Road House: poco scontro e tante caricature. Un fight movie da divano e popcorn

La pellicola si presenta come un remake del cult del 1989 con il compianto Patrick Swayze, ma di fatto se ne distacca totalmente. E porta a chiederci: è davvero necessario dare un sequel a tutto, adattare ogni prodotto ai tempi che cambiano, sfornare film ispirati al passato con l’ausilio della CGI?

Se ne parlava da quasi dieci anni, ma quella di Road House sembrava una realizzazione difficile da tutti i punti di vista. Primo tra tutti, quello della produzione, discussa da tanti e poi presa in carico da MGM e Amazon. In secondo luogo, la rivisitazione in chiave attuale del contenuto e dei protagonisti del film originale del 1989. Ma la soluzione alla questione è venuta alla luce poco dopo, e porta il nome di Jake Gyllenhaal.

La pellicola si presenta come un remake del cult con il compianto Patrick Swayze, ma di fatto se ne distacca totalmente. A prendere il testimone di questo tentativo, lo statunitense Doug Liman, regista, per dirne un paio, di Mr. e Mrs. Smith, ma anche di Edge of Tomorrow.

Non poche le polemiche, le trattative e le questioni spinose attorno a questo progetto. Dal dramma dell’uscita che, contrariamente al volere di Liman, che lo immaginava un film scenico, con una resa prevalentemente da sala, è stato previsto solo in streaming su Prime Video, ai licenziamenti interni per violenza verbale, fino alle controversie legate alla presenza nel cast del tanto discusso atleta di arti marziali Conor McGregor, già protagonista di scandali e episodi di violenza.

I cambiamenti di trama dal 1989

Pur proponendo di rinnovare un classico del passato, il film si trova ad avere vita propria solo ed esclusivamente grazie al suo predecessore, in una versione un po’ prosaica, che sembra bearsi un po’ troppo dei nuovi ausili della CGI e dei nuovi visual fx.

Un comfort movie da divano che tiene compagnia, senza particolari pretese

Commento breve È davvero necessario dare un sequel a tutto, adattare ogni prodotto ai tempi che cambiano, sfornare film ispirati al passato con l’ausilio della CGI?
Data di uscita: 21/03/2024
Cast: Jake Gyllenhaal, Conor McGregor
Regista: Doug Liman
Sceneggiatori: Anthony Bagarozzi, Charles Mondry
Durata: 114

Ne Il duro del Road House del 1989, per la regia di Rowdy Herrington, Patrick Swayze era James Dalton, il buttafuori di un frequentato locale del Missouri, noto teatro di risse, spaccio e criminalità. Venticinque anni esatti dopo, Jake Gyllenhaal non è più James ma Elwood Dalton. Dal Missouri si sposta in Florida, e porta via con sé ben poco dell’antesignano originale.

È un ormai ex pugile che vive una vita dissoluta, tra un’auto che gli fa da casa e round di pugilato clandestini, che gli consentono di vivere ancora un po’ di rendita grazie alla sua imbattibile fama da atleta. Ad un certo punto, per tentare di fare pace con sé stesso, e procacciarsi un presente più luminoso, accetta una proposta di lavoro come guardia di un locale, offertagli da Frankie (Jessica Williams). Elwood sfrutta quel suo retaggio combattente e combattivo per difendere la roadhouse da clienti malintenzionati e non raccomandabili. Solo in questo modo, si metterà di fronte alla prima possibilità di riscatto della sua vita. A fronteggiare una realtà alla quale aveva fin allora preso parte attivamente.

Ecco allora che si segna un prima e un dopo per Dalton. È ora un uomo pacato, misurato e attento a non ricadere in quegli sbagli del passato ormai divenuti incubi. In una sorta di rivisitazione moderna di un Robin Hood palestrato, Elwood inizia a usare le armi a sua disposizione – letteralmente, le sue braccia – per difendere chi non ha i suoi stessi mezzi. Ovviamente, interessi contrapposti e fomentati campioni di MMA (Conor McGregor dice qualcosa?) contribuiranno a svilire le sue buone intenzioni, dirigendolo comunque, e suo malgrado, in quella wild side di cui è sempre stato parte.

Gli elementi funzionanti di Road House

Elementi degni di nota sono il montaggio e le scene d’azione, che tengono alta l’attenzione per tutta la loro durata. Tuttavia, ce ne sono poche rispetto allo svolgimento della trama, il che fa risultare il film come un’opera ampia ma non ben strutturata. Il fulcro di tutto è lo scontro – attesissimo dai social – dei bravi McGregor vs Gyllenhaal, che però arriva nella seconda metà del film, risultando, ancora una volta, in minima percentuale rispetto ad una scrittura un po’ debole. McGregor è caricaturale, fuori di sé, ed è difficile capire quanto ci sia di suo e quanto del personaggio, sul genere una specie di Ivan Drago del nuovo millennio.

Conor McGregor in Road House

Conor McGregor in Road House

Indubbiamente nato come racconto umoristico, il nuovo Road House non si prende troppo sul serio. E per fortuna, verrebbe da aggiungere, perché è poco ciò che porta di nuovo rispetto all’originale. È un comfort movie da divano che tiene compagnia, senza particolari pretese, né per chi lo vede, né per chi ci ha lavorato, probabilmente.

La domanda ha origini ben più profonde: è davvero necessario dare un sequel a tutto, adattare ogni prodotto ai tempi che cambiano, sfornare film ispirati al passato con l’ausilio della CGI? La risposta, in fin dei conti, è sì. È utile, se non necessario, perché è ciò che piace ad una gran fetta di pubblico generalista, che giustifica le enormi spese di realizzazione di prodotti come questo. Unica, imprescindibile, condizione: basta non prendersi troppo sul serio. D’altronde, l’aveva detto Gyllenhaal per primo, questo film è una pazzia, tanto vale giocare tra amici.