Andrew Dominik, Marilyn e la politica: “Il mondo è gestito dalla finanza, a cui serve mantenere lo status quo. Stiamo vedendo i limiti della democrazia”

"Blonde ha sconvolto molto le persone. È qualcosa di cui sono perversamente entusiasta", racconta il regista, presidente di giuria del RIFF, parlando delle reazioni contrastanti ricevute dal suo film su Marilyn Monroe. E sul potere del cinema di cambiare il mondo aggiunge: "No, perché i mezzi di produzione o di diffusione delle informazioni sono controllati da un numero molto limitato di persone". L'intervista di THR Roma

“Mi scusi, non vorrei interromperla, ma le dispiace se mi accendo una sigaretta?”. Esordisce così Andrew Dominik mentre ordina un espresso e si siede all’ombra della terrazza di un albergo di Sestri Levante per parlare con THR Roma. Il regista di Blonde è stato il presidente di giuria del concorso ufficiale del Riviera International Film Festival dedicato ad opere dirette da giovani cineasti under 35.

Il suo ultimo lavoro, dedicato a Marilyn Monroe con il volto di Ana de Armas e basato sull’omonimo romanzo del 2000 di Joyce Carol Oates, è stato presentato in concorso a Venezia 79 dove ha ricevuto critiche contrastanti. “Il film ha sconvolto molto le persone. Il che penso sia dovuto a qualcosa di cui sono perversamente molto entusiasta. È bello pensare che un film possa sconvolgere gli spettatori a quel punto. Voglio dire: quanto spesso si vede un film capace di farlo? È molto raro”.

Andrew Dominik

Andrew Dominik

Ruben Östlund, il regista di Triangle of Sadness, qualche settimana fa ha provocatoriamente affermato che così come in alcuni Paesi è necessaria la licenza per usare un’arma, dovrebbe essere lo stesso anche con la macchina da presa. È d’accordo con lui?

No, non si dovrebbero cercare nei film le risposte che dovresti ricevere dal governo. Il cinema è una forma d’arte. Non è una questione politica, secondo me. C’è un grande movimento nel mondo per rendere il cinema politico o per ritenere il cinema politicamente responsabile. Ma non c’è molto interesse a tenere sotto controllo il governo o le macchinazioni del settore finanziario. I veri poteri che controllano il mondo non sono i film.

Nel 2012 Sight & Sound le ha chiesto di scegliere alcuni dei migliori film di tutti i tempi. C’era solo un film degli anni 2000, Mulholland Drive di David Lynch. In questo lasso di tempo ha visto altri titoli all’altezza?

Sì, mi è piaciuto molto Hunger di Steve McQueen. Un film fantastico, formalmente audace. Di solito vedo ogni anno uno o due film che mi piacciono molto, ma non riesco mai a pensare quando mi sento messo alle strette (ride, ndr).

David LaChapelle a dichiarato a THR Roma che a suo avviso lo stato dell’arte in America è in un luogo molto oscuro. È d’accordo con lui?

Sì. Penso che questo tipo di ossessione per la politica dell’identità e tutta quella roba sia in realtà solo una questione secondaria. E penso anche che l’idea di rendere l’arte “pulita”, di cercare di sradicarne la trasgressione non sia davvero una buona cosa. Perché c’è una certa vitalità nell’essere trasgressivi. Riguardava i grandi film degli anni Settanta, ad esempio. Si trattava di oltrepassare i confini. Quando gli argomenti diventano cose di cui non puoi parlare, beh sono “solo” film.

Ana de Armas e Andrew Dominik sul set di Blonde

Ana de Armas e Andrew Dominik sul set di Blonde. Foto di Matt Kennedy/Netflix

Secondo lei perché Blonde in Europa è stato accolto meglio rispetto agli Stati Uniti?

Il film ha sconvolto molto le persone. Il che penso sia dovuto a qualcosa di cui sono perversamente molto entusiasta. È bello pensare che un film possa sconvolgere gli spettatori a quel punto. Voglio dire: quanto spesso si vede un film capace di farlo? È molto raro. L’aborto è stato messo al bando e credo ci sia stata una certa reazione giornalistica serrata. Penso che quando qualcuno grida “sfruttamento” sia come aprire fuoco in un teatro e tutti devono andarsene.

All’inizio della sua carriera ha lavorato molto nella pubblicità. Cosa le ha insegnato quell’esperienza?

Si tratta solo di “giocare”. Puoi usare l’attrezzatura, provare cose. Non ti insegna molto, per quanto poi puoi applicarlo a un film più lungo. Far funzionare 30 secondi è molto più semplice che cercare di rendere guardabili due ore e più. Ma è buono da un punto di vista tecnico e per come gestisci una troupe.

Il suo è stato un esordio tardivo sul grande schermo. Come mai?

Per il primo devi inventare una storia. Dovevo scriverlo, avevo 32 anni o qualcosa del genere. Non ero così vecchio. Ma mi ci è voluto molto tempo per trovare una sceneggiatura che funzionasse. Ho dovuto insegnare a me stesso a scrivere mentre la scrivevo. E ci sono voluti qualcosa come quattro anni. Un film è una decisione aziendale. Devi trovare una sorta di paradigma che abbia senso per le persone che investiranno soldi nel tuo progetto.

Crede che oggi sia più difficile fare un film?

Non lo so. Non so se per me è più difficile. Sono molto egocentrico (ride, ndr). È difficile realizzare film che siano ambiziosi. Ma sono sicuro che puoi fare film brutti o film stupidi abbastanza facilmente.

Al RIFF è stato presidente della giuria della selezione ufficiale e tutti i registi hanno meno di 35 anni. C’è un giovane regista europeo, americano o australiano che ammira?

Ari Aster. Penso sia fantastico. Midsommar! Quel film l’ho sentito davvero.

Andrew Dominik

Andrew Dominik

Sta lavorando a qualcosa di nuovo dopo Blonde?

Niente di cui possa parlare. Ma c’è sempre qualcosa su cui lavorare. E questo è un bene.

Quest’anno negli Stati Uniti ci saranno le elezioni. Stiamo attraversando un momento davvero buio della nostra storia. Crede che il cinema possa essere uno strumento per evidenziare la follia di ciò che sta avvenendo?

Ne dubito. Se si guarda a Google e alle grandi aziende, non criticheranno Trump. Perché dipendono da lui per la regolamentazione. I mezzi di produzione o di diffusione delle informazioni sono controllati da un numero molto limitato di persone. Quello che sta succedendo è una sorta di riluttanza a criticare qualcuno che potrebbe essere presidente. E non sono sicuro che il cinema cambi il mondo. Lei pensa che lo faccia?

Il cinema ha il potere di far conoscere storie sconosciute, di denunciare ingiustizie.

Penso che il problema con la maggior parte dei movimenti giovanili oggi sia che non hanno una direzione. Se si pensa al movimento Occupy Wall Street, sembrava davvero che stesse per succedere qualcosa, giusto? Ma non avevano un piano. In realtà, tutto ciò che fanno è esprimere i loro sentimenti. E non è quello di cui abbiamo bisogno. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcuno con una visione su come vivere o cosa fare. Ma il mondo è gestito dalla finanza e la finanza dipende dal mantenere lo status quo. Stiamo vedendo i limiti della democrazia.

Pensa sia lo stesso con gli studenti delle università statunitensi che protestano per quello che sta accadendo in Palestina?

Stanno lottando perché l’America smetta di finanziare Israele. Forse verrà esercitata una certa pressione che impedirà al governo americano di sostenerla. O forse sono solo ragazzi che stanno esprimendo un tipo di ribellione. La situazione è incredibilmente complessa. Se qualcuno ha una soluzione su cosa fare, devo ancora ascoltarla. Penso, ovviamente, che le persone che si uccidono a vicenda non siano una buona cosa. Non va bene né per gli israeliani né per i palestinesi. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcuno che abbia idea di cosa fare.