Sono passati 36 anni dallo schiaffo più romantico e commovente di Tomas Milian a Bombolo

Il 24 agosto del 1987 una Roma assolata saluta uno dei suoi figli prediletti, Franco Lechner, ex ambulante divenuto principe dei caratteristi comici. Alla fine del funerale Er Monnezza non resiste. E lo saluta a modo suo

“Ts Ts”. Bombolo. Uno sganassone, l’occhio lucido, una smorfia clownesca di dolore e mentre lui, con quella espressione da fumetto in un falsetto soffocato si lamenta, noi ridiamo. Quante volte abbiamo visto questa scena, declinata in ogni modo?

Si narra che sia stato proprio Tomas Milian, il mitico commissario Nico Giraldi, a inventarla, ispirato proprio da Bombolo. Si era in una pausa del set di Squadra Antifurto (1976): Bruno Corbucci il regista e l’attore cubano mangiano al ristorante. Poco più in là, ecco Franco Lechner, che ancora non sa di essere Bombolo. Che con la veracità romana tipica di un ambulante che piazza piatte, pentole e coperchi, urla con quella voce improbabile “Camerié, portame sta pizza”. Se lo porteranno sul set e quella diventerà una gag. La pizza, ovviamente, non sarebbe stata Margherita. Ma piazzata a mano aperta sulla guancia ampia e accogliente di quello che diventerà il principe dei caratteristi comici.

Il primo di una collezione di schiaffi che diventano la firma di chi “l’attore non l’ha fatto mai, io so’ rimasto l’ambulante del Rione Ponte”, ma poi ai convegni politici e artistici di attori e artisti parlava alla pari con Vittorio Gassman. Una firma attoriale e comica, come i pugni in testa di Bud Spencer, come le movenze da burattino di Franco Franchi, come Totò che sposta, con un movimento di collo, la testa in avanti e indietro.

Con varianti sul tema infinite: risposte surreali, a volte in rima, tentativi di sottrarsi che diventano esilaranti motivi per reiterare, duetti comici demenziali, tempi e modi verbali decisamente creativi (come testimonia con affettuosa ironia il titolo della biografia che gli ha dedicato Ezio Cardarelli E poi cominciati a fa’ l’attore, con prefazione di Marco Giusti. In quel primo film insieme, lui è Er Trippa, poi sarà Franco Bertarelli, detto Venticello, ovviamente per una certa deprecabile e insopprimibile abitudine ad emettere flatulenze nei momenti più sbagliati. È romanista (ma nell’ultimo degli 8 film in cui partecipa della serie di Giraldi diventa juventino e guarda caso gli schiaffi aumentano) e sta con la mitica Bocconotti Cinzia.

Ma quella che raccontiamo qui non è una gag comica un po’ rozza. Non è la demenzialità sopraffine e infantile di Corbucci e di quella coppia straordinaria. Ma è sempre uno schiaffo. Il più romantico, struggente, commovente della loro carriera.

Franco Lechner, detto Bombolo, muore giovane, a 56 anni, l’eterno bambino – il nome d’arte nasce dalla canzone del Trio Lescano che recitava più o meno così “Era alto così, era grasso così, lo chiamavan Bombolo” – nel 1986 viene colto da una meningite acuta, va in coma, guarisce parzialmente poi a inizio 1987 sopravviene un male incurabile. Abbandona il cinema, ma al Salone Margherita recita fino a maggio di quell’anno. L’ultima volta, l’8 maggio, lo devono portare a braccia sul palco, è troppo debole. Così tanto che tre mesi dopo, in estate, viene stroncato da un arresto cardiaco e all’Ospedale Forlanini possono solo constatarne il decesso. È il 21 agosto 1987 e tutta Roma si commuove per chi l’ha fatta ridere, sempre. Ai funerali in Santa Maria in Vallicella, al confine tra il rione Ponte e il Parione, vanno in tanti. Colleghi, amici, gente comune. Tutti si chiedono dove sia Tomas Milian. La sua assenza fa rumore.

Un bambino lo nota, ma non dice nulla. È un adulto e piange, si nasconde dietro una colonna, non va disturbato.

Finisce la messa, la bara esce a spalla. Quasi tutti abbassano lo sguardo, in segno di lutto e rispetto. Solo quel bambino e pochi altri che vogliono omaggiare il comico con un’occhiata o un tocco fugace, osservano la bara. Sono impreparati pure quel paio di fotografi che sono discretamente vicino all’ingresso della chiesa.

Si sente un boato. Quell’uomo con uno zuccotto in testa, occhi intensi e pieni di lacrime, sorride, ora è vicino alla bara. La mano aperta ha appena schiaffeggiato quell’elegante cassa di legno. Per l’ultimo schiaffo di Nico a Venticello, di Tomas a Franco.

Tutti sorridono, tutti hanno gli occhi lucidi. Con un solo gesto, l’ultimo momento di goliardia tra i due, hanno dipinto insieme, di nuovo, un’amicizia meravigliosa ed eterna. Con uno schiaffo, non poteva essere diversamente.

A quel punto Bombolo poteva andare, sereno. Al Cimitero Flaminio, dove riposa sotto una lapide con un epitaffio inevitabile “Ciao, Bombolo. Core de Roma”