Sitar, fischi, mostri e pallottole: tutta la spericolata musica del cinema anni Settanta (Morricone incluso)

In libreria dal 20 agosto, Dissonanze per un delitto di Marco Ferretti ripercorre il lavoro del musicista premio Oscar e dei suoi colleghi nelle colonne sonore di horror, gialli, noir e thriller. "Era cinema che si ascoltava. Oggi si è perso il coraggio di osare". Per THR Roma la playlist dell'autore, con una selezione dei migliori brani

Ennio Morricone, la sua musica e i suoi sodalizi, le sue melodie e i suoi film. Dopo l’opera omnia Ennio di Giuseppe Tornatore, presentato nel 2021 alla Mostra del cinema di Venezia, l’impressione era quella di sapere ormai tutto del compositore romano, scomparso nell’estate del 2020. E invece ecco arrivare, dal 20 agosto, un libro che aggiunge un altro tassello alla carriera del musicista da Oscar, Dissonanze per un delitto del giornalista Marco Ferretti (Shatter Edizioni). Dieci capitoli e quasi 450 pagine per fare luce sull’aspetto meno indagato del lavoro di Morricone: il suo lato “oscuro”, quello dell’horror e del giallo, del noir e del thriller.

Non solo le collaborazioni con i “nobili” Dario Argento (con lui ne L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio) e Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto): il volume scava nel repertorio poliziottesco del musicista, nel dramma erotico e nel rape and revenge, raccontando un Morricone di ricerca e avanguardia, dissonante e vagamente sovversivo, nel contesto creativamente effervescente dei compositori “di genere” che animavano la scena undeground del cinema “altro”. Un volume ricco di informazioni, schede e suggestioni, completo di codici QR per la consultazione multimediale, cui Ferretti aggiunge una speciale playlist – alla fine dell’intervista – creata appositamente per i lettori di THR Roma.

Dissonanze per un delitto, il libro

Dissonanze per un delitto, il libro di Marco Ferretti

Qual è il più grande malinteso su Morricone?

Che sia stato “quello degli scacciapensieri, delle trombe e delle chitarre”, quel Morricone diventato pop, con le musiche finite nelle pubblicità. Eppure ci sono tante piccole perle nascoste nel mare magnum delle sue produzioni, molte delle quali rimaste a lungo senza distribuzione, inedite in qualsiasi formato. La sua ricchezza è stata quella di essere trasversale, di saper padroneggiare qualsiasi linguaggio, registri “alti” e “bassi”. Un peccato confinarlo nel limbo del western, nelle collaborazioni pur cruciali con Tornatore e Sergio Leone. E dire che tutto iniziò con Dario Argento.

Un esempio di queste “perle”?

Milano odia: la polizia non può sparare (di Umberto Lenzi, 1974, ndr) è una partitura pazzesca, fuori dal comune, con una suite da 15 minuti. C’è il pathos, la sensazione di caccia all’uomo, le dissonanze, la musica d’atmosfera, il jazz. Altra perla, L’ultimo uomo di Sara (di Maria Virginia Onorato, 1972, ndr): una colonna sonora dissonante, con un brano da slapstick – che infatti si chiama Stanlio & Ollio -, un altro di musica solenne da chiesa, e tutta una serie di esperimenti, sibili e pulsioni tipici del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza (il collettivo formato a Roma nel 1964 con Franco Evangelisti, ndr). Se poi vogliamo trovare la partitura “spartiacque”, direi Un tranquillo posto di campagna (di Elio Petri, 1968, ndr), con cui Morricone mostra di aver fatto sua la lezione di John Cage.

Morricone fu il prodotto o il capostipite di quell’epoca?

Morricone è il contenitore di tutti gli stimoli di quel periodo. Un mondo di film sommersi e nascosti, che oggi grazie ai servizi streaming, fortunatamente, sono tornati a portata di mano. Pellicole minori che conservano ancora oggi freschezza e inventiva, opere artigianali spesso con colonne sonore pazzesche, sempre in linea con i tempi: brani disco music, rock, pop cantato, blaxploitation. Oltre a Morricone, Armando Trovajoli, Piero Piccioni, Nino Rota, Carlo Rustichelli e Carlo Savina, i “big six” della composizione del cinema di genere, ci sono tanti altri nomi: Guido e Maurizio De Angelis, Fabrizio Frizzi, i Goblin, Alessandro Alessandroni, celebre per il suo fischio e abilissimo con il sitar, e Piero Umiliani, le cui colonne sonore lounge e jazz animarono tutto il filone “esotico”. Infine due donne: Nora Orlandi, compositrice delle musiche de Il dolce corpo di Deborah (di Romolo Guerrieri, 1968) e naturalmente Edda Dell’Orso, la cui voce cristallina e unica caratterizzò un’epoca.

Cosa rimane, oggi, di quella magia?

Oggi mancano il coraggio e la voglia di osare. Viviamo un’epoca in cui il sonoro per il cinema è stato soppiantato dagli effetti speciali e dai rumori di fondo. Se guardiamo un film di supereroi, ascoltiamo le esplosioni, gli impatti, le bombe. Un’esperienza immersiva, in cui la musica – spesso realizzata al computer – è solo un commento di fondo. Se si “appoggiasse” il commento sonoro di Batman Begins a Transformers, o quello di Interstellar a Sopravvissuto – The Martian, non si sentirebbe alcuna differenza. Il commento non stona: è praticamente lo stesso. Ciò che rendeva speciale la musica nei film italiani di genere degli anni Settanta era la creatività, la voglia di andare oltre gli schemi, di osare e sedurre lo spettatore, che è anche ascoltatore. Quando vedevi la Trilogia del dollaro (i primi film di Sergio Leone con Clint Eastwood, ndr) impazzivi, perché c’era il Morricone rock, lo straniamento. E lo stesso si può dire della colonna sonora jazz di Colpo rovente (di Piero Zuffi, 1969, ndr), del funky di In viaggio con papà (di Alberto Sordi, 1982, ndr) o di quella lunghissima suite che anticipa la techno ne Il caso Mattei (di Francesco Rosi, 1972, ndr). 

Cosa ha portato il cinema italiano a smettere di sperimentare?

Le cose sono cambiate dalla metà degli anni Ottanta. Oggi per avere un prodotto di successo è più facile contrattare con un editore i diritti di un brano in suo possesso, che inventarne uno. Fatica zero: il compositore fa musiche di raccordo, il resto sono hit degli Oasis, di Lenny Kravitz, degli U2 e così via. Il tutto a discapito di un’arte che un tempo era da bottegai, da artigiani. Oggi basta un click: esistono già intere colonne sonore assemblate dalle IA e un numero inimmaginabile di basi e mashup fatti dalle macchine.

In Italia c’è chi sperimenta ancora?

Non è finito tutto, ma certamente serve una spinta. Mi viene in mente la musica di Blanca, la serie tv di Rai1, dei Calibro 35, il lavoro fatto da Pivio e Aldo De Scalzi per le musiche di Diabolik, e lo sforzo di recupero del sound poliziottesco nella serie L’ispettore Coliandro. Cito volentieri anche l’autore delle bellissime musiche di Esterno Notte di Marco Bellocchio, Fabio Massimo Capogrosso, e Marco Werba, che lavora tanto, ma dietro le quinte.

La playlist: dissonanze per un delitto