Bridgerton funziona non perché è originale, romantica o erotica. Bridgerton funziona perché è Bridgerton

La serie dell'universo di Shondaland sa ancora come parlare al suo pubblico, con quell'aria goffamente afrodisiaca e animatamente sospirante che piace tanto. E va bene così. Lo show torna dal 16 maggio su Netflix con la sua prima parte

Bridgerton è arrivato alla sua terza stagione e, a tutti gli effetti, ha capito perfettamente il suo compito. Era stato già così nel 2020, quando uscì la prima.

Complice la reclusione da pandemia, il racconto basato sulla serie di romanzi della scrittrice Julia Quinn rappresentava esattamente la commistione scelta di generi agli antipodi, ma super pop nella loro mescolanza: l’aria romantica da period movie (in forma seriale) dall’immaginario ottocentesco – Jane Austen docet – e l’inconfondibile fonte di intrattenimento popolare e generalista della penna di Shonda Rhimes – anche se, di scritto, non ci sarà nulla da parte dalla creatrice di Grey’s Anatomy.

Con Bridgerton si è tornato a parlare di sesso, soprattutto femminile, di una scoperta dei piaceri che è pur vero che negli anni della reggenza era riservata a una sfera puramente matrimoniale – purtroppo solo per le donne, come spesso mostra anche la serie, pur provando a svincolarsi da certe convenzioni – ma che potevano stuzzicare la fantasia di un largo pubblico.

Nulla di mistico o trascendentale, di trasgressivo o invasato – c’è molto più erotismo nelle scene di sesso invisibili eppur presenti in Challengers di Luca Guadagnino che in tutta Bridgerton – epperò vi rimane uno spiccato interesse per la dimensione del desiderio, che esplode soprattutto con la seconda stagione.

Il romanticismo semplice, ma efficace di Bridgerton

Un ritorno, nel 2022, con la storia centrale del visconte Anthony Bridgerton e la sua futura consorte Kate Sharma, più improntato sulla narrazione classica degli enemies to lovers, ma che aveva ormai incasellato a dovere il proprio compito: dare l’idea di essere uno show in cui il fattore erotico era centrale.

Cosa che, in fondo, può essere considerata vera, ma sempre nella misura di un prodotto – perché di questo si tratta, di un prodotto – destinato a una piattaforma come Netflix e che non ha bisogno di operazioni per scioccare (e, se ne ha, vira più sullo stile Baby Reindeer), ma di progetti che funzionano. E Bridgerton – frivola, leggera, innocuamente sexy e goffamente afrodisiaca – funziona.

Nicola Coughlan come Penelope Featherington e Luke Newton come Colin Bridgerton in Bridgerton

Nicola Coughlan come Penelope Featherington e Luke Newton come Colin Bridgerton in Bridgerton

Funziona per chi non ha familiarità con l’erotismo di un cinema più autoriale – se pensiamo anche che, la terza stagione della serie, arriva mentre in contemporanea nelle sale italiane c’è Il gusto delle cose, opera intrisa di sensualità e sapori, che si consuma tutta tra i fornelli di una cucina.

Funziona per chi non è interessato alla parte più neurologica o scientifica di come può attivarsi la passione. E per chi non è detto che debba per forza essere a conoscenza di ogni termine con cui definiamo le varie pratiche sessuali – che sia l’atto in sé o ciò che gli gira intorno – lasciando stare i tanti, educativi e didattici podcast al riguardo.

La riconferma è quindi una terza stagione che, un passo indietro rispetto alla seconda, ma in parallelo alla prima, si è perfettamente lasciata infondere delle aspettative e del riflesso di cosa vuole, cosa aspetta e cosa è giusto che venga restituito al pubblico, compresi i sospiri, l’ansimare e le esagerazioni del caso – anche se probabilmente, il sesso sesso, arriverà più nella seconda parte, dal 13 giugno su Netflix.

Lezioni di seduzione

Birdgerton 3 è il salto nell’alta società dell’epoca della reggenza, con protagonista la Penelope di Nicola Coughlan che accentua ancora di più il suo sentirsi inadeguata agli occhi dell’alta società di Mayfair e il credere di non poter attrarre su di sé l’attenzione degli uomini, mentre cerca marito per andarsene da una casa opprimente e logorante. È Colin Bridgerton di Luke Newton, tornato tutto baldanzoso dal suo viaggio in giro per l’Europa, con i suoi vestiti francesi e gli accessori italiani, nonché un ciuffo alla Gaston de La bella e la bestia – pur con un animo più puro, come quando il principe della favola si ritrasforma in umano.

Sono le lezioni di seduzione che il giovane impartirà all’amica, innamorata di lui da sempre, e la pantomima – perché è giusto che così sia – che mettono in scena quando devono avvicinarsi, sfiorarsi, baciarsi. Sono loro che si metteranno insieme, perché sappiamo fin dall’inizio come andrà a finire.

Che trionfo del qualunquismo romantico è Bridgerton, e che piacere lasciarsi abbandonare all’opportunità di vedere esattamente uno show per quello che è: un guilty pleasure divertente, un gioco licenzioso dove di impudico, in verità, non c’è niente e che alleggerisce contribuendo, in alcuni casi, a far interrogare magari qualche spettatore e spettatrice sull’importanza di una sana, gioiosa, soddisfacente vita sessuale.

Quindi sì, Bridgerton 3 conferma le aspettative anche quando è ancora più artificiosa. Ma perché non deve fare altro. Deve essere solo Bridgerton.