The Crown 6: Khalid Abdalla ha creato la sua versione di Dodi Al-Fayed basandosi su un audio di 17 secondi

"Una delle cose di cui sono più orgoglioso è che finalmente, dopo 26 anni, questo uomo sarà un po' conosciuto e, si spera, un po' più amato", afferma l'attore protagonista dell'ultima stagione della serie Netflix

Prima che gli sceneggiatori di The Crown si tuffassero nella storia d’amore tra la principessa Diana e Dodi Fayed per la sesta stagione (la cui prima parte è attualmente in streaming su Netflix), i creatori hanno sviluppato una storia intorno alla vita del produttore cinematografico, figlio del miliardario Mohamed Al-Fayed. Per molti è stato il primo sguardo su chi fosse Al-Fayed al di fuori della sua relazione con Diana.

L’attore Khalid Abdalla ha iniziato il suo lavoro sul personaggio a partire dalla clip audio di una telefonata di Al-Fayed e dai pochi articoli esistenti su di lui. Per Abdalla, dare un volto, un suono e una personalità ad Al-Fayed – la cui morte è stata in gran parte offuscata dal lutto nazionale per Diana – significava più che rendere giustizia alla sua eredità personale. Si trattava di dimostrare che le vite degli uomini arabo-musulmani sono importanti.

Come si è preparato a ritrarre Dodi, visto che ci sono così poche informazioni su di lui rispetto ai filmati d’archivio che esistono sulla famiglia reale?

Fin dall’inizio, quando abbiamo iniziato la quinta stagione, una delle prime domande che mi sono posto è stata: “Che voce aveva?”. E grazie all’incredibile caccia del team di ricerca, hanno trovato l’audio della sua telefonata al Larry King Live mentre Burt Reynolds veniva intervistato per chiedergli di fare un’imitazione. Sono 17 secondi in cui parla.

Da lì, naturalmente, sono emerse le conversazioni con gli amici e alcuni articoli, se si scava a fondo su Google. Ma si inizia a svelare, in modo affascinante, chi era e le dinamiche fondamentali della sua vita, in particolare in relazione al padre e alla madre. E si decostruisce questa parola spesso associata all’uomo, playboy, che è un’enorme ingiustizia, credo, per lui, per chi era e per come si poneva nei confronti del mondo. Era una specie di anima gentile e timida che non era affatto uno Hugh Hefner. Era un’anima vulnerabile. Voleva abbracciare e voleva aiutare. E credo che probabilmente abbia avuto molte relazioni in cui era bravo a innamorarsi, ma non così bravo nelle cose difficili. E poi ti capita di avere un sacco di soldi, quindi la parola playboy inizia a starti stretta.

Ma con la ricerca ho cominciato a capire alcuni elementi di ciò che mi sembrava un riflesso della sua anima. E questo ha iniziato a influenzare tutto, compreso l’arco della sesta stagione. Ho sempre detto che il nostro lavoro non è rispondere alle domande, ma porle nel modo più intenso possibile. E in questo viaggio si scoprono anche cose che ci legano.

Cosa ne pensa della sua relazione con la principessa Diana?

Una delle cose che mi ha legato a Diana, per esempio, è stato il filmato delle telecamere a circuito chiuso sul retro del Ritz, in cui si vedono i due abbracciarsi in modo così tenero per sette minuti, tenendosi le mani dietro la schiena in un modo così delicato, con delle carezze molto morbide. C’era tenerezza, c’era un innamoramento di qualche tipo.

Una delle cose più importanti che ho fatto per la sesta stagione – e non so perché nessuno l’abbia mai fatto, per quanto ne so – è stata quella di raccogliere, insieme al team di ricerca, il maggior numero possibile di foto di Dodi e Diana e di metterle in ordine cronologico. Quando le metti in ordine cronologico, raccontano una storia. Ti viene da pensare:  “Ah, questo è il momento in cui le cose sono cambiate”. Si inizia anche a sentire l’assillo dei media e il contesto. Ma la vera chiave è trovare l’energia dell’anima. C’è una risonanza da cui si può partire per esplorare. E con la squadra, e ovviamente con Elizabeth (Debicki, ndr) che è semplicemente straordinaria, abbiamo esplorato questo aspetto. Eravamo negli stessi luoghi in cui si trovavano loro e le riprese, in un certo senso, per me sono state anche un atto di ricerca.

Mohamad Al-Fayed cercava sempre di farsi accettare dagli inglesi e questo è diventato il problema di Dodi. Cosa significa fare luce su chi era Dodi al di fuori di quello sguardo?

Dodi è una figura che, per 26 anni, nonostante sia stata sotto gli occhi di tutti – sugli scaffali dei supermercati, sulle riviste e quant’altro – la gente non conosce affatto. Perché questa domanda non è stata posta per 26 anni? È una cosa che fa male.

Una delle cose di cui sono più orgoglioso è che, finalmente, dopo 26 anni, sarà un po’ conosciuto e, si spera, un po’ amato. Finalmente, dopo 26 anni, potrà essere pianto. Quando mi chiedo, come uomo che condivide il suo retaggio, quanti film mi vengono in mente in cui i personaggi arabi sono stati un po’ conosciuti e un po’ amati? E se sono morti, sono stati pianti? Me ne viene in mente a malapena uno. E se si pensa al numero di persone che sono morte e sono state uccise nelle guerre nel corso della mia vita – oltre a quelle vissute da mio padre e dai miei nonni – si capisce qualcosa del nostro immaginario culturale e politico che è particolarmente forte in questo momento. Ed è una delle cose che mi rende incredibilmente orgoglioso di questo lavoro.

A mia volta, sento anche un debito di gratitudine nei confronti di Diana, perché c’è qualcosa nel suo sguardo. È chiaro che si è innamorata dell’anima delle persone, non del colore della loro pelle. E, in qualche modo, è la ragione per cui sono qui. È un’energia che solo alcune persone portano con sé e che alcune persone riescono a illuminare. E credo che questo sia uno dei motivi per cui la gente l’ha amata in tutto il mondo.

Traduzione di Pietro Cecioni