Alan Ritchson è finalmente nel suo momento d’oro a Hollywood ma parla come se non avesse niente da perdere. Non ha filtri e nell’intervista con THR USA si racconta nelle sue contraddizioni e nei suoi momenti più cupi. Dopo il successo delle due stagioni di Reacher su Prime Video ha appena firmato un contratto da tre film con la piattaforma di streaming e arriverà al cinema con un nuovo titolo di Guy Richie, The Ministry of Ungentlemanly Warfare.
Nato in Nord Dakota nel 1982 e cresciuto in Florida in una famiglia cattolica con il padre militare, Alan Ritchson ha avuto un’educazione rigida a cui, presto, si è ribellato andando via di casa molto giovane.
Scoperto per caso da un’agenzia di moda, racconta, due anni dopo aver iniziato il college ha lasciato gli studi e si è dedicato ai cataloghi di moda. “Ero troppo grosso per sfilare a Milano, accanto a quegli uomini che sembravano uccellini in confronto ai miei 110 chili”, afferma, lui che altissimo e muscolosissimo, dice di aver iniziato a rifugiarsi in palestra durante il liceo, per difendersi dai bulli.
Le aggressioni che “non si contano su due mani”
Sul suo lavoro come modello afferma: “Ci sono pochissimi aspetti positivi del lavoro in quell’industria. Amavo lavorare per i cataloghi di JCPenney in Texas. Arrivavo in aereo, facevo il servizio fotografico e tornavo a casa con 2500 dollari, una o due volte a settimana. Nessuno cercava di farti spogliare e lubrificare nel retro di una stanza d’albergo per poterti aggredire sessualmente o minacciare che se non l’avessi fatto non avresti avuto una campagna. Siamo onesti, quell’industria è come un traffico sessuale legalizzato, non è regolamentata, ed è un finto segreto, ampiamente noto, che se vieni assunto per un lavoro c’è il rischio che i fotografi oltrepassino il limite. Il numero di volte e di situazioni in cui mi sono trovato in ambienti orribili, dove l’abuso sessuale era l’obiettivo e la carota era lo stipendio che cercavi disperatamente per sopravvivere, non si contano su due mani. È successo molto spesso”.
A lui è capitato, afferma. L’agenzia l’aveva mandato a fare dei nudi per un fotografo e non è finita bene. Come racconta a THR, l’obiettivo degli scatti non era professionale e dopo essere arrivato a uno scontro fisico, ha lasciato l’agenzia, con l’intenzione di non tornare più nel mondo della moda. “Quelle foto non sono mai state pubblicate”, aggiunge.
Mario Testino e le molestie a Parigi
Da quel momento ha lasciato la moda per dedicarsi solo a cinema e televisione, ma l’incubo si è ripresentato nel 2014 a una sfilata parigina di Versace. Quella sera a cena, dopo lo show, era seduto accanto a lui il fotografo Mario Testino: “Non mi toglieva le mani di dosso. Cercava di toccarmi fra le gambe, nascosto dal tavolo. Mi sono agitato e l’ho scansato dicendogli chiaramente di lasciarmi in pace, ma lui sembrava divertito da questa cosa”. Racconta, anzi, che l’insistenza di Testino si è fatta più aggressiva.
“Stavo cercando di godermi la serata ma lui non mi lasciava da solo, così quella volta sono andato via molto presto. In hotel ho ricevuto la sua telefonata. Mi pregava di andare da lui, aveva mandato un’auto fuori ad aspettarmi. Diceva che gli piacevano gli uomini molto virili, che mi aveva cercato subito su Google e che lo avevo fatto impazzire”. “Non accettava il mio rifiuto”, prosegue Ritchson. “È arrivato a promettermi la copertina di Vogue se quella notte fossi andato a letto con lui. Ricordo di avergli risposto che non me ne fregava niente di Vogue né di qualsiasi altra cosa mi avrebbe proposto. Lo mandai a quel paese”.
Quattro anni dopo il New York Times ha pubblicato una dettagliata inchiesta sui crimini sessuali commessi da Testino e da Bruce Weber, altro noto fotografo. Quindici uomini che avevano lavorato con Weber e tredici assistenti e modelli di Testino avevano denunciato aggressioni sessuali. “Io ho avuto esperienze negative con entrambi”, afferma Ritchson ricordando l’inchiesta pubblicata nel 2018, poco dopo l’esplosione del movimento MeToo. “Mi sono chiesto al tempo se fosse il caso di aggiungere la mia testimonianza, perché quelle storie erano vere ed erano anche la mia”.
I rappresentanti di Testino e Weber hanno sempre negato le accuse del New York Times e THR ha provato a contattare i fotografi, senza ricevere risposta.
La salute mentale e la scoperta del bipolarismo
In seguito a una profonda crisi avvenuta durante la produzione del suo debutto alla regia, Dark Web: Cicada 3301, Ritchson rivela anche di aver combattuto a lungo per la sua salute mentale. “Mia moglie e i miei figli erano molto preoccupati. Restavo a letto per settimane nonostante avessi molti progetti in corso, come il mio debutto alla regia”. In quell’occasione, ricorda, è stato D.J. Viola a salvarlo. “Era il produttore del film, ma è anche un regista. Si mise accanto a me a montare il film in silenzio, giorno dopo giorno, facendomi vedere ogni tanto. A volte hai solo bisogno di qualcuno che avvicini la sedia al tuo letto e resti lì”, afferma.
Nonostante il progetto di Dark Web: Cicada 3301 si fosse in qualche modo salvato, le cose non andavano meglio per Ritchson dal punto di vista psicologico. L’attore racconta che poco dopo, era il 2019, era arrivato al limite. Andò nell’attico di casa sua, prese un grosso cavo elettrico, lo fece passare sulle travi e se lo legò al collo: “Mi sono impiccato”, rivela a THR.
“È successo tutto molto in fretta. Stavo lì appeso”. Quello che è accaduto dopo lo attribuisce a un intervento divino. Afferma di aver visto i suoi figli, allora di 11, 10 e 8 anni, nel corpo di tre trentenni. “Mi hanno chiesto di non farlo, mi hanno detto che mi volevano lì con loro, vivo e parte delle loro vite”. “Forse è per i milioni di piegamenti che ho fatto in palestra per tutta la mia vita che sono riuscito a tirarmi su poco prima di svenire”, prosegue.
L’intensità di questa esperienza, compreso il tentato suicidio, l’ha poi convinto a rivolgersi a dei medici. “Mi è stato diagnosticato il disturbo bipolare a 36 anni. L’Adhd l’ho scoperto ancora dopo, a 40”. Non è stato facile da accettare, afferma, ma era una diagnosi coerente con tutti gli altri e bassi da lui vissuti. “All’inizio ho reagito male, ma ho capito poco dopo di sentirmi sollevato, perché almeno c’era un nome alla cosa che provavo da sempre”.
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