Non è facilissimo arrivare a La Sala, sorprendentemente identificabile proprio come una sala cinematografica qui al Locarno Film Festival (in Ticino sono molto fantasiosi con i nomi che danno ai luoghi di proiezione: pensate che un cinema che si chiamava Rex, diversi anni fa ha cambiato nome: in Ex Rex). Devi andare ai confini della cittadina, quasi sulla strada che porta verso Losone e Brissago.
Ma c’è una regola che conosce chi viene qui spesso, che alla Sala e L’Altra sala (non scherziamo, la struttura di fronte, identica, si chiama proprio così) spesso e volentieri si scovano gioielli indipendenti e irresistibili. Probabilmente perché uscendo dal centro ci si sente più coraggiosi o perché, arrivati fin qua, c’è più voglia di rischiare. Basta ricordare che è qui che scovammo Basette di Gabriele Mainetti, capendo subito che razza di talento fosse.
È pure il caso di Mimì – Il principe delle tenebre di Brando De Sica, che ha avuto una gestazione lunghissima (sette anni, da quando è stato scritto e proposto alla commissione cinema dell’allora MiBac), che ha visto nel frattempo esordire il bravo cineasta con Sono solo fantasmi – sempre un horror, ma d’atmosfera e virato alla commedia, ambientato a Napoli – e tornare ora su questo progetto pieno di rischi ma anche di opportunità.
Parliamoci chiaro: fosse prodotto dalla Blumhouse e se invece che Brando De Sica l’autore avesse un nome esotico, ora parleremmo del caso del festival, di un’opera vivace e provocatoria, di un lungometraggio di genere che dentro l’horror con ironia e sfrontatezza, voglia di spiazzare lo spettatore, tira fuori una Napoli sotterranea e marginale ed emarginata per una storia d’amore cinefila, un romanzo di formazione d’appendice, uno splatter ben fatto quando serve. E ci riesce alla grande. Tutto nello stesso film.
Brando De Sica si inventa il Gomhorror neomelodico
Così Brando De Sica, pescando da reference precise – alcune le cita nella divertita scena in videoteca, altre sono dalle parti di Hammer e derivati, ovvero tutto ciò che è horror coraggioso e volutamente scalcagnato – ci regala uno di quei lavori che non ti aspetti, capace di farti ridere, di farti sentire in una favola dolce, in una realtà a tinte forti e di cuori fragili (che belli il personaggio del papà e dell’amica, eccellenti Mimmo Borrelli e Abril Zamora nel saper giocare tra sottrazione ed eccesso con grande disinvoltura) e di fatto, alla fine, inventandosi un genere, il Gomhorror neomelodico, in cui il cattivo Bastianello è un Genny Savastano che non ce l’ha fatta e che rispettando perfettamente i tempi attuali, grotteschi e improbabili, ha anche ambizioni da cantante.
Mimì il principe delle tenebre
Cast: Domenico Cuomo, Sara Ciocca, Mimmo Borrelli, Giuseppe Brunetti, Abril Zamora
Regista: Brando De Sica
Sceneggiatori: Ugo Chiti, Brando De Sica, Irene Pollini Giolai
Durata: 103 minuti
Mimì – Il principe delle tenebre, la trama
La storia è quella di Carmilla e Mimì, di una ragazzina che ha trovato per il suo dolore il rifugio sicuro di una Napoli sotterranea e dark – quella che ha sempre un luogo per accogliere i suoi figli più sfortunati, persino quelli che vengono da Codogno – e di Mimì, che ha una malformazione al piede per cui viene bullizzato dal figlio di un boss, erede al trono a pochi passi dalla corona. Orfano, deriso per quella malformazione, ha dentro un vuoto che riescono a riempire, solo in parte, la struggente figura di Nando, pizzaiolo dal cuore d’oro (Mimmo Borrelli, attore e drammaturgo: uno di quegli artisti pieni di talento che sottovalutiamo troppo spesso) e una maga trans (Abril Zamora, un po’ fata turchina di un Pinocchio malinconico, un po’ sorella maggiore adottiva, perfetta).
Mimì cerca il suo posto nel mondo, è bello e sensibile e pronto a donarsi (Domenico Cuomo, si fa fatica immaginare che abbia solo 19 anni) e quando incontra Carmilla, che lo porta letteralmente in un altro mondo, per gioco e per necessità, prende tutto molto seriamente, trovando la fuga dall’orrore quotidiano che in fondo cercava. Ma a forza di fuggire, si rischia di finire altrove. E di non poter tornare indietro.
Brando De Sica non ha paura di tirare la favola nera fino alle sue ineluttabili conseguenze, si diverte a scrivere con Ugo Chiti e Irene Pollini Giollai tre film in uno e metterli insieme con una grammatica sopra le righe, volutamente parossistica nei momenti più divertenti (ma anche in quelli più commoventi), a prendersi rischi con la macchina da presa – si conferma davvero capace tecnicamente e con un talento visionario che non ha paura di essere aulico e nobilmente cialtrone, anche nel giro di poche inquadrature – e a offrirci un film che ad Halloween, se gli spettatori sapranno andare oltre ai pregiudizi contro il cinema italiano, potrebbe mettere paura al botteghino. E farsi amare da un pubblico anch’esso orfano. Di quegli horror con cui è cresciuto, e che ora sono stati sostituiti da opere tutte uguali, già pronte per diventare franchise (che poi, visto il finale, un Mimì 2 non lo escluderemmo a priori).
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