Shonda Rhimes ha rivelato di essersi dovuta proteggere dopo i finali di stagione di Grey’s Anatomy, prima di lasciare il ruolo di showrunner della serie nel 2015. La prolifica scrittrice ha rilasciato un’intervista al Sunday Times in vista della terza stagione di Bridgerton, in arrivo su Netflix il 16 maggio con la prima parte.
Nel corso della chiacchierata, Rhimes ha discusso di come fosse solita confrontarsi regolarmente con i fan dei suoi show sui social media, ma negli ultimi anni si è fatta da parte.
“I social media sono cambiati. I fan hanno sentimenti appassionati, e questo mi è sempre andato bene”, ha commentato. “Capisco che vedano i personaggi come degli amici. Erano anche i miei amici immaginari. È per questo che li scrivevo. E credo che le persone abbiano provato sentimenti molto forti per quello che è successo ai loro amici. Ma poi qualcosa è diventato strano”.
L’attrice ha spiegato che dopo ogni finale di stagione di Grey’s Anatomy, ha dovuto far appostare una macchina della polizia fuori casa sua per una settimana perché riceveva minacce di morte dai fan che non erano soddisfatti di come si era conclusa quella stagione.
Shonda Rhimes e la cattiva esperienza con i fan
“Diventavano cattivi”, ha continuato Shonda Rhimes. “E non potevo sapere se qualcuno si sarebbe potuto sentire offeso, ma nel modo sbagliato”.
Le auto della polizia, però, non sono rimaste a lungo. Alla fine la creatrice ha dovuto avvalersi di un servizio di sicurezza privato 24 ore su 24 nella sua casa di Los Angeles “perché le persone sono strane e pericolose”.
L’ideatrice di Scandal ha adottato il suo primo figlio nel 2002. Dieci anni dopo ha adottato la seconda figlia e nel 2013 ne ha avuta una terza tramite surrogazione. I suoi figli sono stati una parte importante del motivo per cui ha voluto assicurarsi che la sua casa fosse al sicuro da chiunque fosse insoddisfatto delle sue decisioni creative.
“Volevo poter uscire dalla porta di casa e stare con i miei figli senza sentirmi preoccupata. Mi svegliavo di notte per lo stress”, ha raccontato. “Avevo degli amici che avevano avuto esperienze simili e mi hanno dato una grande mano. E sono stati categorici nel dirmi che se non puoi vivere normalmente, allora non sarai in grado di vivere affatto”.
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