Momenti, di Antonio Monda: Salvatore Giuliano e l’archetipo della madre (secondo Martin Scorsese)

Rifiutato dalla Mostra del cinema di Venezia e poi vincitore dell'Orso d'argento a Berlino nel 1962, il film di Francesco Rosi è ancora oggi un racconto esemplare dei legami tra politica e mafia. E per questo anche oggetto di censura

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Orso d’argento per la miglior regia alla Berlinale 1962, Salvatore Giuliano di Francesco Rosi è un film-inchiesta sull’omicidio dell’omonimo brigante siciliano, trovato morto la mattina del 5 luglio 1950 a Castelvetrano (Trapani). Proprio dal ritrovamento del corpo ha inizio il film, che si sviluppa poi in una serie di flashback e di rimandi, avanti e indietro nel tempo, fino alla successiva ricostruzione delle udienze processuali.

Realizzato con tale cura dei particolari da essere rifiutato dalla Mostra del cinema di Venezia perché film “troppo documentaristico”, Salvatore Giuliano si è scontrato fin dall’inizio delle riprese con la questione della censura. Prima perché la direzione generale dello spettacolo suggerì di tagliare alcune scene dalla sceneggiatura. Poi perché, concluso il montaggio, la commissione di censura bloccò il film per un mese prima di ottenere il nulla osta, pur con il divieto di visione ai minori di 16 anni.

Tra le scene “truci e impressionanti” che furono modificate per ottenere il nulla osta è compresa quella del riconoscimento del corpo di Giuliano da parte della madre. Quella che Martin Scorsese una volta definì la rappresentazione della madre per eccellenza nel cinema.

Dopotutto, Salvatore Giuliano è ancora uno dei film preferiti del regista italoamericano, come da lui ripetutamente affermato. E come potrebbe essere diversamente? Con la sua ricostruzione esemplare degli oscuri legami tra banditi, polizia, politica e mafia. Temi ampiamente esplorati da Scorsese nel gangster, ma apprezzati soprattutto nella loro complessità umana da un grande regista che, per fortuna, è da sempre anche un grande cinefilo.