Oltre i 40 anni c’è vita: Ricomincio da me, una commedia contro “l’obsolescenza programmata” della maternità

“Bisogna far sì che la società le sostenga nella seconda metà della loro vita. Non c'è motivo per cui le donne non debbano essere aiutate a riqualificarsi". Nathan Ambrosioni e Camille Cottin, rispettivamente regista e protagonista raccontano a THR Roma il film su una madre di cinque figli che vuole riprendere in mano la sua vita

Soffitti alti e divani bassi, affreschi, tappeti, statue. L’appuntamento con Nathan Ambrosioni e Camille Cottin, rispettivamente regista e protagonista di Ricomincio da me – dal 28 dicembre in sala con Wanted -, è in un elegante salone a poche porte di distanza dalla sala di Ercole e la galleria Farnese, al primo piano del palazzo omonimo che ospita l’ambasciata francese a Roma. Nel film l’attrice di Call My Agent interpreta Antonia, detta Toni, una madre single che ha cresciuto da sola i suoi cinque figli. La casa è un lavoro a tempo pieno, ma la sera, per contribuire al bilancio familiare, canta in alcuni locali.

Vent’anni prima aveva inciso una hit di enorme successo che le aveva regalato popolarità. Ma oggi il suo vero sogno è un altro: riprendere in mano la sua vita. Magari iscrivendosi all’università come i suoi due figli maggiori.

Ricomincio da me e il talento di Nathan Ambrosioni

“Sono rimasta molto sorpresa e incuriosita, ancor prima di leggere la sceneggiatura, nel sapere che era stato un giovane di 23 anni a scrivere il ruolo principale di una donna con il doppio della sua età. Mi sono detta: ‘Ma cosa ci fa con questo personaggio?’. Non avevo ancora visto il suo primo film, ma sapevo che era molto interessante e che era stato realizzato quando aveva 19 anni” confida a THR Roma Cottin parlando del giovane regista.

Camille Cottin in Ricomincio da me

Camille Cottin in Ricomincio da me

“Ho letto la sceneggiatura, mi è piaciuta molto e poi ho conosciuto Nathan e tutto quello che voleva raccontare attraverso questo personaggio sulla società, sul mondo che gli stavamo per lasciare e sul suo desiderio di cambiarlo. L’ho trovato affascinante. Quando ho visto il film, ho scoperto che continuava a dire cose sul personaggio e che utilizzava proposte che erano state fatte, ma che erano sottili, di cui non sapevamo nemmeno come parlare”.

Una storia di rappresentazione

Quella raccontata da Nathan Ambrosioni in Ricomincio da me è una maternità priva dello sguardo maschile, in cui al centro c’è solo la sua protagonista. Una maternità intesa non come una vocazione, ma con il desiderio di raccontare la vita di una madre nel modo più veritiero possibile. Una madre che ama i suoi figli, ma che, prima di tutto, è un essere umano. “Avevo il soggetto ancor prima del genere del personaggio” ricorda il regista.

“Un personaggio che si mette in discussione in un momento particolare della sua vita. Volevo parlare di questo prima di parlare di un uomo, di una donna o di qualsiasi altra cosa. La nostra società rende più facile per gli uomini mettersi in discussione. Ho l’impressione di aver visto molti film con uomini protagonisti. E come giovane uomo di una generazione che si sta distaccando dal genere, che sta cercando di appartenere a un mondo diverso e di cambiare il modo in cui le cose vengono rappresentate, mi sono detto: ‘Non ho visto molto di Tony sullo schermo’. Una donna del mio paese, del sud della Francia, che non ha una storia di vita straordinaria ma che, allo stesso tempo, merita di essere raccontata. Volevo fare una commedia drammatica. I cinque figli hanno aggiunto comicità e, allo stesso tempo, complessità alla sua ricerca. Per me non è affatto troppo vecchia. Ma il problema è che ha cinque figli e vive in una società in cui le madri sono invisibili. Le donne disumanizzano il ruolo di madre e tendiamo a impedire la loro reinvenzione”.

Una scena di Ricomincio da me

Una scena di Ricomincio da me

Una questione di movimento

Quella di Toni in Ricomincio da me è una danza perenne. Costantemente indaffarata, perennemente in movimento. Un elemento che influenza anche la regia. “Quello che volevo davvero era che Tony e i suoi adolescenti portassero movimento alla macchina da presa, piuttosto che il regista imponesse loro il movimento. Ne ho parlato a lungo con il mio direttore della fotografia e alla fine l’immagine è più simile a un quadro. Ci sono pochissime macchine a mano o in movimento. Ci sono semplicemente inquadrature a inseguimento, spesso dettate dai movimenti di Tony. La macchina da presa cerca di catturarla, poi si muove con lei” sottolinea Ambrosioni.

“C’erano anche gli scatti di Jessica Todd Harper, una fotografa americana che amo moltissimo e che mi ha influenzato. Penso che il suo lavoro sia favoloso e che fotografi la famiglia all’interno della casa in un modo molto luminoso e, allo stesso tempo, complesso. Volevo che la messa in scena fosse fotografica nel senso di immobile, a differenza di Tony che è sempre in movimento. Mi piaceva il fatto che ci fosse un po’ di contraddizione tra le due realtà”.

Cambiare mentalità

Nel film, nella stessa sequenza, ci sono due rivelazioni fatte dai protagonisti che hanno degli esiti ben diversi. Quando uno dei ragazzi fa coming out nessuno in casa si sorprende o ha reazioni scomposte. Mentre quanto Toni dichiara di voler riprendere l’università i suoi figli reagiscono con veemenza. “Quando mio figlio di 13 anni ha visto Ricomincio da me, mi ha detto: “Questo film mi fa venire voglia di essere gentile con te”. Credo che Nathan volesse anche filmare la dimensione dell’adolescenza, che è ancora un po’ come l’infanzia e che è molto egocentrica e concentrata su se stessa. L’incapacità di vedere il proprio genitore al di fuori del suo ruolo. Si ha la sensazione che ci sia una violenza non premeditata, non consapevole, inconscia. Perché fa paura. Li spaventa” sottolinea Cottin.

Una scena di Ricomincio da me

Una scena di Ricomincio da me

“Bisogna far sì che la società sostenga le madri nella seconda metà della loro vita. Perché è di questo che si tratta. Si tratta di obsolescenza programmata. Non c’è motivo per cui le donne non debbano essere aiutate a riqualificarsi. Nel film viene sollevata la questione della gioventù. Fino a che età siamo giovani? Bisogna cambiare la mentalità delle persone sul fatto che una donna a 40 anni è in pieno possesso di tutti i suoi mezzi. Ha saggezza, esperienza, energia e sicurezza. Quindi è il momento di darle delle possibilità”.

L’adolescenza sullo schermo

“È vero che Tony è il personaggio principale, ma volevo circondarlo di adolescenti. Volevo parlare della mia generazione attraverso di loro. Volevo rappresentare i miei amici. Il fatto che siano in cinque mi ha permesso di avere personaggi apparentemente semplici, ma con personalità molto distinte e che esplorano tutti qualcosa della mia generazione” ha aggiunto il regista.

“Quando ne parlo con i miei amici, si ha l’impressione che a volte ci manchino dei modelli che ci somiglino davvero nel cinema, o almeno che non ci facciano la caricatura. Non siamo i figli o le figlie dei protagonisti, sempre attaccati al telefono e molto sciocchi. Ho amici che fanno video su YouTube come Marcus e che sono molto intelligenti. Il fatto che siano sui social network non significa che siano stupidi. Penso che ci sia qualcosa di un po’ manicheo nel modo in cui vengono ritratti sullo schermo. Volevo davvero dare loro la tenerezza che meritano. Ho voluto rappresentarli come persone vive con una loro storia. Per questo hanno tutti una loro piccola traiettoria che serve al personaggio di Tony”.