Da Barbie a Kaurismaki, ecco i migliori film del 2023 (secondo The Hollywood Reporter Roma)

Moretti o Gerwig? Oppenheimer o Triet? Cortellesi o Babylon? Una lista ricchissima in cui dominano gli elementi che hanno contraddistinto la stagione cinematografica: il bianco e nero, la musica e i campioni d'incasso (anche italiani). Per opere da festival e sale d'essai, senza tralasciare qualche chicca pop, molto pop (esatto, ci sono anche dei cinecomic)

Un po’ come le note di Voglio vederti danzare, così i migliori film del 2023 ci hanno condotto in un valzer il cui ritmo è cambiato a ogni nuova battuta, come su uno scompartimento pazzo e frenetico volto solamente a un obiettivo: farci perdere nei meravigliosi meandri di una ricca e variegata stagione cinematografica.

È la canzone di Franco Battiato che risuona nel testamentario Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti e su cui i suoi personaggi vorticano – così come i suoi attori sulla scalinata rossa del festival di Cannes (anche se, del film, ricorderemo soprattutto Nanni che intona Sono solo parole di Noemi). Ma durante l’anno si è fatti guidare anche dal battito schizofrenico della Hollywood Babilonia di Damien Chazelle, dalle sonorità hip-hop che fanno da contraltare all’immaginario fumettistico per il grande schermo di Spider-man (animato, mi raccomando), oltre che al ticchettio dell’orologio che attende la bomba e fa poi silenzio nello storico Oppenheimer.

E, a proposito del film di Christopher Nolan, impossibile non notare come nel 2023 a governare sia stato il bianco e nero. Lo ha fatto anche nel cinema italiano, con C’è ancora domani di Paola Cortellesi. E quando è dovuto esplodere in un tripudio di colori ne ha scelto uno su tutti: il rosa, del campione di incassi Barbie. Dal cinema da festival – che conclude l’anno con Foglie al vento di Aki Kaurismäki – fino a qualche chicca pop, molto pop (esatto, c’è anche un cinecomic), la redazione di The Hollywood Reporter Roma ha stilato la lista dei suoi migliori film del 2023. Sperando che, nel recuperarli, anche voi possiate danzare con noi.

Nota a margine: nessuno ha scelto Barbie perché tutti pensavano che gli altri avrebbero scelto Barbie. Questo fa perciò del film di Greta Gerwig il più votato dell’anno (seppur non presente in nessuna delle seguenti top 3)

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Una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse

Una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse

Spiegare perché un’opera d’arte ci è piaciuta e ci è entrata nel cuore è un’impresa difficile. Rischia di risultare ridondante e di svilirne il carico emotivo. Soprattutto in un’annata forte come il 2023, di nuove consapevolezze e numerose lotte a cui la settima arte ha saputo fare eco. Ha sancito nuovi scenari, espresso temi universali e disertato limiti e confini, espressivi ma anche concreti. È stato l’anno in cui un cinema politico ha saputo incarnare a pieno le necessità del mainstream (spodestando i blockbuster), in cui il passaparola è ritornato ad essere il mezzo di apprezzamento più efficace e in cui la linea di demarcazione tra individuale e universale – ma solo nel cinema, purtroppo – si è fatta sempre più labile. Eppure è facile ricondursi a chi questi intenti li ha saputi portare in sala.

Primo tra tutti, C’è ancora domani, un film che è riuscito a imporsi prepotentemente sul mercato nazionale, regalando una nuova consapevolezza a chi prima d’ora non ce l’aveva, con una narrazione inedita e spiazzante ma incredibilmente immediata. Ma ha fatto il suo anche l’animazione, ritornata sui suoi passi per creare progetti innovativi e travolgenti, come Spider-man: Across the Spider-Verse. Perché se per molti era impossibile apportare qualcosa di nuovo a un mercato già saturo e carico, la pellicola è riuscita a fare più dei suoi precedenti, narrando uno scontro generazionale in maniera lucida, corale e intimamente emotiva.

Lo stesso scopo di Anatomia di una caduta, fotografia dettagliata e cruda delle complessità dell’universo emotivo di una coppia arrivata al declino, e di tutte le disparità di genere che per troppo tempo sono state considerate consuetudine. Ma che forse, una volta per tutte, sono pronte ad essere raccontate. Perlomeno da dietro la cinepresa.

  • C’è ancora domani di Paola Cortellesi
  • Spider-man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson
  • Anatomia di una caduta di Justine Triet

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Barry Keoghan in Saltburn di Emerald Fennell

Barry Keoghan in Saltburn di Emerald Fennell

Nella scelta di soli tre titoli per i migliori film del 2023, la valutazione si è fondata non tanto – o, comunque, non solamente – sulle opere che, più di tutte, hanno saputo far battere il cuore quest’anno. Una lista, infatti, dovrebbe (o semplicemente potrebbe) rendere anche giustizia a quei lavori che, rispetto ad altri, hanno avuto meno occasione di brillare, o meno fortuna quando hanno tentato di farlo.

Tralasciando perciò la stupefacente fattura di Barbie e Oppenheimer – e il loro successo al botteghino da capogiro – è impossibile non riconoscere l’anima calda e vibrante di Babylon di Damien Chazelle, un cinema pieno zeppo di cinema, che nemmeno il regista di Whiplash e La La Land sapeva più dove ficcare. Elefanti, cocaina, il passaggio dal muto al sonoro: tutto è esagerato, tutto è grandioso. Come il finale, che spiega (ed è) la storia del cinema. Se da una parte, però, Babylon, ha avuto la fortuna di arrivare in sala, meno lo sono stati due film che invece, in Italia, sono atterrati su Prime Video (e compagni di piattaforme, su Mubi, del magnifico Aftersun).

Bottoms è la commedia scorretta che dice le cose più corrette che ci si potrebbe aspettare dal cinema contemporaneo. È divertente, a tratti geniale, ed è l’esempio di come una nuova generazione (queer, folle, brillante) sta avanzando, e che vogliamo a condurla la regista e sceneggiatrice Emma Seligman (Shiva Baby). Saltburn, al contrario, è tutto ciò che non dovremmo essere, ma di cui non sappiamo fare a meno: viziosi, viziati, attratti dal potere che uccide. È Emerald Fennell prima contro il patriarcato (Promising Young Woman), ora contro i ricchi. È un’autrice che continua ad architettare scene cult e a chiudere le sue opere con finali fulgidi.

  • Babylon di Damien Chazelle
  • Bottoms di Emma Seligman
  • Saltburn di Emerald Fennell

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Una scena di Close

Una scena di Close

Abbiamo vissuto dodici mesi di Cinema ad altissimo livello, con titoli meritatamente acclamati, premiati ai Festival e pluri-candidati. Ma tra i tanti si può decidere di puntare su tre pellicole differenti, che hanno diviso critica e pubblico, senza riempire sale e/o paginoni di giornali.

Davanti a tutti c’è Babylon di Damien Chazelle, la profonda e consapevole imperfezione d’autore, che abbaglia, divide e conquista. Il kolossal del regista premio Oscar per La La Land è il trionfo degli eccessi, di chi ha voluto osare sfidando la Hollywood di oggi celebrando la Hollywood di ieri. Film quasi orgogliosamente tutt’altro che impeccabile ma di accecante vitalità, esattamente come l’esistenza stessa. A inizio 2023 è arrivato in sordina nelle sale d’Italia Close di Lukas Dhont. Un coming of age di profonda dolcezza che si fa dolorosa realtà, tra amicizie infrante e sensi di colpa, fragilità e rimpianti, identità rifiutate, mascolinità tossiche e cuori spezzati. Dopo il folgorante Girl, il 32enne regista belga si è confermato come uno degli sguardi più interessanti e contemporanei del cinema europeo.

Medaglia di bronzo per La chimera di Alice Rohrwacher, l’inventrice di mondi che pennella personaggi, linguaggi, epoche, storie di vita e d’amore. Il talento di Rohrwacher è ormai meritatamente riconosciuto a livello internazionale, con i tombaroli capitanati da Josh O’Connor ultima perla di una cinematografia che in 12 anni ha saputo costruire un universo a sé stante, immediatamente riconoscibile e assolutamente inimitabile. Più che Chimera, Alice è sempre più granitica certezza.

  • Babylon di Damien Chazelle
  • Close di Lukas Dhont
  • La chimera di Alice Rohrwacher

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Margot Robbie in Babylon di Damien Chazelle

Margot Robbie in Babylon di Damien Chazelle

Sarà che tutti corrono come posseduti da un demone allegro, sarà che la macchina da presa si precipita lungo l’orizzonte e che rimani rapito da tutta quelle masse confuse del cinema che come gli eserciti di Guerra e Pace si attorcigliano una sull’altra sull’orlo dell’impazzimento generale. Sarà che respiri l’eccitazione, probabilmente inventata, dell’avventura che era Hollywood in quegli anni anche se era bastardissima e forse infame, sarà che è una lunghissima dichiarazione d’amore per il cinema di ogni genere e specie.

Sarà che è contagioso questo amore, sarà che mostra una vitalità allegra, sarà che questa è una delle sequenze più sorprendenti degli ultimi anni (molto di più, bisogna dire, della scena dell’orgia), sarà che non ci importa un granché se il film ha un sacco di difetti e che ci sono quelli che l’hanno spasmodicamente detestato. Sarà che ci piace quando la gente s’azzuffa perché almeno non schiantiamo di noia. Sarà che Damien Chazelle, il regista, è un ragazzo talmente passionale che ci fa simpatia e fa anche ridere il fatto che per qualche anno è sembrato travolgere il tempio hollywoodiano. Ma non c’è dubbio: Babylon è il film dell’anno.

Poi, nel 2023, ci sono stati anche il Guardiani della Galassia Vol. 3, che si è meritato il secondo posto del podio appena è risuonata Creep dei Radiohead a cantare il Weltschmerz di Rocket, e poi anche perché, in effetti, viene il dubbio che il raccontarsi della fantascienza sia diventato il principale autoritratto del mondo di oggi. Nel nostro palmarès, dopo un lungo ed incerto duello dello spirito, il film numero tre del 2023 è Oppenheimer (che, incredibilmente, ha avuto la meglio su Asteroid City), nonostante sia tutt’altro che esente da ombre: ma il vortice apocalittico dell’atomo, lo sguardo allucinato di Cillian Murphy, la lunga ballata della fine del mondo, la luce e il silenzio di Trinity Test sono tra le immagini che rimarranno, di questo 2023. Amen.

  • Babylon di Damien Chazelle
  • Guardiani della Galassia Vol. 3 di James Gunn
  • Oppenheimer di Christopher Nolan

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Suzume

Una scena di Suzume

L’Attacco dei giganti non ha avuto bisogno del tempo, di sguardi retrospettivi, per diventare un classico. Lo è stato da subito, con la sua capacità rara di conquistare qualsiasi pubblico, di abbattere i confini e le barriere, come le abbatte il gigante colossale del primo episodio. È stato sintonizzato da subito con lo spirito del tempo: fantasy politico come Il trono di spade, zombesco come The Walking Dead, L’attacco dei giganti ha raccontato l’ascesa delle destre, il coronavirus, e con una puntualità quasi inopportuna la guerra israelo-palestinese.

Anche nel suo essere fondamentalmente anti-bellicista, l’epica moderna continua a porre domande sui valori di un conflitto, sul senso del vivere e del morire, per provare ad afferrare la risposta alla piccola domanda: “Che ci facciamo qui?”. L’ultimo lungo episodio de L’attacco dei giganti (è un film: non stiamo barando, stiamo risemantizzando la parola film) dà le risposte, e com’è giusto che sia, a quelle risposte sono altre domande. Il finale della storia è una nuova storia.

È stato un anno stupendo per il comitato PASF (Prendete l’Animazione sul Serio, Farabutti). Il grande testamento di Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l’airone, sarà nei best of del 2024 (per la distribuzione italiana), ma con Suzume Makoto Shinkai si è candidato ad ereditarne i mondi fantastici, la battaglia ecologista e l’opulenza visiva. Spider-Man: Across The Spider-Verse poteva essere un brodo allungato: è stato un tripudio, evento canonico dell’animazione americana (menzione speciale: Marcel the Shell).

  • L’attacco dei giganti 
  • Suzume di Makoto Shinkai
  • Spider-Man: Across The Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

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Foglie al vento

Alma Pöysti e Jussi Vatanen in una scena del film Foglie al vento

A livello globale i film dell’anno sono Barbie e Oppenheimer. Un giorno scopriremo che hanno salvato il cinema – almeno il cinema in sala, come siamo stati abituati a pensarlo e a viverlo nel secolo scorso. Per lo stesso motivo, in Italia, il film dell’anno è C’è ancora domani.

Ma se devo indicare il mio film dell’anno, non c’è lotta: è Foglie al vento di Aki Kaurismaki, visto in concorso al festival di Cannes. È un film poetico e al tempo stesso duramente politico, un film sul lavoro e sulla disoccupazione raccontato come una fiaba: Ken Loach più Ozu più la spiritualità di Bresson più l’ironia di Monicelli più la cinefilia di Godard.

Però, a proposito di Cannes: hanno dato a Kaurismaki il Prix du Jury, che è il premiuccio più piccolo del palmarès, come se il Manchester City avesse vinto solo il Charity Shield invece di fare il Triplete. Sapete una cosa? Ci siamo stufati. Non invitatelo più, Kaurismaki, se poi dovete prenderlo in giro. Ormai si è capito che per vincere Leoni e Palme bisogna frequentare i salotti buoni ed essere anche un po’ paraculi. Aki vive in un altro mondo, lasciatelo in pace.

I migliori film per Alessandro De Simone

Una scena di As Bestas

Una scena di As Bestas

È stato un anno ricco di grande cinema, a dispetto dello sciopero degli attori che più che togliere ha dato la possibilità a film di solito destinati a fortune diverse di trovare il proprio spazio. Uno di questi è As Bestas, di Rodrigo Sorogoyen, regista spagnolo che è già una delle voci più potenti del cinema mondiale.

Un film feroce che va molto d’accordo con Killers of the Flower Moon, il film dell’anno, forse del decennio. C’è chi pensa che Scorsese abbia fatto meglio in altre occasioni, e probabilmente è vero. Ma il succo di questo suo ultimo film, ovvero quanto gli uomini possano essere abietti, meschini, incuranti della vita del prossimo per difendere il proprio territorio è diventato tragicamente d’attualità.

Per questo è bello che il terzo miglior film di questo 2023, arrivato nelle sale italiane, sia un’opera che invece è un inno alla vita e all’amore, Foglie al vento di Aki Kaurismaki, un’opera cinefila girata con l’usuale stile asciuttissimo e per questo pieno di vero cinema del regista finlandese.

  • Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese
  • As Bestas di Rodrigo Sorogoyen
  • Foglie al vento di Aki Kaurismaki

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Un'immagine di Pacifiction - Un mondo sommerso

Un’immagine di Pacifiction – Un mondo sommerso

Il film dell’anno, pochi dubbi, è Anatomia di una caduta di Justine Triet, affiancato da Pacifiction di Albert Serra e da Il cielo brucia di Christian Petzold. Scelta non facile. Mai come quest’anno abbondavano i titoli notevoli e “dimenticare” Scorsese, Wes Anderson, Hamaguchi, Kaurismäki, Park Chan-wook, Sorogoyen, o il bellissimo Close di Lukas Dhont, è quasi intollerabile.

Ma questi tre film hanno una qualità fondamentale in comune: il dubbio radicale che permea il racconto e le immagini stesse. Sono insomma tre racconti filosofici che rimettono in discussione il nostro rapporto con ciò che sappiamo o crediamo di sapere. Triet passa attraverso la struttura granitica del film processuale per scomporre fino all’ultimo atomo quelle entità sempre più evanescenti che ancora chiamiamo coppia, famiglia, identità di genere. Approdando a un’ambiguità così inquietante che la regista stessa si sente in dovere di attenuarne la portata fornendo indicazioni di lettura vistosamente riduttive rispetto alla complessità del film.

Serra fa invece un film sul Potere interrogando il segreto e la rappresentazione, che del Potere sono la quintessenza. Petzold usa le armi (apparentemente) leggere del film “estivo” per esplorare l’inesauribile ambiguità dei sentimenti e la nostra capacità di trasformarli in racconto. Tre film che si danno la mano, in qualche modo. Testimoniando l’orgogliosa vitalità di un cinema che non si lascia ingabbiare in generi e sottogeneri.

  • Anatomia di una caduta di Justine Triet
  • Pacifiction di Albert Serra
  • Il cielo brucia di Christian Petzold

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Una scena di The Old Oak, l'ultimo film di Ken Loach

Una scena di The Old Oak, l’ultimo film di Ken Loach

Io, noi e Gaber, The Old Oak e Tár sono i tre film capaci di restare più impressi in chi scrive. Il Signor G ha avuto la capacità di essere un intellettuale che però sapeva parlare alle persone comuni. Una cosa che oggi manca per colpa dei circoletti degli autoeletti e autoreferenziali di quell’intellighenzia sinistroide falsa e ipocrita. Gaber non faceva sconti a nessuno, destra e sinistra, libero come nessun altro. Da inserire nei programmi scolastici.

“Non importa da dove vieni ma ciò che porti con te“ è scritto sulla locandina di The Old Oak, l’ultimo film di Ken Loach. Il regista, vecchia volpe del cinema d’impegno, nel suo ventottesimo film, racconta sapientemente una comunità chiusa fatta di donne e uomini bianchi, perfettamente radicati nelle loro abitudini soporifere di un ambiente post-industriale, a cui manca ormai la speranza, la forza di lottare e la capacità di riconoscere i veri nemici, preferendo invece concentrarsi su di una comunità “diversa” accolta malvolentieri in città. Il film non racconta altro che lo scontro tra due poli dello stesso strato sociale debole, una lotta tra poveri disgraziati.

Il film di Todd Field, premiato a Venezia con la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, è tutto nella maestria di Cate Blanchett. Sulla storia di questo genio della musica classica che ha avuto potere e lo ha esercitato in maniera sessualmente predatoria, ognuno potrà farsi la propria idea, ma è certo che il film creerà dei dubbi invece di regalare certezze, morali o, come al solito, sentenze.

  • Io, noi e Gaber di Riccardo Milani
  • The Old Oak di Ken Loach
  • Tár di Todd Fields

I migliori film per Caterina Orsenigo

Nanni Moretti ne Il sol dell'avvenire

Nanni Moretti in una scena de Il sol dell’avvenire

Parlare di politica come fosse una favola: così alcuni film di quest’anno sono riusciti a sorprendere, a dire molto, andare a fondo e arrivare a tutti. Fra l’altro, tutti italiani. C’è ancora domani di Paola Cortellesi ha portato in sala 1 milione di spettatori, ha messo sul piatto il patriarcato uscendo dalla gabbia stretta del film di nicchia, ha parlato alla pancia e alla testa di tutti. La musica, la delicatezza e il tocco leggero l’hanno resto denso e universale. La Storia viene ricucita al presente, il patriarcato di oggi ricollegato a quel momento spartiacque di quasi ottant’anni fa (così pochi).

Si piange e si crede nelle elezioni del 1946 come oggi sarebbe impensabile fare. E poi c’è la scena finale, questa donna forte del suo voto e del suo coraggio, circondata da altre donne e dal loro canto, e il marito che si fa piccolo e sconfitto nel suo violento dispotismo che da quel giorno comincerà (lentamente) ad appartenere al passato. Quella scena rimanda al finale altrettanto favolesco de Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, con tutti i volti che abbiamo visto in 40 anni di film suoi e quindi anche di storia nostra: sembra di stare fra loro, facce del passato e del presente, insieme, come alle manifestazioni del 25 aprile, quando almeno per un giorno ci si crede di nuovo, si sorride e si guarda avanti come se si fosse ancora capaci di immaginarlo, un sol dell’avvenire.

Nostalgia e un po’ di futuro, ironia e autoironia. Nanni ha ricucito la storia della sinistra (intesa non come insieme di partiti ma come insieme di sentimenti) riportando a galla la memoria lontana e un po’ annebbiata dei fatti dell’Ungheria e ha dipinto il suo personaggio come il più pedante degli uomini boomer, tanto insopportabile da strappare un sorriso. Ma la favola più favola di tutte è La chimera di Alice Rorhwacher, con quel suo coraggio di non nascondere mai lo sporco, lo squallore e l’immondizia di cui è fatta la realtà. Una poesia lieve e concretissima, a raccontare epoche e classi che disertano lo scorrere univoco della storia.

  • C’è ancora domani di Paola Cortellesi
  • Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti
  • La chimera di Alice Rohrwacher

I migliori film per Livia Paccarié

Timothée Chalamet in Wonka di Paul King

Timothée Chalamet in Wonka di Paul King

A volte spiegare il motivo per cui un film finisce in una classifica è tautologico, un po’ come spiegare le battute, che poi non fanno più ridere. Anche perché questi tre film del 2023 non hanno bisogno di argomentazioni che facciano capire il perché sono qui, anzi sono perfettamente in grado di parlare da soli.

Si esprimono da soli non solo mentre vengono proiettati sul grande schermo ma soprattutto dopo. Quando il loro significato, come un’eco, sembra inseguirci. Appena fuori dalla sala mentre commentiamo con qualche amico o sconosciuto, mentre torniamo a casa su un autobus o su un tram, mentre mangiamo una pizza in compagnia dopo averli guardati. O se il film l’abbiamo visto a casa quei titoli di coda si diffondono nello spazio che ci separa dal resto delle attività che abbiamo da fare.

Così ecco il podio dei tre film che più di tutti nel 2023 si sono gonfiati tanto da volare in aria come una mongolfiera. C’è ancora domani di Paola Cortellesi, universale rubrica di quotidiana resistenza femminile, Spider-Man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson, il secondo capitolo della trilogia che ha spinto l’animazione oltre i confini di questo universo e Wonka di Paul King che invece oltre i confini ci ha spinto la fantasia e l’immaginazione dell’amato cioccolataio di Roal Dahl.

  • C’è ancora domani di Paola Cortellesi
  • Spider-Man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson
  • Wonka di Paul King

I migliori film per Manuela Santacatterina

Una scena di Decision To Leave di Park Chan-wook

Una scena di Decision To Leave di Park Chan-wook

Delia, Sandra e Seo-rae. Tre donne diversissime protagoniste, rispettivamente, di C’è ancora domani di Paola Cortellesi, Anatomia di una caduta di Justine Triet e Decision To Leave di Park Chan-wook. La prima, grembiule, soldi nel reggipetto e lividi nascosti sotto i vestiti pieni di rammendi, rappresenta la storia di ogni donna. Chiunque guardano il film di Cortellesi ci ha ritrovato dentro se stessa, sua madre, sua nonna, un’amica. Un lavoro potentissimo sulla memoria collettiva e intima, di ieri e di oggi, che merita tutto il successo ottenuto.

La seconda, scrittrice di successo, è colpevole agli occhi del mondo di aver sovvertito ogni schema sociale. Talentuosa, risolta, fredda e con un marito a casa che si occupa del figlio. La caduta del titolo è quella della loro relazione ma anche dell’uomo che non ha più punti di riferimento. La terza, machiavellica e manipolatrice, sembra modellata a immagine e somiglianza dei personaggi femminili di Hitchcock capaci di far perdere la testa alla controparte maschile.

La Roma in bianco e nero dei cortili di Testaccio s’intreccia con le spiagge coreane al tramonto e il bianco accecante della neve delle Alpi in un cinema che non le racconta vittime – no, neanche Delia lo è – ma donne che, a modo loro e con i mezzi a disposizione, lottano per imporre la propria voce. Anche a bocca chiusa, come insegna Delia in una delle sequenze cinematografiche più belle significative dell’anno. E per il prossimo segnatevi questi titoli: Past Lives di Celine Song e La zona d’interesse di Jonathan Glazer.

I migliori film per Boris Sollazzo

Bradley Cooper in una delle scene di Maestro

Bradley Cooper in una delle scene del film

Fare una classifica è il vezzo e la dannazione del critico cinematografico. Ridurre a tre titoli un anno, quasi una tortura. E allora proviamo a barare e annunciare le tre opere che sono state le migliori nelle “categorie” che ci interessano di più: il film italiano più bello, il cinema d’essai che ci ha emozionato di più, il blockbuster d’autore più riuscito.

E poi, sì, l’ordine sarà quello delle preferenze di chi scrive. E come si confa ad ogni annuncio, partiamo dal gradino più basso del podio. Maestro di Bradley Cooper, perché un certo cinema dalle grandi ambizioni, un biopic così moderno e al contempo classico, un’interpretazione così pulita, devota e rotonda non se ne vedevano da tempo.

Ne ha fatta di strada il ragazzo scapigliato, migliore amico di Sydney Bristow (Jennifer Garner) nella serie tv Alias e ora è sulla via del diventare un incrocio nobile tra Redford e Pollack, di essere l’ultimo grande autore capace di raffinati film d’intrattenimento secondo lo stile della Hollywood d’un tempo. E scusate se è poco.

Sul secondo gradino del podio l’immancabile Foglie al vento: Aki Kaurismaki prende le suggestioni che già abbiamo visto nei suoi inizi cupi e sperimentali, in Ombre nel Paradiso, Ariel e La fiammiferaia e chiude una quadrilogia delle solitudini e del sottoproletariato. Il Dickens punk che viene dalla Finlandia non otterrà mai i premi che merita – troppo outcast rispetto al radicalchicchismo manierista del cinema bobò – ma rimane uno dei più grandi della storia di questa arte.

E da Miracolo a Le Havre in poi ha anche raggiunto una capacità dolce e impietosa di commuoverci, di toccare le corde dei cuori anche più duri. Se volete sapere cosa sono la dignità e l’amore, la speranza disperata e l’infamia di un mondo che vuole silenziare anche ogni minimo refolo emotivo, guardate questa romcom ferocissima e lacerante. Un capolavoro di misura, di epica (in)dolente, la tragedia più divertente e la commedia più drammatica che potevate anche solo immaginare.

La medaglia d’oro va però a Palazzina Laf. Un esordio di un attore e artista straordinario, uno che pretende di cambiare il mondo con ogni centimetro di se stesso, fuori e dentro al set. Meglio se nella sua Taranto, organizzando l’Uno Maggio o girando e interpretando con talento immenso la storia del cialtrone traditore Caterino, il Giuda di cui un mondo del lavoro e dei lavoratori a cui hanno tolto non solo regole e orgoglio, ma soprattutto dignità, aveva bisogno.

Con la grazia che non lascia scampo di un Elio Petri, l’onestà intellettuale tragicomica di un Fantozzi dark nelle caratterizzazioni, alcuni sprazzi di chi non ha più tutta la vita davanti di Virzì, ma Elio Germano sì (che bello rivederli insieme dopo il bello e sottovalutassimo Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari). Abbiamo un autore, un grande autore, che con il suo esordio ci dice che la classe operaia non è andata in paradiso e neanche all’inferno. È andata a fanculo.

Vince, Riondino, di una lunghezza sulle Cento domeniche di Antonio Albanese, altra parabola di un povero diavolo schiacciato dal sistema. Potrebbero, Caterino e Antonio, essere amici e colleghi, anche della coppia di Foglie al vento, a pensarci bene. Gli Avengers degli sfruttati.

  • Palazzina Laf di Michele Riondino
  • Foglie al vento di Aki Kaurismaki
  • Maestro di Bradley Cooper

I migliori film per Valeria Verbaro

Leonardo DiCaprio e Lily Gladstone in una scena di Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese

Leonardo DiCaprio e Lily Gladstone in una scena di Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese – Courtesy of Apple

Ci sono voluti quattro anni, fra complessità dell’opera, riscritture della sceneggiatura e una pandemia in mezzo, ma Martin Scorsese si è preso tutto il tempo necessario per la sua grande lezione di cinema. Killers of the Flower Moon nelle sue tre ore e 26 minuti ha tutto: il thriller, il poliziesco, il legal drama, uno nuovo mito di fondazione, l’amore e la lealtà, il tradimento e la violenza. Suona come un addio e non chiede altro che essere ascoltato, fino all’ultima nota.

All’estremo opposto in un ideale spettro cinematografico, un altro dei film migliori dell’anno è A Thousand and One di A.V. Rockwell: donna, nera e al suo esordio alla regia. Storia di una madre e un figlio che si salvano a vicenda, scegliendosi giorno dopo giorno, in una casa che diventa un mondo intero, l’appartamento 1001. È il racconto di un luogo e di un tempo, Harlem negli anni Novanta e di dolorose crepe nella società statunitense, che non sa prendersi cura dei suoi bambini.

Una donna molto diversa, ma ugualmente forte, infine è Nan Goldin nel documentario a lei dedicato da Laura Poitras, Tutta la bellezza e il dolore. È una storia dal micro al macro, dal personale al politico: dal suicidio della sorella di Goldin fino alla crisi degli oppioidi in corso negli Stati Uniti, attraversando l’arte e la fotografia della protagonista, voce narrante degli anni più folli, straordinari e dolorosi della sua vita.

  • Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese
  • A Thousand and One di A.V. Rockwell
  • Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras

I migliori film per Damiano D’Agostino

Una scena di Tartarughe Ninja: Caos Mutante - Prossimamente alla Ccxp 2023

Una scena di Tartarughe Ninja: Caos Mutante

Il 2023 è stato un grande anno per il noir, o neo-noir (che dir si voglia). La giungla urbana, i neon, la criminalità, e quella linea sottilissima tra bene e male che rende i personaggi tutti grigi, deprecabili, profondi. E il contesto, la società attorno, diventa importante, racconta molto di più di quello che si pensa. Adagio, di Stefano Sollima, svolge proprio questo lavoro. 

Una storia di padri, di generazioni di criminali e di legge, che non viene più rispettata nemmeno da chi ha giurato di proteggerla. Di periferie e vite ai margini, di persone dimenticate. La Roma di Adagio è una città incancrenita e soffocante, tra incendi, black out e situazioni al limite, che lentamente si accavallano per esplodere, adagio. Mai titolo fu più azzeccato.

Adagio non è un termine che si può utilizzare per la frenetica fuga di John Wick, il cui quarto capitolo, seguendo il ritmo e le orme dei precedenti, continua a stupire per spettacolarità e azione. Un film che ad ogni iterazione riesce a superarsi, lasciando con il lecito dubbio: e ora cosa si inventeranno?

A modo loro sono noir anche le Tartarughe Ninja, che con Caos Mutante tornano sul grande schermo, e in grande stile. Il cemento e i grattacieli di New York sono nuovamente la cornice per una storia di outsider che sognano di vivere una vita “normale” (se esiste la normalità), per adolescenti che adorano gli umani, ma senza essere ricambiati. Un coming of age per tutte le età, capace di coinvolgere gli appassionati della prima ora e i piccoli che hanno visto le storie dei fratelli tartaruga su Nickelodeon.

E questo mondo non renderà cattive le tartarughe ninja, che qui sono adolescenti vivaci, differentemente dal fumetto originale, più crudo e cupo. Più noir. Ma a volte un po’ di colore non guasta. 

  • John Wick 4 di  Chad Stahelski
  • Adagio di Stefano Sollima
  • Tartarughe Ninja: Caos Mutante di Jeff Rowe