“Sto conducendo una vita molto da nomade, disordinata. Sono un po’ incasinato, ma sono in attività. Quindi, direi, sto sostanzialmente bene”, risponde Renzo Rubino alla domanda “Come sta?” E, del resto, il cantautore tarantino ha davvero molto sul piatto in questo momento.
Dopo l’uscita del suo nuovo album Il silenzio fa boom, il 12 giugno uscirà su Sky Arte un documentario omonimo per raccontarne il making of. Nel frattempo, Rubino ha iniziato il tour per portare la sua musica (e la sua Sbanda) in giro per l’Italia, mentre si prepara alla sesta edizione di Porto Rubino, il festival musicale di cui è direttore artistico che si terrà in Puglia dal 15 al 21 luglio. Tra gli ospiti di quest’anno, Colapesce e Dimartino, Maria Antonietta e Colombre, Mace, Ditonellapiaga, Mannarino e Drusilla Foer.
Rubino, partiamo con il documentario che andrà in onda su Sky Arte, Il silenzio fa boom. Come sono nate l’idea e l’esigenza di realizzarlo?
Quando ho iniziato a scrivere le canzoni dell’album, più di un anno fa, sentivo e immaginavo che il processo di creazione potesse essere divertente, interessante. Questo perché coinvolgeva la banda del paese, musicisti disabituati sia a fare un disco che a essere in uno studio di registrazione. Secondo me, dal dietro le quinte di questo lavoro potevano emergere temi interessanti, quindi ho chiamato subito Faco [Fabrizio Convertini, il regista, ndr], con cui lavoro da tanto tempo. Gli ho proposto quest’avventura, e lui ha iniziato a girare tutto.
Quindi avete scoperto la struttura mano a mano, in divenire?
Non proprio. Il povero Fabrizio sapeva di dover riprendere il più possibile, ma non abbiamo avuto un’idea di quello che sarebbe venuto fuori fino a molto tempo dopo. La cosa interessante di questo documentario è che viene raccontato un processo. In primo luogo come viene pensato un disco per banda, in un momento in cui la musica italiana sta andando in tutt’altra direzione. E poi, il processo si vede anche in come mi trasformo nel tempo, dal momento che sono stato “parcheggiato” per un periodo, fermo perché assorbito da altre forme d’arte. In questa mia trasformazione sono davvero cambiato, sia nella mia musica che nel mio corpo. E Fabrizio è stato bravissimo a cogliere tutto questo cambiamento nell’arco totale di un anno, più o meno.
È cominciato da poco Il silenzio fa tour. Nel documentario racconta come il concerto del 1 maggio 2023 sia stato il suo primo live con tutta la banda, in cui si è reso conto di non poter portare ogni volta su un palco 30 bandisti. Come li ha selezionati? E soprattutto, com’è essere in tour con una banda?
L’anno scorso ho fatto diversi test prima di far uscire il disco. Prima ho provato a suonare con diverse bande di paese, poi ho provato a portare in giro la mia… Ma ho capito che il mondo dei bandisti non c’entra nulla con quello dei musicisti. Per capirci, un giorno mi ritrovavo a suonare con, che ne so, dodici clarinetti, e l’altro con due, però in compenso c’erano magari quattro tromboni che non avevo mai visto in vita mia. Era così, di volta in volta il capobanda organizzava la formazione [ride, ndr]. All’inizio è stato complicato, per loro basta lo spartito davanti per suonare; ma non è che funzioni proprio così, nei concerti. Col tempo mi sono accorto che tra i bandisti c’era un gruppo compatto che veniva sempre. Da loro sono ripartito per formare la Sbanda, che adesso è un mix bellissimo tra professionisti e bandisti. Sono molto contento e orgoglioso, perché spesso chi suona in una banda fa anche altri lavori. Alcuni, però, da quando sono nella Sbanda hanno ripreso a fare musica professionalmente.
In Il silenzio fa boom cita anche artisti che non sono musicisti: gli scrittori Mario Desiati e Donato Carrisi, il pittore Vincenzo Milazzo, il fotografo Giampaolo Sgura… che impatto hanno le arti diverse dalla sua sulla musica che fa?
Per me, le canzoni non nascono necessariamente dall’ascolto di altre canzoni, o da quello che mi accade attorno. Possono nascere grazie a un’opera d’arte, a un bel libro… sono stimolanti come può esserlo una storia d’amore, contengono tutte qualcosa. A me piace molto condividere con questi amici – perché sono tutti artisti che conosco – il lato emotivo dell’arte, ciò che ci accade in questo periodo, e così via. Attraverso loro, io credo di crescere e di introdurre anche elementi nuovi in ciò che faccio.
Lei ha lavorato a diversi progetti che, racconta, non sono mai andati in porto. Ce n’è uno a cui tiene particolarmente e che vorrebbe riprendere in mano?
Sì, c’è stato un periodo in cui ho prodotto tantissimo, ma poco ha visto la luce. Credo però che siano lavori che verranno tutti fuori, prima o poi. Per esempio, ho scritto un’opera classica; un lavoro enorme, bellissimo, di cui vado davvero fiero. L’ho ripreso tempo fa, ci siamo già attivati per portarla a termine dopo l’estate. È stato il progetto che più mi ha spezzato il cuore: il più importante su cui ho lavorato, ma si è bloccato a causa del Covid.
Sta per ricominciare anche il festival di Porto Rubino e, quest’anno, ogni tappa ha un titolo: Poeti, Pirati, Sirene e Rosa dei venti. In base a cosa li avete scelti prima, e associati ai musicisti che si esibiranno, poi?
Innanzitutto, io non voglio fare un festival musicale “e basta”, uno in cui si alternano semplicemente gli artisti su un palco. Questo si vede già dallo spirito di Porto Rubino, un luogo di per sé speciale: il palcoscenico è una barca, il pubblico è seduto in banchina, ci sono la luna, il mare, la Puglia… è molto romantico. Volevo fare un upgrade e crescere, come festival, dando dei temi alle serate. Quindi, nei “poeti” ci sono i cantautori, nei “pirati” gli artisti fuori dagli schemi, la serata delle sirene sarà dedicata alla femminilità, mentre nella “rosa dei venti” ci saranno giovani artisti contemporanei. Stiamo anche cercando di costruire un racconto visivo, un viaggio vero e proprio che vada oltre la musica.
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