Ficarra e Picone, Santocielo che bel film: il (sacra) family movie che non t’aspetti

Il film di Natale della coppia di comici siciliani è una commedia divertente e profonda che usa di nuovo la religione come (pre)testo per riscrivere le storie che fondano la nostra identità riviste e (politicamente s)corrette. Dal 14 dicembre in sala, oltre a Salvo e Valentino ci sono le ottime Barbara Ronchi e Maria Chiara Giannetta

Santocielo, ci voleva. Quando si accendono le luci in sala (il Barberini, ha ragione De Sica, è un gioiello), un po’ commosso e un po’ divertito ti viene quasi naturale imprecare elegantemente e sottolineare come questa favola di Natale (e sui natali di chi arriverà a renderci migliori) di e con Ficarra e Picone, diretta da Francesco Amato, tocchi corde che altri snobisticamente trascurano ma che invece sono l’essenza di tante opere che ci hanno insegnato a provare sentimenti prima ancora di amare il cinema.

Ce ne sono diversi citati, dallo Psycho con Picone che in controluce, nella doccia, brandisce un test di gravidanza, all’autoannunciazione di Ficarra che giustifica la sua immacolata concezione come farebbe un altro che aveva un rapporto privilegiato con Dio, in The Blues Brothers.

Come poter poi non immaginare Aristide come un collega un po’ più cialtrone e goffo dell’angelo di seconda classe de La vita è meravigliosa, in fondo lì veniva salvato un aspirante suicida, qui qualcuno a cui è morto dentro un amore e di conseguenza anche l’impeto per gli altri.

E a naso in quel Paradiso che un po’ sembra l’Olimpo, il dibattito sugli esseri (dis)umani tra il supremo e i suoi angeli, una democrazia in cui uno vale uno, un po’ guarda a quello sui romani di Brian di Nazareth.

Santocielo

Commento breve L'immacolata concezione del Salvatore (Ficarra)
Data di uscita: 14/12/2023
Cast: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Barbara Ronchi, Maria Chiara Giannetta, Giovanni Storti, Carlo De Ruggieri, Raffaele Braia
Regista: Francesco Amato
Sceneggiatori: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Francesco Amato, Davide Lantieri, Fabrizio Testini
Durata: 120 minuti

Ma non è tanto il gioco delle citazioni – nel film si scorge molto del cinema che amano Ficarra e Picone e il regista Francesco Amato – quanto la capacità di questi due attori, sceneggiatori, produttori, registi e comici, perché è fondamentale ricordare quanto e come conoscano la macchina della fabbrica dei sogni, di andare oltre, di fare un family movie che può vedere chiunque, una commedia divertente, che però tocchi argomenti duri e puri (è proprio il caso di dirlo), che sappia essere politicamente scorretta senza che chi guarda se ne accorga.

Salvatore Ficarra e Valentino Picone in una scena di Santocielo

Salvatore Ficarra e Valentino Picone in una scena di Santocielo

Santocielo, la trama

Nicola Balistreri è un uomo che ha perso tutto. O almeno crede. La fede forse non l’ha mai avuta, la passione per il suo lavoro è diventata frustrazione da incanalare verso il più ribelle dei suoi studenti, la moglie lo ha lasciato e lui non se ne fa ragione. Lui, professore di matematica, ha scoperto che l’equazione della sua vita è tutta sbagliata. Sarà un’incognita a salvarlo, la più imprevista, la più affascinante.

Aristide è un angelo destinato all’ufficio corrispondenza del Paradiso, un archivista dei nostri desideri, anche quelli più meschini. Sogna di ascendere al settimo cielo e cantare nel coro celestiale sopra l’Altissimo.

Per questo, mentre tutti i suoi colleghi sono terrorizzati dall’essere gli eredi dell’Arcangelo Gabriele nell’annunciare alla nuova Madonna il Messia in arrivo, per poi fecondarla con la sola imposizione della mano, lui invece si offre volontario per la missione. Spera che questo compito apparentemente facile possa dargli una spinta per i piani alti.

Il destino, più che Dio, ci metterà lo zampino e a venir fecondato sarà Nicola, in un mondo che non è più capace di immaginare un’immacolata concezione, figuriamoci al maschile.

La recensione del film diretto da Francesco Amato di e con Valentino Picone

C’è qualcosa di squisitamente fuori tempo in Santocielo, che potrebbe tranquillamente collocarlo negli anni ’50, ma anche negli anni ’80, un po’ Frank Capra un po’ Chris Columbus. C’è quella soave innocenza di chi è onesto nel raccontare e profondo nei sentimenti, di chi non impone un linguaggio cinematografico complesso a una favola, sapendo che è il groviglio emotivo e di riflessioni che scaturiscono al suo interno, ciò che conta.

Amato, il regista, e Ficarra e Picone, protagonisti e cosceneggiatori (insieme a Davide Lantieri e Fabrizio Testini), infondono a questa storia semplice e irresistibile, il loro tocco. Non quello di Aristide, che ci conferma quanto gli errori siano intenzioni mascherate, ma quello di un regista che sa raccontare l’amore (e quindi anche la sua assenza) con leggerezza e profondità e una coppia d’artisti che della visione garbatamente impietosa del mondo che hanno intorno hanno da sempre fatto la loro ragione sociale, nel senso più nobile e politico del termine.

I due comici siciliani hanno sempre voluto raccontare poveri diavoli che in maniera obliqua scartano dal conformismo per trovare un modo altro e alternativo di vivere e, quindi, di cambiare il mondo. Da un po’ hanno incontrato la religione come cosceneggiatrice – da Il Primo Natale al Padre Santissimo delle due stagioni della serie di Incastrati, fino ai vari religiosi di cui è disseminata la loro cinematografia, “io da prete ad angelo – rivela Picone – ho fatto tutta la trafila, d’altronde sono un ex chierichetto” – e ne hanno ricavato un’intuizione semplice e geniale.

Quale? Quella che rivelano anche in conferenza stampa, “perché – ribadisce Valentino – la religione sa essere moderna, progredita e rivoluzionaria, pensate alla Natività vera, a renderla arretrata e antipatica siamo noi uomini”. La grazia con cui loro ripercorrono la storia più conosciuta del pianeta, l’avvento di un nuovo Messia che ha una madrina che ha concepito il proprio figlio nel peccato, un uomo come immacolato concepito e un angelo come compagno di strada e una suora che esce fuori dai suoi schemi, tutti, per aiutarli e imparare ad amare e custodire il più grande dei segreti, è di una dolcezza divertita e profonda che intrattiene e commuove.

Giovanni Storti è Dio. Ma lo abbiamo sempre saputo.

Giovanni Storti è Dio. Ma lo abbiamo sempre saputo.

Cos’è davvero Santocielo?

Si torna bambini con Santocielo, ma non immaturi. Più che altro puri: il pregiudizio che il film combatte, da quello dell’angelo caduto che disprezza gli uomini (lui tra il nuovo Gesù e un nuovo diluvio universale ha votato il secondo) a quello del prof disincantato e deluso dalla vita, da una giovane ragazza che deve trovare la sua identità (Maria Chiara Giannetta, che come in Blanca non ha bisogno di vedere per capire e per credere, ma che brava che è), al di là della veste che indossa, alla psicanalista che non ne azzecca una e solo quando si dimentica di sé si capisce tutta e capisce tutto (Barbara Ronchi, una delle nostre migliori attrici in ogni registro, dai drammi bellocchiani alla tenera commedia sentimentale di Amato, da Imma Tataranni a questo film di Natale).

Si torna bambini perché si crede a una favola, si sospende la credulità, perché attorno a quell’evento assurdo e inspiegabile tutto è realistico. Tranne il parrucchino biondo di Valentino Picone alla Nino D’Angelo. A quello non credi mai, grida vendetta.

Si rompe ogni schema, con dolcezza, con gentilezza, in un’opera che può essere mostrata anche a un bambino, ma davvero.

Quelli clericali come quelli secolari, si mostra una Chiesa bigotta e retrograda come una società predatoria e feroce che del dramma e della gioia di un ragazzo padre così particolare vede solo l’0ccasione per fare denaro ed emarginare il diverso. C’è la botta finale al patriarcato – consegnando il parto, il più importante della nostra storia, a un maschio che deve rivedersi e ritrovarsi in un altro da sé per accogliere il miracolo -, ma avviene con una provocazione profonda, che ogni commando antispoiler ci vieta di rivelarvi, giustamente, ma che è tra i finali più rivoluzionari che si possano immaginare.

E in fondo ovvio, perché solo le nostre barriere potevano non credere alla possibilità che un nuovo Messia non si incarnasse, per la seconda volta, in chi non è dalla parte giusta del potere. Come chi scoprirete alla fine di Santocielo, come un figlio di migranti perseguitati 2023 anni fa.

Barbara Ronchi è Giovanna, l'ex moglie del nuovo "madonno"

Barbara Ronchi è Giovanna, l’ex moglie del nuovo “madonno”

Non è un “film dogmatico” dice Salvatore, “ma spirituale. Il senso profondo del film sta in Suor Luisa che dice che pregare non lo si fa per essere ascoltati da dio, ma per sentirci meno soli”. E in fondo l’unica comunità che accoglie il divino freak è quella di un borgo dimenticato e che è dimentico di cosa sia la gioia di una nascita. Santocielo è questo, un racconto sacro e profano che ha al suo interno parabole dirompenti nella loro elementare bellezza, nel loro credere in qualcosa di più bello, di migliore.

Nella fiducia che ha, come Capra, nella vita e nel futuro, senza fare alcuno sconto (come Capra, appunto) a un mondo infame. Nella capacità di mettere in ogni gesto, momento, un significato. Come non notare, per esempio, che il concepimento divino avviene a causa e per merito di un gesto altruistico, il più grande dei sacrifici, mettere a disposizione la propria vita per la salvezza altrui?

Come sempre, poi, c’è la firma di Ficarra e Picone e di Amato. La vedi anche e soprattutto in come sanno disegnare la femminilità senza stereotiparla, pur partendo da personaggi archetipici (la suora, la psicanalista e moglie insofferente).

Sono aiutati, va detto, dall’enorme talento di due interpreti che colorano e costruiscono i loro personaggi nei limiti di poche pose ma nelle infinite opportunità di essere il motore della storia, anzi delle storie, di esserne depositarie e volani. Tutto, con una misura invidiabile, che viene rotta solo, ovviamente, da Giovanni Storti, dio cialtrone e vanaglorioso, uomo debole al comando di una democrazia angelica.

Dove può (e deve) arrivare questo film

E a chi vede con un po’ di giustificata paura il post Cortellesi possiamo dire che forse abbiamo trovato chi può raccoglierne l’eredità. E non solo perché ormai poesia e lotta politica vengono affidate a ai comici – “e certo – afferma Ficarra – i politici sono così ridicoli che tocca a noi fare le persone serie” – ma perché Santocielo, con lo stile del suo regista e dei suoi protagonisti, si inserisce in quel modo popolare e raffinato di raccontarci il mondo, senza fargli sconti, ma non dimenticandosi i sentimenti, il gusto della bellezza anche laddove è più difficile scorgerla, il coraggio di rischiare – “è una storia così folle – ha confessato il dio Storti – che non potevo non accettare” – e la voglia di coinvolgere il pubblico, non di seminarlo per vanità. Di sfidarlo e costruire con lui un percorso comune.

Dopo Barbienheimer, insomma, non sarebbe male se ci fosse un “C’è ancora Santocielo”. Sarebbe un Natale migliore quello passato a vedere, insieme, queste due opere dolci e potenti. Immaginando già un sequel per entrambi. Delia alle prese con il boom economico, in un mondo di Mad Men, il nuovo Messia, sempre che arrivi davvero, che affronta il nostro presente, alla Jaco Van Dormael.