Quanto sono sgradevoli i personaggi di Challengers. Sgradevoli tanto quanto sono belli. Eppure li amiamo. Li amiamo tutti. È così che funziona con i più arroganti, strafottenti e egoisti dei protagonisti. Tendiamo a volergli bene. Il fatto che due su tre siano poi dei divi di nuova generazione – l’ultraterrena Zendaya e il vintage Josh O’Connor – sicuramente aiuta, non trascurando un Mike Faist che cerca il proprio cono di luce, così come fa il suo personaggio Art nel film di Luca Guadagnino.
L’opera, nella tradizione dei “threesome” cinematografici, mette davanti i bisogni e gli istinti dei protagonisti, facendo dell’eros il carburante per dare spazio ai loro desideri. Ma il trucco di Challengers, che ha comunque in sé l’erotismo di The Dreamers, i giochi di potere di Jules e Jim e la sensualità di Y tu mamá también (con la scena nella camera d’albergo che deve molto alla pellicola di Alfonso Cuarón), è il suo consumarsi più sul campo da tennis che nei propri letti. Di sesso, infatti, ce n’è, ma non se ne vede mai.
E, alla fine, è ciò che interessa relativamente del triangolo scritto da Justin Kuritzkes. Meno sensibile di quello scritto da sua moglie, l’esordiente cinematografica Celine Song che ha conquistato il panorama internazionale con Past Lives. Ma, come il film della coniuge, ben più ficcante del resto del panorama di storie quando si cerca di non rimanere sulla superficialità della scontentezza dei rapporti. Non limitandosi a capire o spiegare cosa vogliono il cuore e il corpo, ma analizzando quali sono le azioni e motivazioni che attivano la mente, anche nelle relazioni.
È la passione, sì, ma per cosa? Perché ciò che bramano i personaggi non è sempre ciò che dicono o che, effettivamente, conquistano. Non è un fidanzamento, un matrimonio o un tradimento. Passione per cosa? In Challengers per quello sport che, seppur intervallato da dialoghi, baci, litigate in caffetteria o saune dove girare nudi, è l’unica cosa che conta.
“Parliamo sempre di tennis”, ammette Tashi/Zendaya, anche quando non si parla di tennis. Allora è di tennis che si parla anche quando Kuritzkes e Guadagnino devono mettere i rapporti sul campo. È l’unica bussola che sposta i personaggi. L’unico magnete che ne attira e modifica le preferenze, i bilanciamenti e anche gli umori. Gli amori, soprattutto.
Un unico credo: il tennis
Baricentro del rapporto a tre di Challengers è senza dubbio Tashi. Sebbene si rivelerà Patrick il collante del trio, è dalla ragazza, quando era ancora una promessa del tennis, che parte una danza in cui la sola cosa che importa non è da chi è più attratta, ma chi vincerà il torneo il giorno dopo il loro incontro. Chi stringerà il trofeo in mano avrà anche il suo numero di telefono. E, insieme, un primo appuntamento.
Nonostante il film continui a scavare a lungo in questa dinamica, ciò che muove Tashi – e continuerà a farlo per l’intera pellicola – è chiaro: non le importa, in fondo (o, comunque, non completamente) di uscire con uno dei due, né che sia Patrick o Art. Vuole solo uscire col vincitore. Con chi sembra davvero dotato per il tennis.
Non è un caso che il rapporto tra Tashi e Patrick, quest’ultimo poi ex fidanzato, mentre Art diventerà suo marito, inizia a incrinarsi proprio quando il giovane dimostrerà di non avere la stoffa del professionista, mettendo davanti tutta la propria insolenza, proclamando di non essere lui a perdere per colpa dei proprio sbagli, ma per le circostanze avverse che gli capitano attorno.
L’amore va bene, ma per una stella del tennis stare con un “perdente” è peggio di qualsiasi tradimento. Ciò da cui è attratta è la stoffa del campione, e con un campione dovrà starci ancora di più dopo che un infortunio le impedirà di continuare a giocare, per vivere di riflesso la carriera che le è stata tolta.
L’avvicinamento di Tashi e Art si immette su questo sentiero. Mentre lei non ha più la stessa potenza a causa del ginocchio malandato e il suo compagno di college comincia la sua scalata sui podi, la collisione che ne viene è inevitabile. Tanto che Art le chiederà di fargli da allenatrice. Ecco un altro strato del rapporto, basato sul sogno di riuscire nel tennis: impossibilitata di diventare lei una professionista, Tashi cercherà di vivere il proprio successo ormai svanito attraverso Art.
E, per un po’, ce la farà. Esattamente nel lasso di tempo che intercorre tra le vittorie del marito e il cominciare dell’uomo a dare i primi segni di défaillance. Per Tashi, però, non si tratta nemmeno per un secondo di voler stare con una persona solo e soltanto per il gusto della fama. È che per la donna il tennis è la sua più alta vocazione. È tutto ciò che ama, prima ancora delle persone.
Challengers, tra attrazione e amicizia
È in questo momento della sua vita che Patrick ritorna. Se dovessimo puntare solamente su uno dei due protagonisti maschili, a prescindere dal tennis (cosa che, comunque, è impossibile da fare con Challengers) è pur vero che forse una certa preferenza Tashi l’ha sempre avuta per il personaggio di O’Connor (Atlanta docet). Ma negli incastri della sceneggiatura, l’uomo torna proprio quando ha talmente poco da perdere che tutto ciò che può fare è vincere. O, almeno, provarci con tutte le forze.
Un po’ per rimettersi in carreggiata, senza soldi e con la scarsa opportunità di poter entrare tra i top player del tennis. Un po’ perché è gli sempre piaciuto essere al centro di un triangolo in cui agogna le attenzioni di Tashi tanto quanto quelle di Art. Perché se di amore di deve parlare si può farlo anche per il rapporto di amicizia tra i due uomini.
La tensione omo-erotica è vibrante in Challengers, ma non significa che sia soltanto carnale. Di certo si articola anche in un’amicizia da cui il personaggio di Zendaya non rimane escluso (pur dopo aver affermato di non voler essere una “sfascia-famiglie”). Ma è chiaro che, sul campo da tennis, esistono solo Patrick e Art. E lo è altrettanto che la vera competizione è sempre stata circoscritta al rettangolo di gioco.
Su chi era il più bravo, chi il più talentuoso, chi con i maggiori margini di miglioramento. E, nonostante la sfida di fondo, è sempre rimasta accesa la scintilla di entusiasmo di chi si diverte a fare ciò che ama. E, in particolar modo, che si diverte a farlo insieme. Da questa equazione Tisha non è esclusa, ma non può che essere marginale. Lo dice anche l’ultima scena.
I protagonisti maschili non solo comunicano con dei segni che soltanto loro conosco – e con cui si svelano un segreto che decreta il punteggio finale – ma ritrovano entrambi la grinta nel giocare l’uno con l’altro. Non come singoli, ma come amici. E anche come avversari da sempre, forse la forma più pura di amicizia. L’abbraccio che sprigiona quando Challengers va a chiudere è un viaggio indietro nel tempo in cui Art e Patrick sono tornati ragazzi.
Hanno ritrovato la scintilla e a venire travolta è anche Tisha dagli spalti, che a sua volta urla, un urlo che è stata tra le prime cose che abbiamo notato – e che Art ci ha fatto notare – di lei. E, tutto questo, è merito del tennis. Solo del tennis. Null’altro governa i protagonisti di Challengers se non uno sport che è un destino, è un percorso, è l’unico obiettivo da perseguire. E lo è nella vita, nella carriera, nell’amore.
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