono con forza alle autorità iraniane di restituire i passaporti e di ritirare le limitazioni che impediscono ai due registi di recarsi a Berlino”.
Il precedente lavoro di Moghaddam e Sanaeeha, Ballad of a White Cow, era stato inserito in concorso al festival tedesco nel 2021 riscontrando un grande successo di pubblico. Il loro nuovo film, appunto My Favourite Cake, viene sostenuto anche dal World Cinema Fund della Berlinale ed aveva stato premiato al Berlinale Co-Production Market con l’Eurimages Co-Production Development Award.
“Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha hanno una lunga e variegata storia con la Berlinale”, conclude la nota del festival, che da sempre ha una particolare attenzione verso il cinema iraniano. “Deve essere loro permesso di tornare a Berlino”.
Il governo contro il cinema
Risale a fine dicembre 2023 la prima notizia del divieto di lasciare l’Iran emanato per Moghaddam e Sanaeeha, quando le forze armate del regime iraniano hanno confiscato i loro passaporti insieme a diverso materiale relativo a My Favorite Cake. I due registi avevano già in programma un viaggio a Parigi per completare la post-produzione, ma sono stati accusati di propaganda contro il regime e minaccia alla sicurezza nazionale.
Il motivo ipotizzato sarebbe la loro adesione, insieme ad altri 70 registi iraniani, alla campagna social #put_your_gun_down, contro l’inasprimento della violenza e della repressione da parte del regime nei confronti degli artisti a partire dalla morte di Mahsa Amini. Come riportato anche da IranWire (testata digitale che dall’inizio delle proteste del movimento Woman Life Freedom cerca di eludere la censura del regime attraverso le testimonianze inviate direttamente dai cittadini nei luoghi delle manifestazioni), una rete di registi indipendenti iraniani denuncia l’incremento massiccio di condanne e incarcerazioni di registi e interpreti negli ultimi due anni.
Moghaddam e Sanaeeha sono solo gli ultimi in ordine cronologico nel mirino del ministero della cultura e della guida islamica, lo stesso che nel 1984 ha emanato una serie di divieti espliciti contro i film che offendono la moralità e i valori dell’islam o “lascino intendere qualsiasi cosa contraria agli interessi e alla politica del paese”.
Lo hanno mostrato con ironia e intelligenza Alireza Khatami e Ali Asgari (anche quest’ultimo trattenuto dalle autorità iraniane) nel loro film a episodi Kafka a Teheran, in cui tra i personaggi che popolano la narrazione un regista è costretto a tagliare pagine e pagine della sua sceneggiatura per non incorrere nelle conseguenze della censura.
Come Moghaddam e Sanaeeha, anche Asgari nel 2023 ha partecipato in concorso a Cannes nella sezione Un certain regard insieme a Khatami, non potendo però raggiungere la Croisette. A Venezia 2022, invece, Jafar Panahi non ha mai potuto ritirare il premio speciale della giuria per Gli orsi non esistono perché detenuto nel carcere nel carcere di Evin e rilasciato soltanto a febbraio 2023. Era in prigione dal luglio dell’anno precedente, liberato in seguito alla pressione della comunità internazionale.
Il suo tuttavia rimane uno dei casi più noti e conosciuto della lunga storia di “repressione delle coscienze” in Iran. Il primo arresto risale al 2010 insieme ad altri 48 registi, per “propaganda contro il sistema”, a cui ha fatto seguito anche un divieto ventennale di realizzazione di ulteriori film, chiaramente infranto da Panahi.
Panahi, così come numerosi altri registi – da Mani Haghighi a Reza Dormishian, Darius Mehrjui o Mohammad Rasoulof – ha scelto e continua a scegliere la resistenza.
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