Orgoglio italiano in tutto il mondo, le Winx, le fatine nate dal quel genio visionario di Iginio Straffi, compiono 20 anni. Anni in cui hanno raggiunto il pubblico globale con le loro avventure sempre nuove e avvincenti, conquistando intere generazioni. Un fenomeno evergreen fra i più seguiti a livello internazionale dalle fasce di pubblico preschool, kids e adolescenti, a dimostrazione della forza di un brand classico che ha sempre saputo rinnovarsi e anticipare le tendenze investendo su contenuti altamente educativi e di qualità, facendosi portatore di valori universali quali la diversità e l’inclusività, superando qualsiasi confine culturale.
Amicizia, coraggio, impegno, generosità e ottimismo sempre uniti da un pizzico di magia: è questo il mix esplosivo di cui le Winx sono ambasciatrici fin da quando la serie entrò nelle case italiane per la prima volta, il 28 gennaio 2004 su Rai 2. Distribuiti in oltre 150 paesi, Winx Club conta: 20 miliardi di visualizzazioni di contenuti Winx Club su YouTube, 35 miliardi di visualizzazioni su TikTok, 8 serie animate televisive coprodotte con la Rai, 2 serie animate coprodotte con Netflix e 2 serie live action Netflix Original, a cui si aggiungono 3 lungometraggi animati per il cinema, live show e musical internazionali che continuano a far cantare e ballare il pubblico di tutto il mondo.
Adesso stanno per tornare. Rainbow lancerà la nuova serie Winx Club su Rai e Netflix nel 2025. Si tratterà di un reboot completamente nuovo, che celebra l’incredibile eredità di Winx Club, saga animata tra le più amate al mondo da fan nuovi e di lunga data, e ora pronta a mostrare un look totalmente inedito in un ritorno alle origini che farà innamorare il pubblico come la prima volta.
“Le Winx stanno tornando più forti che mai e sono orgoglioso di collaborare ancora una volta con Rai, partner che ha creduto in Winx Club fin dagli albori. Sono entusiasta di poter lanciare il nuovo reboot in contemporanea nel mondo, grazie alla collaborazione con Netflix, partner ideale per arrivare al pubblico globale”, afferma Iginio Straffi, creatore di Winx Club. Straffi ci riceve nel suo studio al secondo piano della palazzina avveniristica, quartier generale della Raibow Group, di cui è presidente, dotata di sala mensa, palestra, campi da tennis e scuola privata.
Il suo fiore all’occhiello sta per tornare di moda dopo tanti anni.
Per questi venti anni ci sono tantissime iniziative di marketing, soprattutto in giro per l’Italia e per il mondo, che serviranno per accendere un po’ i motori in attesa del 2025. Sarà l’anno in cui porteremo sugli schermi questo ambizioso reboot delle Winx, in cui raccontiamo la storia di Bloom, di come si è formato il Winx Club, di come hanno scoperto e potenziato i poteri in ognuna delle sei fatine.
Le Winx rappresentano un successo tradotto in venti lingue. Quale è quella che l’ha emozionata di più?
Sicuramente l’inglese. Quando uscirono sulla Fox nel 2004 e ci arrivavano gli indici d’ascolto che avevano fatto più 30 e poi 40% rispetto al cartone trasmesso prima di noi in quella fascia oraria, ci siamo resi conto che si stava creando un fenomeno anche nel paese più importante e più forte a livello di cultura e animazione.
I Gormiti, la nuova serie che sta producendo, parleranno in marchigiano?
No, parleranno inglese comunque. Diciamo solo che abbiamo avuto il piacere di poter ospitare la troupe al completo per tre settimane e mezzo nelle Marche, ma hanno viaggiato anche per altre regioni d’Italia.
L’ideazione però è partita da qui?
Esatto. Il reboot Gormiti – The New Era è sicuramente una cosa che abbiamo concepito qui, al quartiere generale nella nostra regione.
Ci sarà un discreto ritorno per il territorio grazie all’utilizzo delle location che avete scelto.
Mi auguro che ce ne sarà tanto, perché comunque ci sono già stati casi di produzione di successo e le Film Commission esistono proprio per questo. Servono a promuovere il territorio, quindi per far girare film in una determinata location, in ambienti che non si conoscono e che magari possono attirare la curiosità degli spettatori. Qui nelle Marche i finanziamenti sono destinati solo alla piccola e media impresa e noi purtroppo non abbiamo avuto finanziamenti, perché siamo una grande impresa.
Per rispondere comunque alla sua domanda, se questa serie avrà una certa diffusione e successo, come ci auguriamo e come è successo a tanti altri prodotti Rainbow, prevediamo una bella ricaduta sul territorio che ci fa enormemente piacere per chi lo abita. Sicuramente susciteremo la curiosità dei bambini e dei genitori ed essendo dei luoghi, penso alle Grotte di Frasassi, dedicati quasi esclusivamente al turismo familiare o delle scolaresche, credo che possa essere un abbinamento vincente.
Nonostante non potesse accedere ai finanziamenti della Film Commission ha comunque deciso di girare nella sua terra.
Sono innamorato del mio territorio e ho delle responsabilità come imprenditore verso questa regione, dove opero. Ho avuto la possibilità e l’ho colta con piacere, perché c’erano location adatte: non solo forzature del filantropismo a tutti i costi, quindi, era proprio giusto poter girare qui. Chiaramente c’è stato un aggravio di costi, perché ha significato spostare le persone dallo studio di Roma, le trasferte, etc. Abbiamo scelto questa regione perché il Tempio di Valadier e le Grotte di Frassassi, tanto per citare due delle quattro location che abbiamo utilizzato qui nelle Marche, sono dei luoghi veramente speciali, poco conosciuti ma che meritano effettivamente di essere visitati fisicamente.
Lei ha deciso di realizzare I Gormiti senza nessun tipo di accordo con broadcaster. Un rischio da produttore di una volta.
Questo modello è più rischioso e chiaramente necessita di un progetto solido, internazionale. L’ho utilizzato spessissimo, fin dalla prima produzione, Tommy & Oscar. Siamo partiti con la produzione avendo 1-2 vendite, forse qualche prevendita e quindi senza nessuna certezza di avere la copertura del budget. Avevo fiducia che il prodotto sarebbe stato poi ben accolto dal mercato, così è stato. Da lì in poi il modello Rainbow è stato sempre quello del produttore puro. Quello che sceglie la storia da raccontare, ci investe rischiando in proprio e poi la porta sul mercato.
Un modello che oramai è scomparso, però io non mi sono mai sentito un produttore esecutivo che realizzava solo delle opere commissionate da altri broadcaster o piattaforme. Ho sempre amato questo mestiere e mi dà la forza di lavorare dalla mattina presto alla notte. Ho questo fuoco di voler raccontare delle storie in cui credo, dei personaggi che amo, delle cose per cui vale la pena mettere in scena una grande opera e fare un investimento. Se tutto questo venisse a mancare sicuramente non sarei in grado di fare bene il mio lavoro. Secondo me ci deve essere questo rischio perché fa parte della libertà di poter mettere in scena qualcosa che mi interessa e che mi rappresenta.
Ha avuto subito l’appoggio di Giochi Preziosi?
Abbiamo fatto un accordo con il presidente Enrico Preziosi ad una condizione: avere carta bianca nel reinterpretare I Gormiti e anche per la loro distribuzione, il tutto come fosse un’opera completamente Rainbow. Anzi, fu proprio Enrico, che ha sempre detto “devi sentirla proprio come tua e per questo voglio che tu sia coinvolto emotivamente e finanziariamente nel realizzarla. A me interessa solo poter rilanciare la linea giocattoli a partire dall’autunno del 2024, prima di Natale”.
Ad esseri sinceri, lui avrebbe voluto dalla primavera. Io gli ho risposto che sarebbe stato impossibile per chiunque; e lui, che è un imprenditore, anche se non fa il produttore, ha capito che per un’opera che volesse avere una qualità globale, anche magari perché no, arrivare alle emittenti americane, sicuramente aveva bisogno di avere il tempo per produrla in maniera perfetta. Un tempo minimo tra l’altro, non è che abbiamo il lusso di avere sei mesi in più per rifinirla. Il tempo giusto quindi è l’autunno 2024.
Se io avessi dovuto scrivere qualcosa, cominciare a presentarlo alle TV, aspettare il contratto di vendita e poi partire con la macchina produttiva, al 100% sarebbe stato un progetto 2025. Ma in questo caso, per onorare un accordo tra due imprenditori che si rispettano, dovevo partire subito a testa bassa e dovevamo investire noi.
Questa sua sicurezza sugli investimenti è presunzione, chiaroveggenza?
Non lo so, incoscienza [ride, ndr]. Aggiungiamo un termine che non possiamo dire alle banche o agli investitori. Sicuramente abbiamo un sistema misto, colorato, e anche Rainbow, in minima parte. A volte facciamo dei prodotti in cui abbiamo già il committente, quindi i rischi sono minori.
In quel caso siamo nella norma, è quello che fanno la maggior parte dei produttori di oggi.
No. È un po’ meno della norma perché comunque la norma vera è quella secondo cui ci si presenta a un produttore che ha acquisito i diritti di un libro, quindi ha pagato un’opzione a una casa editrice, o ha già un soggetto opzionato e chiede al broadcaster o alla piattaforma i soldi per lo sviluppo. Significa quindi anche 100 mila euro per una sceneggiatura, per un soggetto di serie o quello che sia.
Noi quello lo facciamo già a prescindere in Colorado. Acquisiamo i diritti, sviluppiamo i progetti e poi ci presentiamo ai broadcaster per una prevendita, per poter avere una certezza del finanziamento prima della produzione.
È questo il vostro modus operandi?
Su progetti importanti come I Gormiti, come il reboot delle Winx, lo è stato anche in parte per i 44 gatti. Diciamo che, laddove c’è un hype molto forte, l’abbiamo fatto. Come con Il fabbricante di Lacrime, abbiamo opzionato il film, comprato i diritti dal libro, scritto la sceneggiatura, sviluppato la bibbia, girato il prodotto e il film e poi l’abbiamo presentato e abbiamo fatto l’accordo con Netflix in questo caso, ma c’erano altri che avrebbero voluto averlo.
Anche lì c’era un hype forte, perché noi come Rainbow crediamo tantissimo nel contenuto, nell’IP, non ci avventuriamo a volte in alcuni progetti che sono un po’ meno strutturati, meno forti a livello di contenuto.
I suoi partner privilegiati sono Rai e Netflix. Pensate di ampliare il portfolio dei rapporti con altre realtà?
Diciamo che la Rai ce l’abbiamo, come Rainbow, storicamente come partner e siamo molto contenti del rapporto che abbiamo con la struttura di Rai Ragazzi da più di 20 anni. Netflix è stata una delle piattaforme con cui Rainbow ha iniziato a collaborare e poi abbiamo trasferito questi contatti alla Colorado una volta acquisito il gruppo che, come sapete, prima di noi lavorava con il gruppo Mediaset. Penso a Colorado Cafè per Italia 1 e per i film con Medusa. Quando volevo fare un live action per il cinema delle Winx ad alto budget per adulti, e non per bambini, Netflix ci ha supportato subito. L’ho proposto a lungo anche ad altri, senza mai suscitare interesse per il progetto.
Ovviamente in questo caso la Rai non era adatta perché era un progetto più giovanile, più costoso. Questo non significa che non lavoriamo con gli altri. Per esempio abbiamo un ottimo rapporto anche con altri grandi broadcaster come la BBC con cui stiamo coproducendo alcuni progetti. Con Prime Video invece abbiamo fatto I me contro te.
Perché Colorado è più democratico nelle coproduzioni?
Colorado ha un accordo di coproduzione con Sony, un ottimo rapporto con Warner per cui abbiamo sviluppato sia film come i Me contro te, questo franchise di successo che Warner distribuisce e produce, sia commedie di successo come Tre di Troppo.
Anche le licenze sono una buona fonte di guadagno, nel tour aziendale abbiamo notato che brandizzate proprio tutto, tranne la carta igienica. Ha posto un veto?
Mi sembrava carino.
Le Winx non vanno al bagno?
Diciamo che normalmente sui prodotti vengono stampati i personaggi che noi produciamo, quindi avere una carta igienica con le Winx stampate o con uno dei 44 gatti, o un qualsiasi altro personaggio non mi sembrava il massimo perché, insomma, uno poi va a pulire quella parte del corpo con queste immagini… quindi abbiamo detto di no.
Da un punto di vista merceologico c’è qualche altro tabù?
No, ma sono stati chiesti a volte anche per dei prodotti che non erano secondo noi salutari o piuttosto in linea con quelle che sono delle politiche di crescita dei ragazzi. Alcune licenze abbiamo preferito non farle perché ormai insomma, siamo un gruppo da 120 milioni di euro di fatturato all’anno e stiamo ancora crescendo. Sicuramente non sono i 50 mila euro di una licenza che non è in linea con il DNA del personaggio o con l’etica dell’azienda che ci cambiano il bilancio. Grazie a Dio siamo arrivati a una dimensione per cui possiamo veramente decidere a volte cosa fare e non fare.
Il no che si è potuto permettere di dire con soddisfazione quando è diventato ricco e potente?
Ah, questa è una bella domanda (ride, ndr). Beh, ce ne sono stati diversi…
Ci dica quello che le ha procurato un orgasmo?
Ci sono state delle situazioni, non farò il nome dell’azienda, perché sono alcune società con cui ho riallacciato i rapporti, che 20, 15 anni fa ci hanno richiesto delle condizioni molto vessatorie che noi abbiamo dovuto accettare pur di non perdere il contratto. All’epoca loro erano grandi e noi invece eravamo ancora una piccola azienda. Appena ho potuto mi sono preso la rivincita. Questo fa capire anche lo stile di alcune aziende americane, che hanno la mentalità da cowboy.
Lei è anche molto attento al benessere dei suoi dipendenti, mensa, palestra, campi da tennis…
Sì, molto. Nel nostro piccolo abbiamo questa scuola materna che facciamo per i nostri dipendenti e per i bambini del territorio, bilingue, molto all’avanguardia. Ci costa finanziarla, però lo facciamo per la comunità.
In Italia abbiamo problemi di reperimento del personale specializzato. Vista la specificità del suo settore, investite anche nella formazione?
Noi lo facciamo proprio perché abbiamo da 15 anni la Rainbow Academy a Roma che forma dei veri professionisti dell’animazione, degli effetti speciali, del videogioco, dell’architettura digitale, che ha tra l’altro una percentuale di impiego dopo il diploma del 98%. È quindi veramente una scuola che funziona, dove facciamo formazione, abbiamo sempre dovuto fare formazione, anche qui a Loreto l’abbiamo fatta 20 anni fa perché proprio non c’erano figure professionali che potessero usare i software che servono in queste produzioni.
A Roma la facciamo continuamente, prendiamo talenti ogni anno e li mettiamo nella nostra macchina produttiva, altri che non prendiamo noi vanno a lavorare da altre strutture italiane o a Parigi o a Londra o anche in America, quindi diciamo che la formazione è fondamentale.
Quanto investite nella formazione?
Noi investiamo parecchio, perché mi sembra che abbiamo comunque sempre 50-60 studenti di questi corsi molto specializzati nella computer grafica a Roma e adesso ho comprato anche la Poliarte, questa accademia di belle arti di Ancona che rilascia lauree invece in discipline soprattutto di moda e design. Le abbiamo integrate con i corsi di effetti speciali, cinema e quello che serve un po’ al nostro mondo, oltre alla moda e il design che erano forse a servizio di altre aziende del territorio che si avvalgono di questo.
In questo periodo c’è carenza anche di personale tecnico per le produzioni. Il dubbio che ho è che questa sia la realtà di oggi e che per quando magari saremo pronti – con nuove scuole, nuovi studenti formati – le piattaforme avranno ridotto, come stanno già facendo, gli investimenti in prodotto locale. Il tax credit potrebbe calare, perché questo nuovo governo sta cercando di ridurre i finanziamenti, e l’industria potrebbe sgonfiarsi un po’.
Teme qualche pastrocchio?
Io penso che ci sia giustamente una necessità di rivedere le regole del tax credit, perché ci sono delle regole oggi di ingaggio e poi di fruizione che non sono molto limpide, comunque molto fruibili. Con queste finestre che si aprono ogni tot mesi, una persona può aver già finanziato uno o due film e stare ancora aspettando il tax credit di prima. Noi in Canada abbiamo comprato un’azienda proprio perché c’è questo tax credit che il governo dà sui dipendenti, sul lavoro che fai. Erogato mensilmente, tra l’altro, come cash, nemmeno come un credito d’imposta come in Italia, che poi sfrutterai quando devi pagare le tasse. Cash che arriva in base ai posti di lavoro che hai mantenuto o creato in più quel mese.
Potrebbe essere esportabile?
No, perché lì c’è molto più bisogno di avanzare cassa, e l’Italia al massimo può fare a meno dei crediti che devono arrivare. Se non riescono nemmeno ad aprire le finestre per il credito d’imposta, figuriamoci a darti cassa mensilmente, non è esportabile per come siamo messi noi rispetto al Canada. Quello che voglio dire è che una riforma è necessaria. Anche perché con queste regole sono stati finanziati anche tanti film che non sarebbero dovuti esistere, magari perché la storia era già di poco interesse e la realizzazione di scarsa qualità. Quindi va rivisto, sicuramente va ripensato.
È fiducioso?
Mi auguro che chi lo sta scrivendo abbia capito dopo tutti questi anni gli errori da evitare e sappia premiare chi fa produzione di qualità che porta in alto il nome dell’Italia. Io sono fiducioso, poi vediamo cosa tirano fuori per poter trarre le conclusioni.
Ultima domanda. Lei crede molto nell’internazionalizzazione dei suoi prodotti. In America sono molto ligi al rispetto delle diversità, parliamo di etnie, gender, etc. Vedendo le prime clip de I Gormiti in anteprima, aldilà dell’allenatore afroamericano, c’è molto “wasp”. Non ha paura che questo possa essere un freno all’esportazione?
Speriamo di no, questa è una domanda molto intelligente, perché il cruccio che ho avuto fin dall’inizio con Mario Parruccini, il regista, era proprio questo, che non ci sia un asiatico tra i protagonisti, o asiatica. Abbiamo Glenn che è mulatto, ma manca l’asiatica. Per il resto, tra comparse e altri personaggi, come nelle scene della scuola, ci sono diversi etnie. Forse tra i protagonisti, sì, ci sarebbe voluta qualche altra componente etnica. Purtroppo sono i limiti di un budget che già è esploso: se avessimo dovuto importare ancora più attori e farli trasferire minorenni, con un familiare, a Roma o in giro per l’Italia, il budget sarebbe stato ancora più alto.
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