“Cosa mi manca di lui? Non voglio piangere. Mi manca la bellezza fisica di Michelangelo. Era bellissimo, elegantissimo, carismatico, intelligente. Qualche difetto ce lo aveva. Ma non importa. Spesso dico alle mie nipoti: ‘Possiamo vedere un uomo bello, per favore?’”. Converse ai piedi, look total black, una pashmina rosa antico appoggiata sulle spalle ad esaltare il biondo dei capelli e una spiccata ironia. Enrica Fico Antonioni, assistente alla regia, produttrice e regista, è stata la moglie e collaboratrice di Michelangelo Antonioni fin dal loro incontro nel 1972.
“Aveva un caratteraccio, non è stato sempre semplice stargli accanto”, ricorda Fico. “Lo sanno anche le persone che hanno lavorato con lui. Poteva essere spietato sul set. Dovevi dare il massimo, altrimenti potevi andare via. È nato che già sapeva come si muoveva una macchina da presa. Tutte le storie inventate sono state anche il mezzo che gli ha insegnato a comunicare. Era descritto come il maestro dell’incomunicabilità. Ma lui si arrabbiava tantissimo. Diceva: “Ma se questa cosa l’ho messa in un film vuol dire che l’ho comunicata”.
Oltre cinquant’anni dopo dal loro primo incontro Fico non ha smesso di impegnarsi per preservare l’eredità artistica del regista de La notte. Non a caso il 31 maggio inaugurerà Spazio Antonioni a Ferrara che riceverà tutti i materiali donati nel 1995 tra cui tutta la ricerca fatta per Tecnicamente dolce, compresi i suoi scritti a mano. “Mi fa lavorare tutti i giorni Michelangelo”, scherza sul palco del Riviera International Film Festival dove ha presentato, insieme al regista italo-brasiliano Andrè Ristum e al produttore Fabiano Gullane in collegamento da Brasile, Tecnicamente dolce, sceneggiatura scritta nel 1965 da Antonioni e rimasta in un cassetto. Ma non per sua volontà.
Tecnicamente dolce, la genesi della sceneggiatura
“Carlo Ponti all’epoca aveva un contratto con la Metro Goldwyn Mayer per fare tre film con Antonioni. Michelangelo andò da lui con due script. Uno era Tecnicamente dolce, ambientato metà in Sardegna e metà nella giungla amazzonica, l’altro era Blow up, ambientato a Londra”, ricorda la regista. “All’epoca Antonioni stava ancora con Monica Vitti e solitamente i registi scrivono film per le loro attrici. Ma c’era un po’ di maretta tra i due perché durante Deserto rosso lei si era innamorata di Carlo Di Palma. Così lui volò a Londra. Ponti aveva promesso di produrre Tecnicamente dolce, ma Blow Up ebbe un grande successo e Hollywood gli propose di fare un film. Così nacque Professione Reporter”.
“Michelangelo aveva conosciuto Clare e Mark Peploe con il quale aveva lavorato anche ad un’altra sceneggiatura mai realizzata, quella de La ciurma. Carlo Ponti era entusiasta, così come suo figlio a cui faceva leggere tutti gli script. Disse al padre: ‘Ma sei matto? Non fargli fare Tecnicamente Dolce ma Professione Reporter‘”, continua Fico. “Era tutto pronto, anche gli attori: Jack Nicholson e Maria Schneider. Andammo a Parigi a incontrare Jack e inseguimmo Maria che era molto arrabbiata con i registi italiani per la scena del burro con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi. Si voleva ritirare, Michelangelo la convinse a ripensarci. Non ci sono volute molte parole, è bastata la sua presenza”.
Un film di Andrè Ristum da uno script di Antonioni
Nonostante non sia mai riuscito a portare sul grande schermo le pagine scritte nel 1965, quella di Tecnicamente dolce è forse una delle sceneggiature più conosciute di Michelangelo Antonioni, proprio per la difficoltà produttiva incontrata nel corso di lunghi anni. “Quando ci siamo conosciuti, nel 1972, lui stava cercando di produrre il film per la seconda volta”, sottolinea Enrica Fico. “All’epoca anche Tonino Guerra aveva lavorato alla sceneggiatura, ma cinquant’anni dopo abbiamo deciso di ripartire dallo script originale, perché da allora tutto è cambiato”.
“Andrè non è stato il primo a proporsi alla sceneggiatura”, confida Fico. “Ma è il figlio di un nostro carissimo amico, Jirges, che noi chiamavamo ‘il turco’. Veniva spesso da noi in vacanza in Sardegna. Quando Michelangelo ha deciso di pubblicare la sceneggiatura, perché era chiaro che Carlo Ponti non l’avrebbe mai prodotta, Jirges gli chiese se potesse girare lui il film. Michelangelo acconsentì. Jirges si mise a lavoro ma poco dopo si ammalò e morì senza riuscire a realizzarlo Andrè era molto piccolo, ma anni dopo ha seguito le orme del padre e quando è andato a cercare tra le varie cose che aveva fatto, scoprì il loro accordo. I film a volte non vogliono essere fatti, ma ci sono altri momenti in cui si forma l’alchimia”.
“È un progetto che conosco da sempre”, confessa Ristum in video collegamento da Brasile per parlare dello stato dei lavori della pellicola. “Abbiamo avuto un finanziamento importante dal Brasile e a fine aprile anche la conferma dal ministero in Italia. Stiamo finalmente andato avanti dopo la pandemia e il governo Bolsonaro. Dovremmo girare il prossimo anno. Erica dice sempre che sono tranquillo perché sono guidato. Sento la presenza di mio padre e di Michelangelo, questo mi da coraggio e incoscienza. L’unica possibilità è fare il film che voleva fare Michelangelo ma che sarà di Andrè partendo dalla sceneggiatura di Antonioni. I temi sono molto presenti. Quando l’abbiamo fatta leggere tutti ci dicevano: ‘Sembra scritta ieri’. Non è invecchiata”.
Tecnicamente dolce, Antonioni e il tema ambientale
“Il titolo è un riferimento a una delle qualità della bomba atomica”, confida Enrica Fico. “Un titolo molto appropriato, sia allora quando scrisse lo script, molto legato alla Sardegna incontaminata pre boom edilizio, sia oggi se si pensa a quello che è successo. Il protagonista del film è ossessionato dalle armi e va in Sardegna per usare i suoi fucili. Questo dava la possibilità di andare in una terra ancora sconosciuta e incontrare personaggi particolari che esistono ancora. Ci sono stata con Andrè e Fabiano lo scorso maggio e quei luoghi sono rimasti intatti”.
La pellicola, fortemente ancorata al tema ambientale, partirà dal nucleo originale dello script di Antonioni, ma vivrà anche dello sguardo del suo regista. “Andrè ha un’idea diversa per il finale che io apprezzo molto. E spero che anche Michelangelo, in qualche modo, faccia lo stesso. Gli ho rivelato cose che sapevo solo io su come doveva essere l’ultima inquadratura. Era molto forte, tanto quanto quella di Professione Reporter che ha cambiato la storia del cinema e come usare la macchina da presa”, ricorda Enrica Fico.
“Michelangelo aveva in mente una sequenza finale impossibile da realizzare, ma ci sarebbe riuscito. Perché aveva fatto sua la lezione di Jean-Luc Godard. Per lui la posizione della macchina da presa era un fatto morale. Non la metti perché ti diverti a fare un bel movimento. C’è sempre una ragione”.
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