È la sindrome dei grandi nomi “esordienti” il problema dei David di Donatello. Parola di giurato

La candidatura di registi alla loro opera prima dovrebbe dare voce a nuovi talenti, permettendo di ripagare sforzi quasi suicidi in termini di rientro economico e personale, e servirebbe a coltivare il futuro del cinema del Bel Paese. Perché allora tutti i nominati al miglior esordio sono nomi stellari della settima arte? E poi: su 187 titoli candidati, solo quattro film hanno vinto tutto. Che senso ha?

Il 3 aprile scorso sono state annunciate le candidature ai 69° David di Donatello cui concorrevano tutti i film usciti in Italia tra il primo gennaio e il trentuno dicembre 2023, e nella serata di ieri, esattamente un mese dopo, si è tenuta la cerimonia di premiazione che ha proclamato vincitrici e vincitori. Sia le candidature che i risultati possono portare a riflettere su diversi aspetti emersi dalle votazioni dei giurati che, inevitabilmente, lanciano un segnale forte su quale sia il percepito dell’industry rispetto alla totalità della produzione cinematografica italiana annuale.

Io stesso sono uno dei giurati dei David e ci tengo a dire che sono molto, molto, orgoglioso di esserlo.

Amo il premio e quel che rappresenta. Amo la sua crescita nel tempo e la costante volontà di migliorarlo espressa dalla presidentessa Piera Detassis e da tutta la sua squadra, elementi che si rispecchiano naturalmente nel grande valore che gli viene riconosciuto da chiunque si occupi di cinema nel Bel Paese.

Una scena di Io capitano di Matteo Garrone

Una scena di Io capitano di Matteo Garrone

Nel quotidiano tsunami di film e serie tv provenienti da tutto il mondo che occupano piattaforme, reti e sale in quantità straordinaria, la volontà di fotografare e valorizzare lo stato dell’arte della cinematografia italiana è qualcosa di prezioso e irrinunciabile soprattutto perché è il pubblico stesso a non avere la piena percezione di quanto cinema venga prodotto ogni anno nella nostra penisola. Per quanto riguarda le opere distribuite nel solo 2023, le iscrizioni ai 69° Premi David di Donatello ci restituiscono un dato parziale, ma molto interessante: 171 lungometraggi di finzione, 138 documentari (di cui 15 selezionati per la competizione), 494 cortometraggi (votati da una commissione a parte).

Un numero apparentemente impressionante – ma comunque inferiore a quanto viene annualmente prodotto nello stesso ambito dai nostri cugini d’oltralpe – che rende bene l’idea della molteplicità di voci, talenti, produzioni che compongono l’industria cinematografica italiana. Una vera e propria ricchezza per tutto il nostro sistema culturale.

Ora però provate a fermare un passante a caso e fatevi del male chiedendogli quali film italiani siano stati prodotti nell’ultimo anno: vedrete che, a fatica, arriverà a elencarvi appena una manciata di titoli. Che il percepito del pubblico sia lontanissimo da quelle numeriche non sorprende – e perché questo accada potrebbe essere lo spunto per un ulteriore approfondimento – ma il problema è che sempre di più noi stessi giurati del David dimostriamo esattamente lo stesso approccio.

Per quanto in Italia si produca tanto, tantissimo cinema, soltanto sei film, quest’anno, si sono aggiudicati oltre il 70% delle candidature e quindici film si sono spartiti le restanti. C’è ancora domani ha ottenuto da sola 19 candidature (la totalità di quelle cui poteva essere candidata, è la prima volta che accade nella storia dei David di Donatello per un film d’esordio), Io Capitano ne ha ottenute 15, La Chimera 13, Rapito 11, Comandante 10, Il sol dell’Avvenire 7.

Una scena del film La Chimera, di Alice Rohrwacher

Una scena del film La Chimera, di Alice Rohrwacher: c’è del Fellini anche qui

Delle 105 candidature disponibili, quindi, ben 75  se le sono spartite soltanto 6 film, quelli di Paola Cortellesi, Matteo Garrone, Alice Rohrwacher, Marco Bellocchio, Edoardo De Angelis e Nanni Moretti. Film bellissimi, importanti, in alcuni casi meravigliosi, ma anche opere di autori che già incarnano da anni l’immagine del cinema italiano. Perché, mi chiedo, tutta questa pigrizia, colleghe e colleghi giurati? Perché questa mancanza di apertura, di curiosità, di promozione, di approfondimento verso la totalità del nostro cinema?

Vi porto qui un esempio che mai come quest’anno è esemplificativo di quanto possa essere sbilanciato il sistema di votazione che attuiamo: la candidatura per il miglior esordio alla regia. Dei 187 lungometraggi che potevano essere votati sulla piattaforma dei premi David (171 di finzione più i 15 documentari), ben 61 erano opere prime, ossia esordi alla regia.

Lo sappiamo bene, esordire alla regia è un sogno per molte autrici e molti autori e produrre un esordio è un evidente rischio per molti investitori, distributori, esercenti. La candidatura ai David rappresenta un momento fondamentale per questa categoria perché permette di dare voce a talenti che ancora, quella voce, non possono averla. Perché permette di ripagare di sforzi quasi suicidi in termini di rientro economico e personale.

Paola Cortellesi controlla l'inquadratura sul set di C'è ancora domani

Paola Cortellesi controlla l’inquadratura sul set di C’è ancora domani

Che senso ha quindi permettere a volti giganteschi del nostro cinema, che già hanno tutto il risalto e il riconoscimento che vogliono, di occupare anche questa categoria?

Intendiamoci, da Regolamento, era assolutamente lecito che ci fossero. Per la categoria miglior esordio alla regia si fa infatti riferimento alla definizione di «opera prima» presente all’art.2, comma 1, lettera e) della Legge 220 del 2016: “Film realizzato da un regista esordiente che non abbia mai diretto, né singolarmente né unitamente ad altro regista, alcun lungometraggio che sia stato distribuito nelle sale cinematografiche.”

Ma sapendo che per i “giovani” che tentano di esordire nel mondo del cinema ci sono solo i cinque slot di questo unico premio, leggere proprio lì dentro i nomi di Paola Cortellesi (41 film da attrice e 9 film da sceneggiatrice), Micaela Ramazzotti (52 prodotti tra film e serie da attrice), Giuseppe Fiorello (45 prodotti tra film e serie tv da attore e 10 film da sceneggiatore) e Michele Riondino (34 prodotti tra film e serie da attore) – autori, lo ripeto, di film bellissimi e importanti – è doloroso, perché sono nomi che già rappresentano l’establishment, che sono già tra i massimi esponenti dell’industria audiovisiva italiana.

Sono nomi che firmano per la prima volta la regia, è vero, ma che hanno realizzato esordi cinematografici di lusso e vederli in quella categoria è un vero e proprio schiaffo in faccia a tutti gli altri esordienti che si sono trovati a gareggiare in uno scontro assolutamente impari che li ha automaticamente esclusi dalla competizione.

Un'immadine di Felicità di Micaela Ramazzotti

Un’immadine di Felicità di Micaela Ramazzotti

Il film campione d’incassi in Italia, per fare un esempio, prodotto da una delle più importanti case di produzione italiane, con quella che è probabilmente la più famosa attrice italiana, distribuito in migliaia di copie, merita tutti i premi del mondo, ma non dovrebbe partecipare nello stesso campionato di chi si affaccia con tanto coraggio per la prima volta nel mondo del cinema.

E questo è solo un esempio, ma potremmo allargare il discorso anche alle altre categorie.

Non è possibile che su una proposta così ampia di quasi 200 titoli, venga dato il giusto risalto a malapena a una decina di questi. Perché poi il risultato è esattamente quello che abbiamo visto nella serata di premiazione: dei 187 titoli candidati, solo quattro film hanno vinto tutto.

Questo articolo non vuole entrare in polemica con i vincitori, sia chiaro. C’è un bisogno enorme del cinema di Matteo Garrone, di quello di Paola Cortellesi, di Marco Bellocchio e di Michele Riondino, ma i premi David di Donatello devono rappresentare le varie facce della nostra industria. Devono premiare e dare rilevanza a chi, giorno dopo giorno, lotta per continuare a fare il mestiere più bello del mondo, scontrandosi con un sistema che 9 volte su 10 non genera altro che sconforto.

Colleghe giurate, colleghi giurati, mi rivolgo a voi. Mi rivolgo alla eroica squadra guidata da Piera Detassis che, davvero, anno dopo anno, lotta in modo encomiabile per far crescere il premio.

Apriamo gli occhi. Guardiamoci intorno. Guardiamo bene cosa viene prodotto ogni anno e non sediamoci solo su quei pochissimi film che sono già stati sotto gli occhi di tutti. Ci lamentiamo che il pubblico non guarda i film italiani in sala e poi siamo noi Giurati i primi a dare risalto “ai soliti cinque”? Che messaggio stiamo dando? Il David di Donatello merita un nostro sforzo maggiore e lo meritano anche tutte quelle autrici e quegli autori cui tarpiamo le ali per continuare a dar voce a chi è già circondato di megafoni.

Facciamo un ulteriore passo nell’aggiornare le regole dei Premi David affinché possano davvero rappresentare un riflesso reale della vastità del nostro cinema e dei nostri talenti.

La piattaforma cui accedono i giurati per poter vedere i film e votarli è attiva dalla metà di novembre e intorno alla metà di marzo, si chiudono le prime votazioni. È oggettivamente, umanamente, impossibile che un giurato abbia il tempo di vedere tutti e 187 i film presenti in soli 120 giorni, ma questa non può diventare una giustificazione per non guardarne nessuno o esprimere le preferenze solo per le opere più “chiacchierate”.

Potrebbe essere utile inserire strumenti di verifica del lavoro del giurato (come per i corsi di aggiornamento, solo chi ha guardato almeno un tot di film presenti sulla piattaforma può avere accesso alle schede di voto)? Oppure l’inserimento di diversi Comitati di Categoria che, candidatura per candidatura, scremino e selezionino i film e le professionalità davvero meritevoli di accedere alle votazioni.

Vedere candidati nelle categorie miglior attore/attrice non protagonista talenti che hanno soltanto una o due pose all’interno di un film, è un brutto segnale per chiunque faccia quel lavoro perché lascia a intendere che siano lì semplicemente per questioni di mera notorietà. Non lo facciamo accadere.

Emanuela Fanelli e Paola Cortellesi

Emanuela Fanelli e Paola Cortellesi in una scena di C’è ancora domani

Allo stesso tempo, sarebbe davvero bello che categorie più tecniche come quella dei Visual FX non venissero più utilizzate per dare un ulteriore contentino a film considerati importanti, ma che rappresentassero davvero il fiore all’occhiello nel loro ambito. Possiamo farlo e lo sappiamo tutti.

E per quanto riguarda il premio al miglior esordio cinematografico, prendo in prestito le parole che il presidente della Repubblica Mattarella ha pronunciato in occasione della cerimonia di presentazioni di tutti i candidati ai premi David di Donatello per il 2024.

“Il cinema, vivendo in un contesto di libertà e di pluralismo, svolge questa preziosa funzione di ricerca e di sfida creativa, incoraggiato nel produrre, nell’innovare, anche nel rischiare. […] Grande attenzione va rivolta in particolare all’espressione dei giovani artisti, che devono poter provare, sperimentare, dunque formarsi e crescere. L’ingresso di nuove generazioni produce nuova ricchezza. Esprime libertà, quella libertà da assicurare anche a chi non condivide i nostri gusti, a chi la pensa diversamente”.

Parole preziosissime che dimostrano una volta di più che c’è bisogno che l’unico premio destinato alle nuove voci non si trasformi in una vetrina per notissimi “esordienti” di lusso. Se sia il caso di inserire un limite d’età, oppure un tetto di esperienze cinematografiche e televisive pregresse, non lo so. Ma se questo articolo servisse anche solo per aprire una discussione in merito, avrebbe già svolto in maniera soddisfacente il suo ruolo.

Il presidente Sergio Mattarella in occasione della presentazione al Quirinale dei candidati al David di Donatello

Il presidente Sergio Mattarella in occasione della presentazione al Quirinale dei candidati al David di Donatello

Basta poco per migliorare qualcosa di prezioso che funziona già molto bene, se può servire per portarlo all’eccellenza.
Un’eccellenza che però non può esimersi dalla sua celebrazione. E la cerimonia di presentazione lo ha sottolineato. Ottima, ad esempio, la grande crescita degli ascolti rispetto agli ultimi anni. 2.818.000 spettatori sono un dato decisamente importante. Bella la partecipazione commossa dei premiati e splendidi i momenti dedicati a Vincenzo Mollica, Milena Vukotic e Giorgio Moroder.

Interessante la scelta di seguire la Notte degli Oscar con dei momenti di musica e danza, ma decisamente dissonante la scelta delle canzoni con quanto veniva celebrato. Per l’anno prossimo, meno Sanremo e più cinema, ma soprattutto – sarebbe un sogno – più coinvolgimento dei candidati per rendere il tutto ancora più spettacolare e emozionante.

Di anno in anno è sempre più evidente la volontà di far crescere i premi David di Donatello sia agli occhi del pubblico, sia a quelli degli stessi addetti ai lavori, e di raccontarli tramite un grande show. La strada intrapresa è buona. È importante quindi non assistere mai più al triste spettacolo della cerimonia di ieri sera in cui scenografi, costumisti, direttori della fotografia, montatori, make up artists, acconciatori, sound designer e VFX artists sono stati condannati ad essere premiati sulle scale o in teatri semi-bui senza avere dritto alla platea e agli applausi dei colleghi.

I premi David di Donatello sono l’obiettivo, la festa, la consacrazione di chi tiene alto il valore del cinema italiano senza fare distinzioni tra ruoli di serie A e ruoli di serie B. Perché la bellezza di questo lavoro è che si fa in squadra e non c’è modo di vincere se non tutti insieme.

Non dimentichiamocelo.