Sulla Croisette è andato in scena il divario tra il sogno e la realtà

La sensazione è che i tre film italiani in concorso siano stati accompagnati da atteggiamenti che hanno oscillato tra la tifoseria e il “wishful thinking”.

Non ho visto nessuno dei tre film italiani in concorso e non mi permetto di esprimere alcun giudizio. E non ho visto il film di Justine Triet, vincitore della Palma d’oro, né gli altri che hanno vinto i premi maggiori. Ma ho letto e visto come – con qualche eccezione – i tre film italiani siano stati accompagnati, raccontati e celebrati dalla stampa nostrana e dalle rispettive produzioni, con atteggiamenti che hanno oscillato tra la tifoseria e quello che in America chiamano “wishful thinking”: il confondere quello che si vuole, o meglio si sogna, con la realtà.

Non mi sfugge la storia cinematografica dei nostri tre autori: Marco Bellocchio è uno dei maestri del cinema mondiale, sta vivendo una seconda giovinezza artistica e di recente ha giustamente vinto la Palma d’oro alla Carriera; Nanni Moretti è da sempre apprezzatissimo a Cannes dove ha vinto la Palma d’oro con La stanza del figlio e la miglior regia per Caro Diario, a mio modo di vedere il suo miglior film; Alice Rohrwacher è una delle voci più originali e interessanti della nuova generazione, e a Cannes ha vinto il premio speciale della giuria per Le Meraviglie e la migliore sceneggiatura per Lazzaro Felice.

Habitué di Cannes, ma non basta

Insomma parliamo di tre habitué di Cannes molto diversi tra loro, ma estremamente rappresentativi di quanto offre oggi il cinema italiano. Tuttavia, quello che non convince e su cui bisognerebbe riflettere è quanto è successo dal momento in cui i rispettivi film sono stati presentati: la narrazione ha trasceso l’attenzione legittima, persino giusta, nei confronti del nostro cinema e gli sforzi anch’essi legittimi e giusti delle produzioni. Basta dare un’occhiata alla tabella della rivista Screen nel quale erano sintetizzate giornalmente le critiche internazionali per rendersi conto che la realtà era molto diversa.

Disillusioni e ideali

Mentre parte della critica internazionale si esprimeva spesso tiepidamente e a volte con cattiveria nei confronti dei film italiani, da noi arrivavano voci di trionfi con annessi i conteggi dei minuti di applausi, come se qualcuno ignorasse che il pubblico delle prime ai festival è il meno attendibile del mondo, guidato come è dalle claque, convocate dalle produzioni proprio per generare quei titoli osannanti. Non solo: la narrazione ha trasceso spesso l’unico dato che dovrebbe contare, cioè se i film in questione siano o meno artisticamente compiuti, a favore del contenuto, vuoi che si parli della disillusione di chi ha creduto negli ideali del comunismo o di un episodio drammatico nel rapporto tra diverse religioni.

Con questo non voglio affermare che i film in questione non abbiano avuto anche critiche internazionali positive, a volte anche eccellenti, ma c’è un evidente discrasia tra la realtà e quello che è stato raccontato. Quanto è successo in questi giorni non è diverso da quello che è accaduto negli scorsi anni, e credo non faccia bene né ai film in questione né alla nostra industria, per non parlare di qualcosa che intacca ulteriormente l’affidabilità dell’informazione.

Il conteggio degli applausi

La creazione di un mondo dove va tutto secondo quello che si vorrebbe e nel quale vengono e riportati  contati i 13 e 1/2 minuti di applausi che superano i 13 del film precedente finisce per lasciare lo sgradevole e brusco risveglio in una realtà nella quale i film e i rispettivi temi, così celebrati dai fan, purtroppo non risultano di interesse o di apprezzamento universale. Davanti a un risultato così magro c’è da chiedersi come mai non sia stato invitato il film di Matteo Garrone. Forse non è piaciuto a sufficienza al comitato di selezione o forse ha lasciato il posto a uno dei tre film. Posso solo dire che su questo posso esprimere un giudizio perché l’ho visto. È bellissimo.