Talk to Me, la recensione: gli spiriti sono una droga nell’horror della generazione Snapchat

L'esordio al lungometraggio dei gemelli youtubers Philippou è un film dell'orrore soprannaturale ma anche una riflessione sulla dipendenza (dalle droghe e dai social). Una metafora che parla di lutto, malattia mentale, senso di colpa e invidia

Una candela accesa, una mano di ceramica appartenuta a una medium da impugnare seduti ben saldi a una sedia e una frase – “Talk to me” – da scandire guardando fissi davanti a se. Un invito rivolto al mondo degli spiriti per lasciare che uno di loro si impossessi del ragazzo o della ragazza di turno. Novanta secondi, cronometro alla mano. Non uno di più. Altrimenti c’è il rischio di restare intrappolati “dall’altra parte” in balia di tormenti e sofferenze.

Mia (Sophie Wilde), adolescente segnata dalla morte per suicidio della madre, vive nell’ombra. Ha una migliore amica, Jade (Alexandra Jensen), a cui vuole bene ma della quale sotto la superficie fatta di affetto e complicità invidia la famiglia unita e il fidanzato. Quando prova in prima persona gli effetti dell’evocazione trova in quell’esperienza un modo per annientare – anche solo per novanta secondi – il dolore che l’affligge e si trascina dietro. Ma quando uno di loro si spinge troppo oltre aprendo irrimediabilmente le porte al mondo degli spiriti, Mia si ritrova al centro di una possessione che rischia di distruggere la sua vita e quella di chi le è accanto.

Talk to Me e il peso delle aspettative

Talk to Me, esordio dei gemelli australiani Danny e Michael Philippou, arriva nelle nostre sale con una certa responsabilità sulle spalle. Osannato oltreoceano da critica e pubblico, definito “l’horror più spaventoso dell’anno”, il film ha non poche aspettative da rispettare. E questo è il suo più grande problema. Perché se è vero che il debutto dei due youtubers conosciuti online come RackaRacka – con un canale da 6,6 milioni di iscritti e oltre 1,5 miliardi di visualizzazioni accumulate con i loro video – è un ottimo primo lungometraggio, è anche vero che tutta l’attesa che ha circondato il loro lavoro rischia di lasciare tiepido più di uno spettatore.

Una scena di Talk to me

Una scena di Talk to me

Distribuito da A24, la casa di produzione e distribuzione di New York che ha contribuito a rivoluzionare il cinema horror contemporaneo, Talk to Me è uno di quei film cresciuto con il passaparola – e pensare che inizialmente doveva andare diretto in piattaforma senza passare per la sala – e una riuscita campagna marketing.

Lo abbiamo visto recentemente con Barbie e Oppenheimer quanto saper affiancare un film da una strategia di comunicazione vincente abbia un ruolo decisivo nell’esito complessivo al botteghino. Ma può anche essere un boomerang.

Una forma di dipendenza

Talk to Me è un film pensato per la generazione Snapchat ed oltre ad essere un horror soprannaturale e psicologico è anche una riflessione sulla dipendenza. Le sedute spiritiche alle quali partecipano Mia e i suoi amici diventano un sostituto delle droghe sintetiche e del Fentanyl che sta mettendo in ginocchio gli Stati Uniti. Il loro modo di anestetizzarsi da un mondo che non li capisce e che non capiscono. Sempre con la fotocamera del telefono accesa. Perché ad ogni “dose” da novanta secondi corrisponde una piccola platea di spettatori con l’obiettivo puntato, pronti a condividere in rete le possessioni. Nulla esiste e nulla ha valore se non viene ripreso.

Un'immagine del film horror Talk To Me

Un’immagine del film horror Talk To Me

Man mano che la storia va avanti, i gemelli Philippou inseriscono altri piani narrativi parlando di lutto, malattia mentale, senso di colpa e invidia. La protagonista di Talk to Me deve fare i conti con l’assenza materna e tutto il bagaglio di emozioni irrisolte che il suo suicidio comporta ma anche con l’idea di non essere stata o aver fatto abbastanza per scongiurare quel gesto. Rappresentata dal colore giallo – associato all’invidia – presente in ogni inquadratura in scala decrescente dall’inizio alla fine del film, Mia finisce per far esplodere il suo dolore attraverso quelle sedute spiritiche che, nella sua mente, avrebbero dovuto porre fine ai suoi tormenti (proprio come la droga).

Talk to Me è una grande metafora che gioca con l’horror e rende omaggio al cinema di genere che l’ha preceduto. Anche nel passato più recente. Non è un caso che i due registi abbiamo avuto l’idea per il loro primo film mentre lavoravano sul set di un altro titolo targato A24: Babadook. Con un prequel già girato e un sequel in lavorazione, il destino di Talk to Me – se non gestito con attenzione – rischia di essere quello di molti altri film dal successo inaspettato. Essere cioè spremuti fino a che ogni goccia di originalità svanisca e rimanga solo il marketing.